Antonio Dini, Il Sole 24 Ore 21/7/2013, 21 luglio 2013
L’INVENZIONE DEL TEMPO
Al polso sinistro ha un vecchio orologio di marca, con il bracciale d’acciaio. «È un regalo dei miei genitori», dice Mattia Monga, docente di informatica all’Università di Milano. Monga ha 42 anni, la sua è forse l’ultima generazione che ha ricevuto un orologio per il diploma o per la cresima. «Una volta si usava così, ma non lo guardo mai per sapere l’ora». Sul tavolo, davanti a lui, infatti, c’è l’ampio schermo di un telefono Samsung, l’assistente personale del presente, l’erede del Memex di Vannevar Bush e del Dynabook di Alan Kay. Uno strumento sempre connesso, pieno di sensori, che fa tutto (compreso dire l’ora). Ma che non sta al polso e soprattutto non reinventa il tempo.
Durante la presentazione del primo iPad, nel 2010, Steve Jobs chiese al pubblico: «Nel mondo c’è ancora spazio per una terza categoria di apparecchi, qualcosa che stia tra un laptop e uno smartphone?». La domanda vale ancora oggi: nel mondo c’è spazio per una nuova categoria di apparecchi, che stia tra un telefonino e un orologio tradizionale? È una domanda alla quale, in questa calda estate del 2013, in molti stanno cercando di rispondere. Decine di brevetti registrati negli anni da Apple (a partire da vetri curvabili e batterie flessibili), marchi "iWatch" messi in cassaforte in mezzo mondo, decine di ingegneri assunti per cercare di sbloccare la nascita dell’ultimo azzardo (addirittura postumo) di Steve Jobs: l’orologio da polso reiventato in chiave post moderna da Jony Ive. Anche l’ex Ceo di Yves Saint Laurent, Paul Deneve, assunto da Apple pochi giorni fa per lavorare a "progetti speciali", servirebbe a fare da testa di ponte nel mercato dell’orologeria mondiale.
E quando ancora non si sa né come sarà né se ci sarà davvero l’iWatch, c’è già chi si avventura a dire quanto varrà: 6 miliardi di dollari. Per Oliver Chen, analista di Citigroup, infatti a fronte di un mercato dell’orologeria che vale 60 miliardi all’anno, con l’iWatch Apple può arrivare al 10% che, lucrando margini del 60%, vuol dire profitti nell’ordine dei 3,6 miliardi. Insomma, Tim Cook con un orologio potrebbe guadagnare più di quanto intascherebbe se riuscisse a controllare ad esempio il 10% del mercato televisivo globale, cioè 1,79 miliardi. C’è un punto sul quale tutti concordano: nessuno sa in realtà che cosa farà l’iWatch. Oltre a indicare l’ora (ammesso che la indichi) le altre funzioni restano un mistero. Se dietro all’iWatch c’è un bisogno del pubblico, è ancora tutto da inventare. Però, anziché ragionare sull’esistente, proviamo ad andare alla sostanza della cosa. Il tempo, che poi è quello per cui sono stati inventati gli orologi. «L’iWatch in questa prospettiva – dice Mattia Monga – in realtà è semplice, anche se ovviamente ignoro la sua possibile incarnazione. Comunque, quel che ha fatto l’orologio sinora è stato permetterci di sincronizzare il nostro tempo con quello del resto della società. Erano due cose separate ma allineate: il mondo intorno a noi e l’orologio al nostro polso, che ci permetteva di restare al passo. L’iWatch, se vorrà innovare il tempo e la sua gestione, dovrà superare questa barriera e portare il mondo esterno dentro di sé, dentro l’orologio». Altrimenti non cambierà nulla.
Come si fa a reinventare il tempo? Per capire il mutamento introdotto dall’orologio nella nostra società bisogna tornare all’invenzione del tempo moderno. Ne hanno scritto sia lo storico dell’economia Carlo M. Cipolla sia lo storico e sociologo americano Lewis Mumford: «L’orologio è la macchina più importante della rivoluzione industriale. È una macchina il cui prodotto sono i secondi e i minuti». Con l’invenzione del tempo, di cui gli uomini, ricorda Cipolla, hanno preso il controllo dalla natura, svanisce l’indefinito senso dell’eternità. «L’uomo – scriveva anche Mumford – è incalzato dall’orologio e stimolato ad agire». Questa nuova attitudine rimpiazza il modo di pensare antico, che era soprattutto spirituale, a favore di un pensiero più laico e moderno. Torniamo all’iWatch. Quale foggia potrebbe dare al tempo? Potrebbe cambiare la nostra percezione dello spazio o della prossimità? Potrebbe curvare lo spazio e renderci definitivamente interconnessi? Secondo Bruce Tognazzini, ex designer di Apple che ha lavorato a lungo gomito a gomito con Jony Ive, se mai l’iWatch ci sarà, avrà tanti sensori: «Più sensori ci saranno e meglio sarà». Dal chip Nfc per i pagamenti contactless e il Gps ai comandi vocali via Siri, e potrebbe anche non avere schermo, poggiando tutto sull’iPhone. Servirà per autenticare le persone, fare i pagamenti, gestire la vita digitale nel mondo reale. Renderà tangibile la nostra presenza nei social media e i social media attorno a noi, nello spazio reale. «Se il prossimo iPhone sarà solo un 5S – dice Carolina Milanesi, analista di Gartner – servirà qualcosa di più sexy per aumentarne il "wow factor", come l’iWatch. Senza contare che il "computer da indossare" è la tendenza del futuro». E il mercato? «Lo scenario più probabile – dice John Gruber, creatore del blog Daring Fireball – è che Apple stia davvero lavorando a un apparecchio simile a un orologio. Samsung, Google e Microsoft più vari altri si stanno già gettando a capofitto sull’idea, presentando per primi i loro apparecchi. Poi Apple forse (perché Apple abbandona moltissimi progetti) presenterà il suo iWatch, totalmente diverso da tutti gli altri, e la seconda generazione di prodotti della concorrenza somiglierà in maniera imbarazzante a quello di Apple. È già successo, succederà di nuovo». Anche con la nuova categoria, quella tra un telefonino e un orologio tradizionale.