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 2008  giugno 01 Domenica calendario

Lettere. Il Manifesto 1 giugno 2008 Il caso Franzoni e le mamme in galera VALENTINO PARLATO Egregio signor Valentino Parlato, siamo le detenute della sezione di Alta sicurezza del carcere femminile di Rebibbia

Lettere. Il Manifesto 1 giugno 2008 Il caso Franzoni e le mamme in galera VALENTINO PARLATO Egregio signor Valentino Parlato, siamo le detenute della sezione di Alta sicurezza del carcere femminile di Rebibbia. Abbiamo deciso di scriverle per far sentire anche la voce di tutte noi mamme detenute. Da diversi giorni, radio, televisioni e giornali non fanno altro che parlare della signora Anna Maria Franzoni, del trauma che stanno vivendo i suoi figli lontani dalla loro mamma e quello di doverla vedere in carcere. Premesso che nulla abbiamo contro la signora Franzoni, al contrario, ha tutta la nostra comprensione, poiché come mamme capiamo la difficile situazione che stanno vivendo lei e i suoi figli. Quello che non riusciamo a capire è il perché di tutta questa pubblicità. Se si vuole sensibilizzare l’opinione pubblica, ci chiediamo perché non lo si fa per tutti i bambini che, come quelli dalla signora Anna Maria Franzoni, hanno la propria mamma in carcere. Sentiamo dai telegiornali che, per non fa subire ulteriori traumi ai bambini della suddetta signora, è stato concesso loro di vederla in un giardino. Con questa lettera sentiamo il dovere di difendere i nostri bambini che vivono la tragedia dei colloqui settimanali in luoghi chiusi, dove non possono essere a stretto contatto con noi ma divisi da un largo, fisso ripiano di marmo, seduti su fissi cubi di marmo per non parlare di quei bambini che vedono la propria mamma, ristretta in regime di 41 bis, una volta al mese e divisi da un vetro senza poter avere un contatto umano e il calore di un abbraccio. La signora Franzoni è entrata in carcere con una sentenza definitiva, al contrario di alcune di noi che sono in custodia cautelare, quindi, con la presunzione di innocenza. Non si capisce la disparità di trattamento. Per la legge dobbiamo essere tutti uguali, ma l’esperienza di questi posti ci insegna che chi ha più santi va in paradiso, chi invece non ne ha è considerata cattiva e quindi destinata all’inferno insieme ai figli costretti a pagare colpe che non hanno. Crediamo con queste parole di potere interpretare il pensiero di tutte le mamme detenute nelle varie carceri italiane e rivolgiamo questa lettera a tutti coloro che a ragion veduta mostrano sensibilità nei confronti della tragedia personale della famiglia Franzoni invitandoli a usar la stessa sensibilità anche per chi vive le stesse tragedie ma...al di fuori del palcoscenico mass-mediatico. Distinti saluti Detenute della sezione di Alta sicurezza di Rebibbia, Roma Care amiche, la vostra lettera (penso che l’abbiate inviata anche a altri giornali) solleva un interrogativo assai pesante. Solo adesso, e solo per il caso Franzoni, le autorità si sono accorte che avere la mamma in carcere provoca traumi nei figli bambini e che, pertanto, occorre rendere più agevoli e meno traumatici gli incontri con la mamma in carcere. Questa scoperta è un po’ uno scandalo, ma - come dice il proverbio - lo scandalo può essere utile per rivendicare e ottenere un trattamento Franzoni per tutti i figli delle mamme in galera. La questione è seria: dovrebbe interessare i parlamentari delle commissioni competenti. In ogni modo il manifesto chiede - ritiene doverosa e utile - una risposta delle autorità competenti che dovrebbero estendere il trattamento Franzoni a tutte le mamme che sono finite in prigione. Aspettiamo una risposta. Care amiche, voi, anche grazie al caso Franzoni (va detto) avete sollevato una questione di civiltà e umanità sulla quale questo giornale (sono molto contento che abbiate pensato al manifesto) si impegnerà seriamente perché quella che avete posto non è solo una questione di umanità, ma anche di giustizia: più giusta, più equanime e meno crudele con i deboli. Scriveteci ancora, fateci sapere. Abbiate coraggio e tenacia. Aggiungo: dateci un indirizzo al quale inviare il manifesto, che a Rebibbia dovrebbe già circolare. A rileggerci Valentino Parlato I «futili» motivi Caro Parlato, anch’io, più o meno della tua fascia di età, ho svolto le tue stesse considerazioni sui ragazzi che hanno così «naturalmente» massacrato la giovanissima Lorena. Pure per i ragazzi di Verona ho fatto identiche riflessioni. In questo secondo caso la situazione appare aggravata dai futili motivi. La banalizzazione del male condanna, senza appello, la comunità umana. I giovani, che hanno così violentemente agito, hanno svolto il loro operare in una società più o meno scientemente costruita dagli anziani. L’evoluzione culturale è uno splendido strumento per fare fronte all’ignoto, ma i modelli e le sollecitazioni, presentati in questi ultimi decenni rivolgono l’attenzione in tutt’altra direzione. Gli adolescenti, i giovani, accettano per buono ciò che indica la comunità. Società intesa in modo globale, che comprende Famiglia, Stato, Religione e via dicendo. E mai, come in questi anni, si è dato poco valore alla vita umana ... degli altri. Se un giovane cresce assistendo a scenari di guerra e violenze, illustrati con linguaggi consenzienti e asettici, mentre viene consumato il pasto quotidiano, accetterà questi comportamenti come normale gestione del vivere. Questi ragazzi che spesso risulta abbiano frequentato le stesse aule scolastiche, sono frutto di ciò che è stato loro indicato. La sicurezza così tanto sbandierata a destra e a manca, non risolverà il problema sociale dei «futili motivi» se non cambieranno completamente gli obiettivi culturali. Ho il dubbio, però, che sia troppo tardi per apportare delle correzioni. Il sistema ha oltrepassato il confine sostenibile. Temo un peggioramento irreversibile dove i principi ideali saranno mutati e tutto quel che era considerato il peggio entrerà nella normalità. Si è smarrita l’indignazione, di conseguenza la reazione che ha, attualmente, costi troppo alti. Gli schemi, che credevamo corretti, sono tramontati. Considerazioni troppo buie ? Carla Stabielli, abbonata e azionista La fuga dalle riserve Splende sui muri della città e dei paesi della nostra Valle - non so se anche altrove, ma è probabile - un manifesto della Lega nord su cui campeggia la scritta «la fuga dalle riserve è iniziata». Di quali riserve si tratta? L’immagine di un capo indiano, ben in vista sul lato destro del manifesto, col suo caratteristico copricapo ornato di piume variopinte, pare suggerire che si tratta di riserve indiane; potrebbe dunque quell’immagine, metafora o simbolo che sia, aiutarci a capire il messaggio. Allora uno visita Survival international, la benemerita associazione internazionale per la tutela dei popoli tribali; consulta la rivista Tepee dell’associazione Soconas incomindios che si occupa dei nativi nordamericani; va a leggersi il capitolo dedicato alle riserve indiane di Nando Minnella, «Frecce spezzate» edito da Jaka Book, ma non trova da nessuna parte che nel nord dell’Italia, né altrove nel nostro paese, ci siano riserve indiane. Dunque sono fuori pista. Può darsi allora che gli indiani e le loro riserve siano metafore dei padani e delle loro terre. Ma non si capisce allora la parola fuga: non pare che i padani vivano in riserve e tanto meno vogliano fuggire dalle loro terre, delle quali sono anzi molto orgogliosi. A questo punto sono frastornato. Per favore, aiutatemi! Gigi Fioravanti, Sondrio