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 2009  marzo 09 Lunedì calendario

L´ECONOMIA E IL RITORNO ALLA MORALE


Trent´anni fa un giovane economista inglese, Fred Hirsch, poi immaturamente scomparso, pubblicò un libro intitolato I limiti sociali dello sviluppo. Era un libro elegante e intrigante, che affrontava allora il cuore di quello che è poi diventato il problema della crescita.
Al di là dei livelli di produzione che soddisfano i bisogni di autosufficienza - questo era il tema - le soddisfazioni che se ne traggono dipendono in misura crescente non dal proprio consumo individuale, ma dai consumi degli altri. Per un uomo affamato la pagnotta è un bene tipicamente privato. Per un pedone che transita in città l´aria che respira è un bene pubblico. Elementare, Watson. Ma mica tanto.
La scienza economica, infatti, ha riconosciuto il fenomeno dell´interdipendenza (le cosiddette economie e diseconomie esterne) ma lo ha relegato (quell´aggettivo «esterne» è significativo) in secondo piano rispetto all´importanza primaria dei bisogni e dei consumi individuali. Sono stati così gravemente sottovalutati i limiti che all´accumulazione e al consumo della ricchezza derivano dai comportamenti sociali. Il problema è diventato drammatico per quanto riguarda i guasti inferti dai comportamenti collettivi all´ambiente naturale. E sta diventando sempre più drammatico per quel che riguarda i comportamenti «morali». Leggendo l´articolo di Jean Paul Fitoussi (Se torna l´etica nel capitalismo, Repubblica del 23 febbraio) mi sono venute in mente proprio le considerazioni fatte da Fred Hirsch a proposito della morale come bene collettivo e della esigenza vitale, per la stessa sopravvivenza del capitalismo moderno, di quella che egli definiva una «moral reentry»: un «ritorno alla morale».
Hirsch era un disincantato economista liberale e non incline alle prediche. Ma sapeva bene che le due forme tipiche del capitalismo, l´impresa e il mercato, non possono tenersi insieme se non sulla base di una legittimazione morale: che può essere la «pietas» cattolica, la «grazia» calvinista, o la «simpatia» di Adam Smith. Ciascuna di queste «passioni», religiose o laiche, pone limiti al comportamento egoista. Limiti logici, prima che morali: come quello dell´impossibilità che tutti possano stare «meglio degli altri». Quei limiti impediscono che il comportamento egoista, varcando i limiti della logica, diventi distruttivo.
Ora, proprio questo è avvenuto nelle due grandi crisi che hanno investito il capitalismo moderno, quella degli anni Trenta del secolo scorso e quella attuale. avvenuto che l´avidità e il successo individuale sono stati eretti a principio collettivo: l´ideale impossibile che tutti possano star meglio degli altri. Il che ha indotto istituzioni severissime, come le Banche Centrali, a praticare politiche di indebitamento sconsiderate, che a loro volta incoraggiavano comportamenti irresponsabili scorretti o criminosi da parte di amministratori, dirigenti, consulenti, di ogni ordine e grado.
 significativa l´analogia tra guasti ambientali e guasti morali dell´economia. Entrambi discendono dall´insostenibilità di comportamenti distruttivi: degli equilibri naturali nel primo, degli equilibri etici nel secondo caso. Ma questa insostenibilità non è il risultato di una patologia del sistema. invece il frutto di una esasperazione della sua logica. La logica del capitalismo è l´acccumulazione. La quale è per natura illimitata. Si dovrebbe dire, più propriamente, sterminata. Ed è una logica impossibile, quindi illogica.
 la logica della sterminatezza che sta alla base sia dei disastri ambientali che di quelli finanziari. E dovrebbe essere venuto il momento di opporre a questa logica dissennata l´etica dei limiti. Di combattere la vergogna criminale dei paradisi fiscali. Di limitare la «creatività» delle scommesse finanziarie. Di rallentare i movimenti di capitale speculativi. Di reintrodurre politiche dei redditi che proporzionino lavoro e produttività. Di introdurre misure di decenza nella sfrenata corsa delle rendite manageriali. Di osservare proporzioni programmatiche nella dinamica rispettiva dei consumi pubblici e di quelli privati.
Insomma, di realizzare una «moral reentry» dalla follia che ci ha condotto a questo passo. E che non riguarda solo l´economia, ma anche e soprattutto la politica. Vedete: quando dalla sommità della politica, si fa per dire, giunge un messaggio di comprensione dell´evasore fiscale, è lì che si misura il guasto arrecato all´etica del capitalismo. Quando io difendo le ragioni dell´antiberlusconismo non mi curo delle battute sulle donne (ciascuno ha i suoi gusti) ma dell´immoralità politica di quel messaggio (come di tanti altri dello stesso «tenore», nel doppio senso) e dell´insensibilità che insigni maestri di «liberalismo» dimostrano nell´accantonarlo.