Mario Deaglio, La Stampa 21/7/2013, 21 luglio 2013
IL “FUTURIBILE” LA PROSPETTIVA CHE CI MANCA
È il 22 settembre 2025, l’aria è frizzante e l’occasione solenne: Thomas Hollande, figlio di François l’attuale presidente francese, succedutogli nell’incarico, e Dieter von Tiese, genero di Angela Merkel, subentrato alla «cancelliera di ferro», ripetono il gesto simbolico.
Compiuto esattamente 41 anni prima dal presidente Mitterrand e dal cancelliere Kohl davanti alle corone d’alloro che commemoravano la battaglia di Verdun, forse il più spaventoso scontro armato della storia, durato dieci mesi nel 1916, con oltre mezzo milione di morti e 800mila feriti: il francese e il tedesco si danno la mano.
Non si tratta di un semplice ricordo e i due statisti possono essere fieri di sé: hanno convinto i loro rispettivi elettorati nientemeno che a ratificare la fusione dei loro due Paesi. Parigi sarà la sede del nuovo Parlamento comune e la sede del nuovo governo franco-tedesco sarà in Germania, ma a Francoforte e non a Berlino. Thomas Hollande sarà presidente e Dieter von Tiese primo ministro di questo nuovo Paese, che, con i suoi 145 milioni di abitanti, e un prodotto lordo di 6mila miliardi di euro, sarà la terza potenza economica (e anche politica) mondiale. La bilancia commerciale può contare su un attivo robustissimo, più di 100 miliardi di euro e il tasso di disoccupazione è sceso sotto il 6 per cento.
Più ancora della quantità conta la qualità: i due Paesi hanno constatato di essere fortemente complementari. La Germania ha portato in dote il proprio rigore contabile, la propria esperienza di decentralizzazione e la capacità di concludere grandi accordi tra capitale e lavoro in campo salariale; può vantare un’industria di successo con imprese medie e medio-grandi che sono un gioiello ed esportano ovunque. La dote francese è innanzitutto la sua demografia (una media di due figli per donna contro 1,4 in Germania) un tasso di risparmio famigliare molto elevato, un sistema bancario concentrato in grado di finanziare una crescita ambiziosa. Per conseguenza, Francia-Germania è leader mondiale di una serie di settori che vanno dall’energia alla chimica, dalle grandi costruzioni alla meccanica, dall’industria farmaceutica all’aeronautica, forza trainante dell’Unione Europea. Soprattutto, però, la fusione rivitalizza la fiducia europea in un mondo che nel 2017 ha finalmente lasciato la crisi alle spalle e ha ritrovato un tasso di crescita del 4 per cento.
Questo «futuribile» è stato presentato dall’economista francese Olivier Pastré, professore di economia all’Università Paris VIII, alla recente riunione del Cercle des Economistes, principale associazione degli economisti francofoni, tradizionalmente aperta ai contatti e al dialogo con le altre discipline, laddove in altri Paesi gli economisti tendono a guardare all’interno, a restare chiusi nelle loro specializzazioni e a preferire approfondimenti tecnici a visioni di largo respiro.
Lo scopo di Pastré non è naturalmente quello di descrivere una realtà futura storicamente inevitabile bensì quello di offrire una base di discussione, di presentare un «futuro possibile» (di qui la parola «futuribile» coniata da Bertrand de Jouvenel, intellettuale francese fondatore, quarant’anni fa, di una rivista di quel nome che ancora oggi anima i dibattiti interdisciplinari d’Oltralpe). Il futuribile non serve a indovinare il futuro ma piuttosto a fissare l’attenzione alle variabili importanti, agli «snodi» attraverso i quali il futuro molto probabilmente passerà, a dare non solo agli scienziati sociali ma anche ai politici e ai normali cittadini la coscienza delle conseguenze di determinate azioni e decisioni.
Un’Italia appiattita sul presente, nella quale il ruolo del governo è costantemente messo in discussione e la sua «speranza di vita» viene talvolta misurata in settimane, al massimo in mesi, dovrebbe fare molti esercizi intellettuali del tipo di quello di Pastré. E forse proprio dalla provocazione di Pastré occorre partire per cercare di capire in quale direzione è meglio andare, invece di correre dietro, in maniera quasi morbosa, al fiume costante di battute, pettegolezzi e insulti che caratterizzano la scena politica del Paese e costituiscono un ostacolo a un’impostazione seria dei problemi.
Che farebbe l’Italia nell’Europa del 2025 descritta da Pastré? Cercherebbe di entrare come terzo grande Paese nella grande alleanza tra Parigi e Francoforte, adottando un’organizzazione aziendale e sindacale di tipo tedesco e un assetto bancario di tipo francese e magari richiedendo per Roma la sede di un’istituzione prestigiosa di un nuovo Paese tripolare, come la Corte di Giustizia? Si sfalderebbe con la tendenza di diverse regioni centro-settentrionali a entrare a far parte del nuovo Stato franco-tedesco? Si porrebbe a capo dei «piccoli» per bilanciare la concentrazione dei due «grandi», magari con legami più stretti con la Spagna? Certo molti lettori guarderanno con fastidio a queste domande scomode e apparentemente oziose e astratte – che richiederebbero risposte basate non già su opinioni superficiali, bensì analisi verosimili fondati su dati e altre conoscenze – e continueranno a pensare che la seconda rata dell’Imu sia il vero problema importante per il Paese. Forse penseranno che meglio di tutto è concentrarsi sulle possibilità delle squadre nel prossimo campionato di calcio.
Eppure la dimensione dei «tempi lunghi» è essenziale per impostare efficacemente anche la politica dei «tempi brevi». Un Paese che non riflette sul proprio futuro si troverà a subirlo invece che a cercare di controllarlo (nel futuribile di Pastré la Fiat diventa cinese e la banca francese Société Générale diventa indiana). Se un Paese come l’Italia di oggi non è in grado di inventare futuribili, di ragionare sulla base di futuribili, sarà probabilmente costretto a subire, nella realtà, i futuribili degli altri.
mario.deaglio@unito.it