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 2016  dicembre 10 Sabato calendario

PRATI, I 70 ANNI DI PIERINO – «Pierino, cosa fai? Gol, gol, gol!». Così cantavano i tifosi del Milan quando Prati segnava, da San Siro a Madrid

PRATI, I 70 ANNI DI PIERINO – «Pierino, cosa fai? Gol, gol, gol!». Così cantavano i tifosi del Milan quando Prati segnava, da San Siro a Madrid. E ora che sta per compiere 70 anni (martedì) continua a fare gol, insegnando calcio ai ragazzini. Per loro, come per i genitori o nonni, è sempre Pierino, nome di battesimo registrato all’anagrafe. «Non è il solito diminutivo, perché mio papà volle chiamarmi proprio così, Pierino e non Piero». Un Pierino di 70 anni, le fa effetto? «Per niente. Non mi sento 70 anni, perché ho la fortuna di non avere acciacchi. E se sto così bene, con il fisico e con la testa, il segreto è il contatto continuo con i giovani delle scuole calcio Milan, dai 6 ai 12 anni. Avevo allenato anche l’ultimo figlio di Berlusconi, Luigi, che era bravino. A proposito, spero che Berlusconi rimanga e porti avanti il progetto dei giovani, con più italiani possibili». Che cosa insegna ai ragazzi? «Cerco di farli divertire e mi diverto anch’io a segnare, soprattutto su rigore, anche se ogni tanto sbaglio apposta. Così li faccio contenti, raccontano ai genitori di aver parato un rigore di Prati, anzi di Pierino». Nel Milan il ragazzino era lei… «Liedholm e Cattozzo mi promossero al primo provino. Avevo 12 anni e segnai 6 gol a San Siro, in un’esibizione che precedeva Milan-Juventus. Sognavo la prima squadra, ma a 18 anni mi mandarono in prestito a Salerno. Un anno dopo l’esordio in A con Silvestri, ma davanti c’erano Amarildo e Sormani e così a novembre altro trasferimento a Savona. Poi a luglio arrivò Rocco, che mi volle conoscere subito». Come fu il primo incontro con il «Paron»? «Avevo i capelli lunghi, pantaloni a zampa d’elefante, camicia a fiori, in stile “beat” come si diceva allora. Rocco mi squadrò, poi disse: “Io aspettavo un calciatore, non un cantante. Portatemelo via”. Mi allontanai scoraggiato, ma Rocco scherzava. Mi richiamò subito e incominciai ad allenarmi con i titolari». Quando avvenne la svolta? «A Vicenza, non avevo ancora 21 anni. Rocco mi disse: “Domani giochi dall’inizio, cerca di usare bene la testa, sennò ti ritrovi con le valigie in mano”. Pareggiammo 2-2, io segnai due gol e non uscii più, anche se quella prima stagione mi costò parecchio, perché c’era l’abitudine di offrire tre bottiglie di champagne al primo gol di testa, al primo di sinistro, al primo di destro, alla prima doppietta. Ma pagai volentieri, perché ho vinto scudetto e titolo di capocannoniere». E Pierino diventò «Pierino la peste»… «Segnavo spesso negli ultimi minuti e qualcuno, credo Brera, mi soprannominò così». Era difficile sentirsi il più giovane nel Milan? «Era bello, perché Rocco aveva creato un giusto mix tra gli anziani Cudicini, Malatrasi, Hamrin, Sormani e noi giovani, io, Santin, Gino Maldera, Scala e Rognoni. Era così bello che mi adattai a giocare a sinistra. Molti mi etichettano ancora adesso come ala, perché avevo l’11. In realtà ero un falso, anzi falsissimo 11, perché ero un centravanti. Partivo da sinistra ma poi andavo al centro dove mi alternavo con Sormani». Qual è stato il suo gol più bello? «Quello in tuffo di testa a pelo d’erba in Nazionale, a Napoli, contro la Bulgaria. Ho imparato da bambino a fare acrobazie nei pagliai, cadendo sul fieno, così non ho mai avuto paura di niente». Quanto deve a Rivera? «Tantissimo. Ci trovavamo a occhi chiusi, aveva un computer in testa, era il più forte della mia generazione. Se fosse stato inglese o tedesco avrebbe vinto tre Palloni d’Oro, non uno». Riva, invece, le ha tolto spazio in Nazionale… «Peccato non sia nato in Svizzera, ma riconosco che aveva qualcosa più di tutti. Così ho giocato soltanto la prima finale dell’Europeo 1968 vinto contro la Jugoslavia e ho fatto la riserva al Mondiale in Messico». In compenso ha un record dal 1969, perché nessun altro giocatore italiano ha segnato tre gol in una finale di coppa dei Campioni/Champions… «Tengo molto a questo record, fiero della mia tripletta nel 4-1 contro l’Ajax a Madrid. E pensare che potevano essere quattro gol, perché sullo 0-0 avevo anche colpito un palo. Grazie al premio-partita mi sono regalato la Porsche che avevo adocchiato pochi giorni prima, in una vetrina vicino al Duomo». Perché lasciò il Milan a 26 anni? «Negli ultimi due mesi ero stato fermo per la pubalgia. Saltai la finale di Coppa delle Coppe e la «fatal Verona», dove perdemmo lo scudetto della stella. Buticchi pensava che non fossi più quello di prima e mi cedette alla Roma. Fu un brutto colpo, ma l’amarezza passò in fretta. A Roma ho passato quattro anni bellissimi. Alla prima partita contro il Milan ho segnato due gol, diventando subito l’idolo dei tifosi che sono davvero unici. E così capisco Totti che non ha mai voluto andare via». Lunedì c’è la sua partita Roma-Milan: chi ha più possibilità di inseguire la Juve? «La Roma è più forte, il Milan più regolare. Montella mi piace molto, è stato bravo a entrare nella testa dei giocatori, ma lo scudetto mi sembra troppo. Firmerei per il terzo posto». Le piace Lapadula? «Molto. Sembra incavolato nero perché attacca tutti, ma deve stare attento a non consumare troppa benzina, perché poi rischia di sbagliare sotto porta. Però non mi assomiglia. Io partivo da sinistra. Mi rivedo in Belotti, Immobile o Borriello». Dove festeggerà 70 anni? «A Roma. Mi hanno invitato alla partita, poi mi fermerò per presentare la mia autobiografia, con il ricavato che andrà in beneficenza. E comunque finisca lunedì sera io sarò contento, perché il mio cuore è per tre quarti rossonero e un quarto giallorosso».