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 2013  luglio 21 Domenica calendario

VINCE ALLA LOTTERIA SOLO CHI STUDIA MOLTO

Dal momento che non siamo più un Paese ricco — ce lo dicono i dati di Eurostat che dal 2012 ci mettono il 2% sotto la media europea per Prodotto lordo pro capite, nel girone dei meno benestanti della Ue — dovremo iniziare a fare i conti con la povertà. E, visto che dallo Stato al momento possiamo aspettarci poco, sarà meglio che lo facciamo per i fatti nostri. Eredità e lotterie a parte, la via più sicura per evitare l’impoverimento è l’Educazione. Ancora Eurostat — l’ufficio statistico dell’Unione europea — pochi giorni fa ha pubblicato dati, riferiti al 2011, che mettono a confronto il rischio di povertà e il livello di educazione nei diversi Paesi. Nella Ue a 27, il 16% dei cittadini vive a rischio di povertà, cioè in una famiglia con un reddito disponibile (compresi gli aiuti sociali) inferiore al 60% della media nazionale. Tra chi ha un livello di studio alto (educazione terziaria, universitaria) rischia però la povertà solo il 7,3%. Quota che sale al 14% per un livello di studio medio (scuola secondaria superiore) e al 24,2% per un’educazione bassa (scuola primaria o secondaria inferiore).
Da noi la situazione è un po’ peggiore, rispetto alla media europea. A rischio povertà è il 18,1% degli italiani: ma solo il 7,7% dei laureati, mentre la quota sale al 14% per chi ha un’educazione media e al 23,6% per chi ne ha una bassa. Non si può dire che un certo livello di istruzione determini in modo meccanico il reddito. Però, conta parecchio. Soprattutto nei Paesi che sono poveri e con reti di protezione sociale modeste. In una Nazione ricca e ad alto Welfare State come l’Olanda, per esempio, i laureati a rischio povertà sono il 6,4%, coloro con istruzione bassa l’11,9%. Nell’egualitaria Danimarca, i due estremi sono 9,4% e 17%. Al contrario, tra i rumeni laureati solo il 2% rischia la povertà, mentre tra chi ha studiato poco si arriva al 34,6%. In Bulgaria, il divario è tra 3,6% e 44,3%. E così via. Se pensate — come molti — che nei prossimi anni l’Italia difficilmente torni a creare seriamente ricchezza, il semplice messaggio della statistica è questo: studiate e fate studiare figlie e figli (nelle università italiane, ogni cento studenti maschi ci sono 136 studentesse).
Il consorzio universitario AlmaLaurea calcola che in Italia il 47,8% dei laureati trovi un lavoro entro il primo anno successivo al diploma; mentre il 26,8% lo cerca ma non lo ha e il 22,2% non lo cerca ma è impegnato in un corso di specializzazione o nel praticantato. Tre anni dopo la laurea, il 70,3% lavora, il 15,1% si dice disoccupato, il 10,7% studia ancora o fa pratica. A cinque anni dalla laurea, gli occupati sono l’81,8%, i disoccupati l’8,8%, coloro che non cercano lavoro il 5,6%. Dati non strepitosi ma nemmeno da disperazione. Raccontano che il futuro non è nelle mani dello Stato: è molto più nelle nostre.
Danilo Taino