
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
I negozi milanesi di Dolce e Gabbana sono rimasti chiusi per tre giorni a causa di una frase dell’assessore al Commercio della città, Franco D’Alfonso.
• Che frase?
Immaginando che i due avrebbero chiesto spazi per la settimana della moda in programma a settembre, ha detto: «Niente spazi comunali a chi è stato condannato per evasione fiscale». Ora, come lei sa, il Logos, cioè la Parola, o l’Arte della parola, è prerequisito della politica, essendo l’uomo politico un signore che deve spiegare, convincere, mediare e che comunque non pronuncia mai una sillaba senza uno scopo o, come minimo, senza valutarne le conseguenze. Ci si domanda, dunque: che scopo poteva avere, con quell’uscita a freddo, l’assessore? I massimi esperti di comunicazione si sono esercitati nel rebus senza riuscire a venirne a capo. Se cercava pubblicità, l’ha avuta. Ma forse controproducente, se si deve giudicare dalle reazioni della rete, in genere favorevoli ai due stilisti, e dai toni cauti con cui la stampa ha riferito l’incidente. Dire che i due si sono infuriati, è poco. Gabbana (quello più alto) appena letta la cosa ha twittato «Fate schifo!!!», poi «Fate schifo e pietà!!!», infine «Vergognatevi!!!», grida a cui è seguita la serrata di tre giorni dei negozi (oltre alle celebri vetrine di via della Spiga e di corso Venezia, ci sono anche un ristorante, un’edicola, una barberia), con grande cartello in mostra in cui si riproduceva la cronaca della vicenda fatta dal "Giornale" sotto un claim che diceva «Chiuso per indignazione». È dovuto intervenire il sindaco Pisapia per tentare di mettere pace: «Le parole dell’assessore sono state inopportune, ma la reazione di Dolce e Gabbana è spropositata». L’assessore, a sua volta, ha dovuto precisare che parlava a titolo personale e che il suo giudizio, quindi, non impegnava l’Amministrazione.
• Ma chi è questo D’Alfonso?
Franco D’Alfono, 57 anni, sposato, tre figli, ex socialista, ex Finivest, poi promotore delle liste arancioni e uomo chiave nel successo alle elezioni di Pisapia, di cui organizzò la lista civica. La lingua però gli scivola un po’ troppo spesso e anche certe decisioni hanno suscitato scandalo. L’anticipo della chiusura dei chioschi di salamella (vanificata da una mozione comune contraria firmata da centrodestra e centrosinista), spericolati annunci di alleanze in vista delle elezioni regionali, critiche ai consiglieri di maggioranza, fino al caso più clamoroso di tutti, il divieto di mangiarsi un gelato dopo mezzanotte lungo le strade della movida. Rimbeccato un po’ troppe volte, è andato a prendersela con i due stilisti prevenendo una richiesta che non ci sarebbe stata: Dolce e Gabbana, per le sfilate di settembre, hanno ristrutturato un intero cinema con parcheggio sotterraneo in Porta Venezia.
• E la storia dell’evasione come sta?
Dolce e Gabbana, fino al 2004, erano personalmente proprietari dei marchi del gruppo, che cedevano in uso alle società in cambio di royalties comprese tra lo 0,5 e il 2,5%. Su queste entrate pagavano normalmente un Irpef del 45%. Ma a un certo punto costituirono una società in Lussemburgo - la Gado srl - a cui vendettero i marchi per 360 milioni e la Gado s’accordò poi con la Dolce e Gabbana srl. per royalties del 3-8 per cento destinate a crescere del 7% l’anno per 11 anni e con minimo garantito di 54 milioni l’anno. Su cui, di tasse, pagava il 4% invece del 45%. A rigore, nessuna legge era stata violata, ma il Fisco giudicò il prezzo di vendita a 360 milioni troppo basso per quel livello di redditività, nonostante una perizia di WaterHouse Cooper. Il tribunale diede poi ragione all’Agenzia delle Entrate condannando i due stilisti a pagare 343 milioni tra sanzioni, arretrati e quant’altro.
• Dunque, sono evasori.
Piano. Intanto la sentenza è di primo grado e c’è un ricorso in Appello. Fino a sentenza definitiva, Dolce e Gabbana devono essere considerati innocenti. E la tesi della prima sentenza, che si rifà a una pronuncia della Cassazione («il contribuente non può trarre vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto [...] di strumenti giuridici idonei a ottenere un risparmio fiscale»), è contestata.
• Come si difendono i due?
«Negli ultimi trent’anni a questa città abbiamo anche dato tanto: prestigio e visibilità internazionale, posti di lavoro e sviluppo economico. Siamo stanchi delle continue diffamazioni e ingiurie che tolgono serenità al nostro lavoro». Come ho detto, a parte uno striscione piazzato sotto la loro vetrina di via della Spiga da un gruppo di animalisti, il pubblico sta generalmente dalla loro parte.
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