
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Tutti gli anni il governatore della Banca d’Italia pronuncia un discorso che viene chiamato: «Considerazioni finali» e che chiude l’anno dell’Istituzione. Si tratta di un discorso che ha molto peso nella nostra dialettica politica. Prima di tutto, infatti, il governatore ci dice la sua sullo stato generale della nostra economia: trattandosi di un personaggio che è stato sempre scelto formalmente al di fuori della politica, questo giudizio, con la sua aria di essere neutrale, pesa. In secondo luogo, ogni volta si tenta di capire se il cosiddetto “inquilino di via Nazionale” (la sede centrale della Banca d’Italia è a Roma, in via Nazionale) è d’accordo col governo del momento, se ne condivide la politica fiscale o sociale, se ha suggerimenti diversi da dare, se un’eloquenza che non può non suonare impassibile, asettica e neutrale (e Draghi si sforza, tutte le volte che legge i suoi discorsi, di essere il più monotono possibile) non nasconda per caso critiche al presidente del Consiglio e ai suoi ministri...
• Stavolta?
Direi di no. Anche se il discorso è piaciuto un tantino meno del solito, come le dirò poi. Intanto Draghi ha detto cose che sappiamo: l’economia italiana è debole, questa debolezza durerà almeno per un anno, non è assolutamente detto che la fase di crisi mondiale provocata dai subprime e dall’improvvisa stretta generale del credito sia passata, le banche italiane tuttavia – grazie a criteri di gestione più saggi e prudenti (è sempre Draghi che parla) – hanno sofferto per i mutui molto meno delle altre, il nostro debito pubblico è esagerato e bisogna fare ogni sforzo per abbatterlo, la nostra pressione fiscale deve scendere al 40% del Pil (adesso è al 46 almeno), eccetera eccetera. Tutti discorsi con i quali siamo più o meno nell’ovvio: Draghi non poteva dire che quello che ha detto. I punti caldi – non proprio così ovvi – sono invece tre, e riguardano le pensioni, la pubblica amministrazione e il Mezzogiorno.
• Le pensioni? Non è ancora finita la storia delle pensioni?
Le pensioni sono un capitolo sempre aperto perché i numeri della demografia sono sempre in movimento, la vita media continua ad allungarsi, che lo Stato possa farcela a pagar tutti è sempre dubbio. In poche parole: Draghi esorta ad alzare l’età pensionabile e a permettere di lavorare anche a chi ha più di 65 anni, se vuole. Cosa che tante volte il sistema attuale impedisce. Notiamo di passata che il capo del partito dei pensionati, cioè Epifani, ha elogiato il discorso e non ha detto niente su questo punto.
• Mi immagino che sulla pubblica amministrazione abbia dato ragione al ministro Brunetta che vuole licenziare i fannulloni.
Il governatore non scende a questi livelli polemici. Ha inserito il problema degli statali all’interno del rilancio della produttività. Il concetto è: l’Italia produce poco, bisogna rilanciare la produttività, il discorso vale per il settore privato, ma anche per il settore pubblico. «Da più voci sale, ormai da tempo, la richiesta [...] di abbattere le rendite improduttive». Draghi premette: «Le cause del ristagno della produttività sono ormai ampiamente identificate». Quindi – implicitamente – non c’è troppo da discutere. Anche qui il capo della Cgil, che l’altro giorno dopo un quarto d’ora ha dato ordine di lasciare il tavolo del confronto col governo, stavolta non ha fatto un piega.
• E il Mezzogiorno? Ha parlato dei rifiuti?
No, niente rifiuti. Mentre parlava, a Chiaiano ricominciava il casino, ma lui non ne ha accennato. Ha invece fortemente incoraggiato il federalismo fiscale, questo è il punto dove si è esposto di più: «Il sistema dei trasferimenti agli enti decentrati» deve abbandonare «il criterio della spesa storica», bellissima espressione per dire che non si può continuare come prima. Intanto al Sud è scoppiata una specie di rivolta contro il taglio dell’Ici: siciliani e calabresi dicono che è un regalo alla Lega e che colpisce soprattutto loro. Draghi però ha fatto notare che in un Paese dove si produce ormai poco, il Mezzogiorno produce il 40 per cento meno del Nord, è devastato dal lavoro nero, dall’immobilità e dall’arretratezza. Il Sud tedesco - ha aggiunto -, cioè le regioni che appartenevano alla Germania comunista, ha prodotti in questi dieci anni molto più del resto di quel Paese.
• Le critiche?
Il discorso non è piaciuto a quelli di Rifondazione (Giordano, molto duro), a Cossiga («Draghi la smetta di giocare a superministro dell’Economia»), a Romiti (dice che Draghi ha sorvolato sui derivati di cui sono impestate le Regioni), ai dipietristi che non capiscono gli elogi per le banche. Per il resto: Berlusconi e Veltroni, Epifani e la Marcegaglia hanno applaudito senza riserve. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 1/6/2008]
(leggi)