
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
I problemi economici americani e i relativi – discussi – interventi di Obama, ci hanno indotto a trascurare la politica estera di quel Paese, che è ancora impegnato in due guerre, formalmente vuole ancora costruire uno scudo spaziale difensivo in Cechia- Polonia, ha tutto un problema di rapporti militari con i russi, determina quello che fa Israele, è legato a doppio filo alla Cina, al punto che qualcuno ha battezzato l’asse Pechino-Washington (ammesso che esista) «Chimerica ». ora di occuparsene, tanto più che Hillary Clinton, il ministro degli Esteri Usa, è appena stata a cena a Ginevra col suo omologo russo Sergej Lavrov. Una cena che ha fatto sensazione.
• Perché?
Hillary ha regalato a Lavrov una scatoletta ( nella foto AP in alto) con sopra un pulsante e la scritta «Reset», cioè «Ricomincia daccapo», «Riparti da zero». Lavrov s’è messo a ridere ed è stata scattata una bella fotografia. Nessuno ha drammatizzato il fatto che il termine russo per «Reset» fosse stato sbagliato, la parola russa «Peregruzka» vuol dire infatti «Sovraccarica». Lei ricorderà che l’ultimo presidente degli Stati Uniti aveva litigato con Putin sia per la faccenda della Georgia – indotta a commettere le imprudenze che poi provocarono la guerra proprio dall’atteggiamento spaccone della Casa Bianca – sia per lo scudo anti iraniano, che ai russi non andava assolutamente. «Reset» significa in questo caso soprattutto «Dimentichiamo». Hillary ha proposto: voi aiutateci a fermare l’atomica iraniana e noi lasceremo perdere lo scudo. Lavrov ha dato ampie assicurazioni. Tra un mese dovrebbe esserci un incontro tra Medvedev e Obama, in occasione di un viaggio del presidente in Europa. Sia chiaro, l’offerta di Hillary è meno forte di quello che sembra.
• E perché?
Perché gli americani non hanno ormai più la forza economica per costruire lo scudo e dunque se i russi gli rispondessero di «no», l’amministrazione si troverebbe in un guaio molto serio. Ma c’è quest’altro fatto: anche i russi, col petrolio a 40 dollari, sono nei guai e non possono permettersi politiche aggressive. Hanno bruciato un terzo delle riserve e i rapporti tra Putin e lo stesso Medvedev sono ogni giorno più tesi. La crisi economica, in questo caso, favorisce la pace.
• E l’Iraq?
E’ stato già annunciato il ritiro per l’agosto 2010. Ma Obama ha accelerato le operazioni di sgombero. Proprio ieri è stato dato l’annuncio che 12 mila soldati torneranno a casa entro sei mesi. In Afghanistan, Obama sta mandando invece altri 17 mila soldati. In un’intervista data l’altro giorno al New York Times,
il presidente dice di voler trattare con i «talebani moderati », un genere di persone di cui si ignorava l’esistenza. Ma Barack voleva dire: «Quei talebani che non sono d’accordo con al Qaeda». Si tratterrà di comprarseli, soprattutto. E comunque la tattica di fare accordi è quella che ha permesso al generale Petraeus di dividere il campo nemico e di fermare i terroristi in quel Paese. Obama vorrebbe anche bonificare in qualche modo il Pakistan settentrionale, ma non sarà semplice. Quella è zona totalmente in mano al fondamentalismo islamico guerresco. Pare che tre tribù si siano già accordate per contrastare l’arrivo dei rinforzi Usa.
• Attaccheranno l’Iran?
Sono stati mandati dei messi a Damasco per migliorare i rapporti con la Siria, un Paese da dove gli Stati Uniti quattro anni fa hanno richiamato l’ambasciatore. Le prime notizie di questi colloqui sono incoraggianti. L’obiettivo è isolare l’Iran e arrivare a una qualche soluzione in Palestina, perché senza una soluzione passabile in Palestina non ci sarà mai pace in Medio Oriente. Hamas è rimasta senza soldi e infatti si sta avvicinando al Fatah. Potrebbe nascere un governo di unità nazionale e con questo dovrà trattare il governo di Tel Aviv, a capo del quale sarà probabilmente Netanyahu. buffo, perché si troveranno al tavolo delle trattative uomini che non credono ai due Stati e che, causa la pressione internazionale, dovranno invece rassegnarsi a procedere su quella via.
• Dove andrà Obama durante il suo viaggio in Europa?
La tappa più importante sarà ad Ankara in Turchia. Hillary ha preparato bene l’arrivo del presidente, non solo persuadendo il primo ministro turco Erdogan a riprendere le fila della mediazione siro-israeliana, ma anche coinvolgendolo nel grande discorso che Obama si prepara a fare: un appello a tutto l’Islam perché riveda il suo rapporto con gli Stati Uniti e aiuti un’America non più nemica a pacificare il mondo. «Reset», anche qui. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 9/3/2009]
(leggi)