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 2013  luglio 21 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL PAPA VA IN BRASILE


ROMA - Papa Francesco si affaccia in piazza San Pietro alle 12 di domenica mattina per il consueto Angelus con la piazza gremita di fedeli. Questa volta è alla vigilia del viaggio per Rio de Janeiro in Brasile. «Preghiera e azione siano sempre profondamente uniti. Se una preghiera non porta ad azione concreta per un fratello povero, malato, bisognoso di aiuto, è una preghiera sterile e non concreta. Allo stesso modo se si da troppo peso alle funzioni e si dimentica alla centralità di Cristo non dando spazio alla preghiera si rischia di non fare bene. San Benedetto riassumeva questo in due parola "ora et labora", bisogna saper vivere e portare la parola di Dio, il nostro lavoro e le opere di carità ci portano al Signore».
LO STRISCIONE: BUON VIAGGIO - Nella piazza gremita di fedeli uno striscione recita: "Buon viaggio". Papa Bergoglio risponde: «Saluto con affetto tutti i pellegrini presenti: famiglie, parrocchie, associazioni, movimenti e gruppi. In particolare saluto i fedeli di Firenze, Foggia e Villa Castelli» E poi: «Io vedo scritto laggiù "buon viaggio", grazie! Vi chiedo di accompagnarmi spiritualmente con la preghiera nel viaggio che compirò a partire da domani, come sapete mi recherò a Rio de Janeiro in Brasile in occasione della 28 esima giornata mondiale della gioventù». E come sempre il pontefice ha concluso con l’augurio di «buona domenica e buon pranzo» a tutti i fedeli.

DA SAN LUCA - «Le due sorelle di Lazzaro, Maria e Marta, San Luca le descrive così: una ai piedi di Gesù che ascoltava la sua parola e l’altra a fare i servizi in casa. Le due attività non sono in contrapposizione: sono due aspetti essenziali della vita cristiana, "ora et labora", non vanno mai separati ma vissuti in profonda armonia».

IL VIAGGIO IN BRASILE - Il pontefice sabato ha effettuato una lunga e silenziosa preghiera nella Basilica Santa Maria Maggiore «per chiedere alla Vergine la sua protezione per il prossimo viaggio apostolico in Brasile». Poi domenica il saluto in piazza San Pietro. La partenza di Bergoglio è prevista per le 8,30 di lunedì mattina da Roma con il saluto del premier Enrico Letta che si recherà all’aeroporto. L’arrivo a Rio de Janeiro, dopo 10 ore di volo, è previsto per il pomeriggio (la sera in Italia). In Brasile il pontefice è atteso da oltre 2 milioni di ragazzi, molti in arrivo da Buenos Aires. Si muoverà a bordo della jeep bianca, tra le visite si recherà al santuario di Brasilia. A Rio è tutto pronto. E dalla spiaggia bianca di Copa Cabana i fedeli hanno preparato una statua di sale dedicata al pontefice.

COME CAMBIA IL POTERE IN VATICANO
MASSIMO FRANCO
Quella che molti aspettano come la nomina più importante del nuovo Pontificato sarà formalizzata probabilmente nei primi giorni di settembre. L’era del cardinale Tarcisio Bertone si chiuderà allora, come approdo di un transizione che papa Francesco ha voluto indolore. Fin troppo, secondo gli avversari del «primo ministro» vaticano. Una parte dell’episcopato ha cercato di spingere per l’allontanamento di Bertone prima. E sperava che nel prossimo viaggio in Brasile, per la Giornata mondiale della gioventù, Jorge Maria Bergoglio fosse affiancato da un nuovo segretario di Stato, perché si desse l’impressione di una svolta tangibile anche in una politica estera vaticana asfittica da anni. Ma Francesco ha consentito a Bertone quest’ultima apparizione al suo fianco. Non tanto perché considera la sua collaborazione insostituibile: l’esautoramento di quello che sotto Benedetto XVI era chiamato malignamente «il vice-Papa», per sottolineare il suo enorme potere, ormai è palpabile.
Francesco avrebbe ignorato anche di recente il suo suggerimento di rinviare l’istituzione della commissione di inchiesta sullo Ior. Una spiegazione della successione al rallentatore è che l’ex arcivescovo gesuita di Buenos Aires ha preferito aspettare per delicatezza nei confronti di Josef Ratzinger: mettere da parte subito il suo primo collaboratore sarebbe suonato come una critica implicita al precedente Pontificato. Ma forse la vera ragione è che in questi primi mesi il Papa ha voluto capire bene non tanto se la stagione di Bertone fosse chiusa, perché le critiche plateali al segretario di Stato durante le congregazioni prima del Conclave lo avevano già mostrato come bersaglio e capro espiatorio di un malumore montante. Il problema è che tipo di «primo ministro» Bergoglio ha in testa. E qui il quadro si fa più confuso. Che si vada verso un ridimensionamento della carica sembra probabile. La segreteria di Stato vaticana negli ultimi anni è stata lo specchio di un sistema di governo che non funziona più e provoca un accentramento tale da costringere il Papa a sovraesporsi per giustificare e proteggere il suo braccio destro. Almeno, questo è accaduto fra Benedetto XVI e Bertone.
L’istituzione di una sorta di «Consiglio della corona» formato da cardinali di tutto il mondo scelti dal Pontefice argentino, prefigura invece un metodo di lavoro collegiale e insieme una riduzione del profilo del segretario di Stato. Nell’incertezza sulle prossime decisioni di Francesco è filtrata perfino l’ipotesi che voglia fare a meno di un «primo ministro» vaticano; ma è improbabile. La «rosa» di nomi che circolano sul successore di Bertone lascia capire solo che pochi conoscono le vere intenzioni del Pontefice; e che si andrà verso una figura comunque meno ingombrante, con funzioni non tanto «politiche» ma più amministrative. Non è chiaro neppure se la quasi invisibilità del segretario di Stato nelle ultime settimane prefiguri il modello che ha in mente il Papa. Qualcuno dà per certo che sarà un diplomatico e un italiano. «Può darsi, ma con l’aria che tira contro il "partito italiano" non lo darei per scontato», ammette un cardinale, confermando che il dopo-Conclave segna non solo un indebolimento di Bertone ma una certa difficoltà di una parte della Cei a sintonizzarsi con il Papa argentino. D’altronde, i paradigmi e gli equilibri geopolitici del passato sono saltati.
Lo smantellamento progressivo ma inesorabile dei rituali della Curia e l’affiancamento di commissioni papali ad hoc alle attuali strutture finanziare vaticane dà corpo a una «strategia dell’accerchiamento» che prepara il terreno sul quale costruire il nuovo modello di governo; e sottolinea quanto non ha funzionato finora. È un’opera di demolizione simbolica di vecchie abitudini e strutture, che serve anche a misurare le resistenze delle lobby ecclesiastiche ed economiche più radicate: quelle che hanno contribuito a spingere Benedetto XVI alle dimissioni nel febbraio scorso; e che tuttora oscillano fra paura e voglia di resistere per sopravvivere. Si racconta che nelle anticamere dei palazzo vaticani, mentre il Papa riceve i suoi ospiti importanti, i monsignori della Curia scherzano davanti a tutti con toni agrodolci su dove verranno «esiliati» nei prossimi mesi. Prima, il 15 giugno, la nomina del «prelato» dello Ior, Battista Ricca. Poi la creazione della commissione di inchiesta sull’Istituto per le opere di religione; e tre giorni fa quella dell’organismo chiamato a controllare i costi di tutte le attività economiche della Santa Sede. L’escalation è vistosa, in appena un mese. Anche se lo scandalo sulle abitudini private di monsignor Ricca sta diventando il pretesto al quale la vecchia guardia cercherà di appigliarsi per contestare i metodi solitari con i quali Bergoglio sceglie i collaboratori.
Ma difficilmente l’incidente, per quanto fastidioso, bloccherà la rivoluzione in atto. Tutti i vertici dello Ior, del passato e del presente, sono chiamati a sfilare davanti alla commissione d’inchiesta presieduta dal cardinale Raffaele Farina per riferire sulle attività dell’Istituto: non solo dunque Ernst von Freyberg, l’attuale presidente, ma anche i predecessori Ettore Gotti Tedeschi e Angelo Caloja. E con loro gli ex direttori. Le accuse della magistratura italiana contro Paolo Cipriani e Massimo Tulli, il direttore dell’Istituto e il suo vice, costretti alle dimissioni il 1° luglio, evocano zone oscure da chiarire prima che arrivino altri scandali. Continua a aleggiare il sospetto che esistano «conti in affitto» offerti a persone o società con grandi disponibilità di denaro per svolgere operazioni finanziarie protette in cambio di corposi contributi. L’arresto, il 28 giugno scorso, di monsignor Nunzio Scarano promette altre rivelazioni imbarazzanti sulla spregiudicatezza almeno di alcuni fra quanti maneggiano soldi in Vaticano. Il prelato salernitano, coinvolto nel tentativo di far rientrare in Italia 20 milioni di euro dalla Svizzera, pochi giorni fa avrebbe fatto consegnare alla Procura di Roma dei documenti sulle attività dell’Apsa, l’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica, dove ha lavorato per ventidue anni.
Gira voce che ancora poche settimane fa alcune persone definite «vicine allo Ior» avrebbero contattato i vertici italiani di una banca estera per valutare la possibilità di compiere alcune transazioni. Non se n’è fatto nulla perché gli interlocutori hanno chiesto garanzie e condizioni che gli emissari dell’Istituto non era in grado di offrire. Ma, se è vero, l’episodio conferma il motivo della determinazione del Papa a andare fino in fondo. Qualche spunto interessante sulla possibile riforma dello Ior è stato offerto qualche giorno fa da Pellegrino Capaldo, professore emerito di Economia aziendale alla Sapienza, tradizionalmente vicino alla Santa Sede; e rispettato e ascoltato per avere sempre offerto al Vaticano aiuto e consigli. Fra l’altro, nel 1982 fu uno dei tre membri di nomina vaticana (affiancati dai tre scelti da Palazzo Chigi) della commissione mista fra Italia e Santa Sede incaricata di ricostruire la verità nella vicenda oscura dei rapporti fra il banchiere Roberto Calvi e lo Ior. Partecipando recentemente a un dibattito, Capaldo ha sostenuto che lo Ior deve tornare alle origini, eliminando le anomalie e le deviazioni che si sono manifestate negli anni.
L’idea è di trasformarlo in modo da rendere chiaro che non è una banca. Per riuscirci andrebbero vietate esplicitamente le operazioni che la fanno apparire tale. L’alternativa, secondo Capaldo, è lo scioglimento dello Ior e la costituzione di un nuovo organismo al quale affidare compiti limitati alle «opere di religione». L’economista opta per la prima soluzione, però. Lo scioglimento, a suo avviso, è sconsigliabile perché marcherebbe in modo netto la discontinuità col passato ma avrebbe come controindicazione una valutazione tutt’altro che benevola del modo di operare della Chiesa nel passato. Non si tratta di un’analisi eterodossa. Sembra di ascoltare gli echi della discussione in atto nelle sacre stanze. Quando Capaldo esprime la convinzione che il Vaticano non ha bisogno di una banca, viene in mente papa Francesco che in un’omelia del 24 aprile avvertì: «Lo Ior è necessario ma fino a un certo punto». E le sue critiche alla gestione non suonano più dure di quelle fatte dal Pontefice ripetutamente. Adesso si aspetta che le istituzioni finanziarie internazionali certifichino la trasparenza nel modo di operare del Vaticano.
Fra cinque mesi arriverà il rapporto di Moneyval, l’organismo del Consiglio d’Europa chiamato a giudicare sulle virtù o i difetti degli Stati in materia di riciclaggio di denaro sporco e di finanziamento del terrorismo.
Ma secondo il professor Capaldo, più che discutere di white o black list forse sarebbe stato meglio vietare a tutte le amministrazioni della Santa Sede, e in particolare allo Ior, di compiere certi tipi di operazioni. Non è stato un bello spettacolo, ha detto Capaldo, vedere il Vaticano che negozia al ribasso gli standard di trasparenza. Il punto d’arrivo, tuttavia, rimane indefinito. Papa Francesco ha l’aria di un ingegnere al quale è stato affidato il compito di demolire gli abusi edilizi commessi per anni, impunemente, su uno splendido edificio. Finora ha picconato, e già si intravede qualche maceria fra le nuvole di polvere. Eppure, che cosa verrà fuori alla fine è indecifrabile. La planimetria della Chiesa di Bergoglio è nascosta dai rumori e dagli scricchiolii di un cantiere in attività febbrile. Ma probabilmente, nella testa del Pontefice e in quella almeno di alcuni dei suoi grandi elettori all’ultimo Conclave, è pronta da tempo. E subito dopo l’estate rivelerà contorni e strutture che, viste le premesse, saranno sorprendenti e, forse, perfino traumatiche.
21 luglio 2013 | 9:35

«Io ce la metterò tutta per fare un buon lavoro». Saluta, spiega, ringrazia, in qualche caso assicura di «essere davvero lei» l’unica donna che il Papa ha scelto per far parte della neonata commissione che vigilerà sulle finanze vaticane. Così Francesca Immacolata Chaouqui (foto) ieri commentava su Twitter la sua nomina come una degli otto tecnici (sette laici e un ecclesiastico) scelti da Bergoglio. Trentenne, di origini calabresi, Chaouqui si occupa di relazioni pubbliche per Ernst & Young Italia.

CORRIERE DELLA SERA DI SABATO 20/7
CITTÀ DEL VATICANO — Il Papa ha istituito un’altra «commissione referente» che risponde direttamente a lui, come quella sullo Ior. Solo che questa volta l’oggetto dell’indagine è l’intera «struttura economico-amministrativa della Santa Sede». Francesco procede deciso e con metodo. E vuole vederci chiaro non solo nella «banca» vaticana ma in ogni amministrazione che gestisce beni e appalti, sulla carta un elenco vastissimo: Segreteria di Stato e Governatorato e Apsa (Amministrazione patrimonio Sede apostolica), dicasteri di Curia — si pensi solo agli immobili di Propaganda Fide — e Accademie pontificie, enti, ospedali e fondazioni, società, basiliche, santuari e così via.
La commissione — composta da otto tecnici, sette laici e un ecclesiastico, tra economisti ed esperti giuridici e finanziari — dovrà «raccogliere informazioni» ed elaborare «soluzioni strategiche» per «evitare dispendi di risorse economiche, favorire la trasparenza nei processi di acquisizione di beni e servizi, perfezionare l’amministrazione del patrimonio mobiliare e immobiliare, operare con sempre maggiore prudenza in ambito finanziario, assicurare una corretta applicazione dei principi contabili». In generale, scrive il Papa, si vuole «proseguire nell’opera di introduzione di riforme nelle istituzioni della Santa Sede», con uno scopo essenziale: arrivare a «una semplificazione e razionalizzazione degli organismi esistenti» e ad una «più attenta programmazione delle attività economiche di tutte le Amministrazioni vaticane».
È importante notare come il testo che istituisce la commissione, datato 18 luglio, sia un «chirografo», un documento autografo del Papa come quello sullo Ior. Già allora spiegava che si tratta di «consentire ai principi del Vangelo di permeare anche attività di natura economica e finanziaria». Francesco ascolta tutti ma decide da solo. E precisa che «a richiesta» la commissione collaborerà con il «gruppo» di otto cardinali incaricato di riformare la Curia: si annunciano cambiamenti strutturali, «accorpamenti» e tagli, e insomma una cura dimagrante nella pletora di istituzioni che appesantisce la Santa Sede.
La commissione è presieduta dall’economista maltese Joseph Zahra, già tra i «revisori internazionali» della Prefettura degli Affari economici, sorta di Corte dei conti vaticana. Segretario e unico sacerdote è monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, che è anche segretario della Prefettura. Tra i suoi componenti c’è un’italiana, Francesca Immacolata Chaouqui, manager trentenne della Ernst&Young. Gli altri sono Jean-Baptiste de Franssu e Jean Videlain-Sevestre (Francia), Enrique Llano (Spagna), Jochen Messemer (Germania) e George Yeo (Singapore). Si metteranno subito al lavoro, la prima riunione è prevista a fine mese. Anche loro con pieni poteri nel raccogliere «documenti, dati, informazioni»: nessun «segreto d’ufficio».
Eliminazione degli sprechi, semplificazione e pulizia da «situazioni di corruzione», la linea di Francesco è chiara. Lo voleva anche Ratzinger, di qui la sua rinuncia perché la «barca di Pietro» fosse guidata da un Papa più giovane e vigoroso: ieri Francesco è andato a trovarlo, alla vigilia della Gmg hanno pregato assieme e parlato per mezz’ora.
G.G.V.

CITTÀ DEL VATICANO — Il cardinale brasiliano Cláudio Hummes, francescano, grande amico di Bergoglio che nella Sistina gli stava accanto e al momento dell’elezione lo abbracciò, «non dimenticarti dei poveri!», spiega che il Papa «ci porta sempre di nuovo alle cose essenziali» e nella Giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro mostrerà una Chiesa sempre più vicina ai poveri: «Visiterà soprattutto quelli che vivono alla "periferia" — ha raccontato alla Radio Vaticana — perché tutto il suo programma è fatto di questa sua priorità: le periferie, le persone che hanno bisogno, che stanno soffrendo...».
Il primo, attesissimo viaggio in America latina del primo Papa latinoamericano comincia lunedì pomeriggio, la sera in Italia, per terminare domenica 28. Ma per Francesco, smaltiti i saluti istituzionali all’arrivo e la stanchezza delle dieci ore di volo e del fuso — alloggerà nella residenza del vescovo, sulla collina di Sumaré —, la Gmg inizierà davvero mercoledì mattina, ad Aparecida. Quella cittadina a duecento chilometri da Rio, che ha il più grande santuario mariano del mondo e dove il Papa affiderà il viaggio e il suo pontificato alla Madonna patrona del Brasile, è la stessa nella quale si riunì sei anni fa la quinta conferenza dell’episcopato latinoamericano e dei Caraibi. L’allora cardinale di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, fu scelto dagli altri vescovi a presiedere la commissione che stilò le conclusioni: il famoso «documento di Aparecida» del 2007 che oggi il Papa usa donare ogni volta che incontra un Capo di Stato del continente. L’«opzione preferenziale per i poveri», il riconoscimento dei «nuovi esclusi» nei volti dei «migranti» e dei «rifugiati», dei «disoccupati» e delle «donne maltrattate», dei bambini e degli anziani come dei ragazzi cui è negato lo studio, la denuncia della violenza e della corruzione dei potenti, la promozione «della giustizia e solidarietà internazionale», il ruolo della famiglia e il rispetto per la vita, la missione di una Chiesa chiamata a uscire da se stessa per annunciare il Vangelo sono temi centrali di un testo che «sarà fondamentale per capire il viaggio», ha spiegato padre Federico Lombardi.
Il viaggio era già stato organizzato con Benedetto XVI. Ma è interessante notare le modifiche al programma volute da Francesco: l’atto di devozione ad Aparecida, la visita di mercoledì a un ospedale dei francescani per il recupero da droghe e alcol e la cura (gratuita) dei poveri, quella di giovedì alla comunità di Varginha nella favela di Manguinhos — come già faceva da cardinale, in incognito, nella favela Villa 21 di Buenos Aires, Bergoglio andrà a trovare una famiglia —, l’incontro con alcuni giovani detenuti venerdì fino all’appuntamento con il comitato dei vescovi latinoamericani, prima del ritorno a Roma.
Tutta la Gmg di Rio è orientata all’evangelizzazione e ha come tema le parole di Gesù nel Vangelo di Matteo, «andate e fate discepoli tutti i popoli». Già il documento di Aparecida richiamava la Chiesa delle origini che «si è formata nelle grandi città del suo tempo e se ne servì per diffondersi». L’America Latina fu definita da Paolo VI il «Continente della speranza», crescono le «sette» evangeliche ma ci vive il 44 per cento dei cattolici del pianeta. Ed ora è come se Francesco consegnasse ai giovani e di tutto il mondo il senso della sua riforma, il richiamo all’essenzialità evangelica. Ha esortato i ragazzi ad «andare controcorrente» e «sempre al di là, verso le cose grandi», frasi che suonano come slogan per Rio: «Non lasciatevi rubare la speranza, non lasciate rubare la speranza che ci dà Gesù!». Le occasioni per ripeterlo non mancheranno: giovedì sera la festa di accoglienza dei giovani e venerdì la Via Crucis sul lungomare di Copacabana, sabato notte la veglia e domenica mattina la grande messa nell’area di Guaratiba, capace di accogliere due milioni di ragazzi.
C’è grande attesa per un pontefice che vuole girare tra la folla con una jeep scoperta, come fa a San Pietro, anziché nella «papamobile» blindata. Francesco desidera avvicinare le persone, come già fece Ratzinger a Madrid confesserà cinque ragazzi e pranzerà con altri dodici, e anche nel volo verso Rio ha deciso di non fare una conferenza stampa — semmai, al ritorno — ma incontrare uno ad uno i giornalisti. Del resto non c’è troppa preoccupazione per le proteste che hanno accompagnato il mese scorso la Confederations cup di calcio, anche perché i vescovi brasiliani hanno condannato le violenze ma espresso solidarietà ai giovani che manifestavano contro «corruzione e impunità». Il cardinale Raymundo Damasceno Assis, presidente dei vescovi brasiliani, ha scritto sull’Osservatore Romano: «Riecheggia ancora nelle nostre orecchie il clamore delle centinaia di migliaia di giovani che, riempiendo le piazze e le strade del nostro Paese, hanno espresso la propria indignazione verso le strutture di potere e le azioni delle istituzioni che feriscono la vita e violano la dignità umana». I ragazzi vanno ascoltati, spiega il cardinale Hummes a proposito delle catechesi che terrà a Rio: «Sono i giovani che devono mostrare a noi cosa interessa loro sapere, quali siano le grandi domande che hanno nel cuore».
Gian Guido Vecchi