Gilberto Corbellini, Domenica, Il Sole 24 Ore 21/7/2013, 21 luglio 2013
TROPPI PSICOFARMACI?
La psichiatria e la psicologia clinica sono lontane dall’avere solide conoscenze di base e dati clinico-epidemiologici affidabili per trarne delle linee guida consensuali e curare la schizofrenia o la depressione con la stessa efficacia con cui sono trattate le ulcere dello stomaco o l’ipercolesterolemia. Ne consegue, come mostra l’acceso confronto sulla rinnovata edizione del Dsm di cui si è più volte dato conto su queste pagine, che circolano tesi diametralmente opposte, apparentemente altrettanto plausibili, sulla natura dei disturbi mentali e la validità dei diversi approcci terapeutici oggi praticati.
L’editore Giovanni Fioriti ha reso disponibile in italiano un libro oggetto di vasta e accesa discussione negli Stati Uniti. L’autore è un giornalista medico che ha condotto un’articolata ricerca per spiegare un paradosso. Nel corso degli ultimi tre decenni sono arrivati nuovi farmaci, presentati come più efficaci, per il trattamento dei disturbi mentali, in modo particolare i cosiddetti antipsicotici atipici e degli antidepressivi all’apparenza con minori effetti collaterali. Questi farmaci sono stati largamente prescritti, ma le diagnosi di disturbi psichiatrici e le invalidità per malattie mentali sono aumentate. A questo paradosso Whitaker guarda facendo riferimento ad alcuni studi osservazionali da cui si evincerebbe che i pazienti con disturbi mentali vanno incontro a un esito migliore quando non assumono farmaci. Ne conseguirebbe l’ipotesi che i farmaci psichiatrici possano essere dannosi per la maggior parte dei pazienti, e in generale quando assunti per lunghi periodi.
Withaker riconosce nel libro che lo psicologo clinico italiano Giovanni Andrea Fava è stato tra i primi a sollevare la questione dei possibili effetti iatrogeni dei trattamenti psicofarmacologici affermatesi con la disponibilità di principi attivi con minori effetti collaterali. Trattamenti incentivati dalle imprese farmaceutiche con aggressive operazioni di marketing, che hanno fatto facilmente presa su una generazione di psichiatri che cerca soluzioni semplici e comode, per problemi complicati e socialmente molto sconvenienti. L’autore ritiene plausibile la sua tesi anche alla luce delle probabili dinamiche neurofisiologiche indotte dal l’effetto dei farmaci sui processi che controllano l’omeostasi funzionale dei neurotrasmettitori implicati nei disturbi mentali.
Premesso che si tratta di un libro da leggere, perché fondato su un solido lavoro di ricerca e ragionamenti plausibili, in realtà Whitaker cade in una serie di fallacie che minano la validità delle sue tesi. In primo luogo confonde le correlazioni con le cause: è vero quanto scrive sull’aumento del consumo di farmaci, ma è inverosimile che questi siano la causa dell’aumento di diagnosi e invalidità. Egli non tiene conto che gli psichiatri hanno visto triplicare, in mezzo secolo, il numero di malattie mentali diagnosticabili: nel Dsm del 1952 erano 100, oggi sono circa 300. Si può discutere se alcune entità cliniche sono sensate o meno, ma l’aumento delle diagnosi è più semplicemente spiegato dai cambiamenti della nosologia psichiatrica.
Ora, l’arrivo di nuove potenziali cure disponibili, non solo farmaci ma anche diverse tipologie di psicoterapie, ha incentivato i medici, con il concorso delle non sempre etiche strategie di marketing dei produttori di farmaci, a cercare sintomi o quadri clinici da trattare. Anche in questo caso non sono stati i principi attivi dei farmaci a causare i disturbi, ma le convenienze di psichiatri e venditori di trattamenti. Per quanto riguarda gli effetti collaterali degli psicofarmaci e il fatto che questi effetti sono all’origine di importanti invalidità e disagi, non si capisce perché, nel caso delle malattie mentali, gli effetti indesiderati avrebbero un significato clinico-funzionale e una natura morale diversi da quelli causati da farmaci usati per altre malattie. In altre parole: perché non ci si preoccupa altrettanto del fatto che i farmaci usati per controllare la pressione sanguigna o la maggior parte dei tumori, producono diversi e importanti effetti collaterali, peggiorano il quadro di queste malattie?
Poiché Whitaker prende in esame l’epidemiologia delle malattie mentali negli Stati Uniti vanno considerate, per capire l’aumento delle invalidità, anche ragioni legate alle opportunità offerte dal welfare, che spiegano come mai nel 1990 i bambini diagnosticati psichiatricamente invalidi erano 24.000, mentre nel 2009 sono stati 640.000. In quel paese alcuni disturbi sono sovradiagnosticati, in particolare la sindrome da deficit di attenzione e iperattività e i disturbi postraumatici da stress, per trarne un beneficio economico, ovvero un reddito, nell’ambito del programma governativo Supplemental Security Income.
La fallacia argomentativa di Whitaker risalta nel non tener conto di quanto siano cambiate nel tempo le definizioni delle principali malattie mentali, in particolare le psicosi. E, nel caso della schizofrenia, alcune meta-analisi mostrano che il successo dei trattamenti dipende da quanto inclusiva è la definizione. Più è ampia, più i trattamenti hanno successo. Più è specifica, meno guarigioni si ottengono. Dalla fine degli anni Cinquanta fino agli anni Ottanta c’è stata la tendenza a sovra-diagnosticare questa malattia. Pazienti con disturbi bipolari, depressione o della personalità erano etichettati come schizofrenici. Ora, un’indicativa percentuale questi è stata meglio non perché ha smesso di assumere antipsicotici, ma in quanto era meno grave e gli antipsicotici non servivano. Gli studi citati da Whitaker sono, inoltre, tutti osservazionali, cioè non sono studi controllati e quindi non è corretto prenderli come altrettanto attendibili. Per dimostrare l’ipotesi si dovrebbero fare studi controllati, ma sarebbe difficile, oltre che non etico, trovare qualcuno disposto a prendere un placebo per 10 anni, col rischio star malissimo anche se per un tempo più breve se l’autore ha ragione, per dimostrare che in questo modo eviterà la cronicizzazione della sua condizione. L’autore scrive che la sua non è una campagna ideologica, sulla scia delle paranoie psicoanalitiche e antipsichiatriche, contro gli psicofarmaci, ma una battaglia per farne un uso migliore, limitato ai casi più gravi e non prolungato nel tempo. Rimane che, alcuni suoi argomenti alimentano la paranoia del complotto e strizzano l’occhio al moralismo paternalista in cui regolarmente si scade discutendo di disturbi mentali.
Robert Whitaker, Indagine su un’epidemia. Lo straordinario aumento delle disabilità psichiatriche nell’epoca del boom degli psicofarmaci,
Giovanni Fioriti Editore, Roma,
pagg. 368, € 26,00.