Maria Novella De Luca, la Repubblica 21/7/2013, 21 luglio 2013
TROPPE DENUNCE ARCHIVIATE ECCO PERCHÉ I SOCIAL NETWORK DIVENTANO UN COMMISSARIATO
Ora c’è da chiedersi se questo fatto nuovo, nuovissimo, servirà ad aiutare le donne. Se il denunciare su Facebook la violenza domestica, e il non denunciarla invece nei luoghi istituzionali, sia un passo avanti. O invece no, sia un errore e anche grave nella già faticosa battaglia delle vittime di stupri e maltrattamenti per essere credute. Lei, Anna Laura, “posta” in rete la sua faccia martoriata, ma ancora di più, diffonde la fotografia di ciò che resta di un aborto che lui le avrebbe provocato, a suon di botte. L’impatto è fortissimo, la polizia si mobilita, il social si divide, lui viene coperto di fango, ma c’è anche chi non si fida e insulta Anna Laura, accusandola di aver diffuso foto false, di aver violato la privacy della figlia, addirittura di aver inventato tutto.
La vera domanda però è un’altra: con una denuncia tradizionale Anna Laura avrebbe mobilitato così tanta attenzione attorno al suo inferno domestico? Le forze dell’ordine sarebbero intervenute con tanta celerità? La risposta da parte di chi ogni giorno cerca di difendere le donne è no, purtroppo non sarebbe accaduto. Teresa Manente, avvocato penalista, è da anni il punto di riferimento di tante vittime rifugiate nei centri antiviolenza di Roma. «Dobbiamo dare valore al coraggio di questa donna. È vero, non è andata in un commissariato, ha scelto un’altra modalità per uscire dal silenzio, e ha fatto bene. Adesso scatterà la procedibilità d’ufficio, è inutile chiedersi perché non ha denunciato prima, migliaia di vittime restano per anni prigioniere dei loro aguzzini, è dura ammettere che l’uomo che hai amato è diventato un mostro».
Quelle parole, quei racconti, e anche quelle immagini Teresa Manente le ha viste e sentite troppe volte per non ritenerle vere. «Quante donne per avere delle prove invece di correre al pronto soccorso, vanno dall’amica, dalla vicina di casa e si fanno fotografare. Non importa come si esce dalla gabbia degli uomini violenti, l’importante è fuggire, e rendere pubblici i loro reati».
E se la denuncia su un social network è una sconfitta per le istituzioni, dopo tanto discutere di femminicidio, di task force mai partite, non c’è stupirsi, si tratta di una sconfitta annunciata. È questo il pensiero di Fabio Roia, giudice del tribunale di Milano, una lunga esperienza nei casi che riguardano la violenza sulle donne e sui minori. «È un pugno allo stomaco, è vero, ma ben venga tutto ciò che accende i riflettori su quanto oggi sono sottovalutate le denunce sulle violenze domestiche. Credo anzi che in Italia si debba aprire una commissione d’inchiesta su come viene gestita dai tribunali la materia della violenza sessuale».
Per Roia il gesto di Anna Laura Millacci, che non è andata dai carabinieri o dalla polizia per raccontare il suo incubo domestico con il cantante Massimo Di Cataldo, ma ha scelto l’infinita platea di Facebook, è un gesto da rispettare. «Le donne denunciano i mille modi, e non credo che questo porterà ad una disaffezione verso le istituzioni. Al contrario, se altre vittime troveranno attraverso i social network la forza di ribellarsi, questa ragazza avrà tracciato una strada».
Certo, il crinale è sottile. Perché la rete fa processi sommari e polverizza le indagini preliminari, nessuno è presunto innocente su Facebook o sul altri palcoscenici digitali. Ma Emanuela Moroli, presidente di Differenza Donna, che gestisce una vasta rete di centri antiviolenza, avverte che «è ben difficile inventarsi una storia del genere, e se c’è bisogno di Facebook per accendere i riflettori sulla violenza domestica, dovremmo riflettere su che cosa sta succedendo nella società ». Troppe mogli, compagne, fidanzate denunciano una, due, dieci volte il partner pericoloso, e poi «vengono ammazzate », ammette con amarezza la presidente di Differenza Donna. È accaduto soltanto pochi giorni fa a Palermo.
«Centinaia di atti si fermano nei commissariati e nelle caserme. E non è solo apatia o mal funzionamento della giustizia. Queste lentezze, a volte letali per le donne, sono figlie di una cultura che ancora oggi tende a ritenere le botte e i maltrattamenti un fatto privato. Ci sono città in cui c’è maggiore attenzione — dice Moroli — a Roma, a Milano, ma sono poche aree metropolitane. In tutto il resto d’Italia le donne sono sole. Non hanno assistenza legale, non sanno cosa fare e dove andare. Per questo noi come associazione abbiamo deciso, se Anna Laura Millacci lo vorrà, di costituirci parte civile contro il suo ex compagno, Massimo Di Cataldo».