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 2008  giugno 01 Domenica calendario

Con questi numeri dove vogliamo andare? Libero 1 giugno 2008 Il rapporto annuale dell’Istat, appena pubblicato, contiene analisi dettagliate della situazione economica italiana e costituisce un’ottima fonte di informazione

Con questi numeri dove vogliamo andare? Libero 1 giugno 2008 Il rapporto annuale dell’Istat, appena pubblicato, contiene analisi dettagliate della situazione economica italiana e costituisce un’ottima fonte di informazione. Con l’av vertenza, che i numeri vanno sempre interpretati. Mi pare che la maggior parte dei commenti abbia perso l’occasione di fare il punto sull’andamento tendenziale della nostra economia e sui grandi problemi di fondo che ci allontanano dal Pil medio europeo fin dal lontano 1998. L’andamento della produttività, rileggendo i dati degli ultimi 6 anni presenta andamenti che a dir poco sono impressionanti. Dal 2001 al 2007 nell’industria in senso stretto la produttività è scesa del 1,1% e, L’intervento La lezione inascolata dell’Istat: le pi a causa dell’aumento del costo del lavoro, il costo del lavoro per unità di prodotto è salito del 19,5% a fronte di una diminuzione dell’ 1,6% nell’area dell’Euro. In queste condizioni competere in Europa diventa sempre più difficile, soprattutto per quelle imprese - le imprese minori e quelle che operano nei settori più tradizionali della nostra industria - che hanno una elevata intensità di lavoro. Nello stesso periodo la produzione industriale manifatturiera è rimasta sostanzialmente ferma, mentre gli investimenti si sono collocati su crescite marginali. I consumi, che sono la componente maggiore del Pil, a loro volta crescono moderatamente e ora soffrono in modo rilevante, a causa dell’inflazione percepita, che è sicuramente superiore al 5% e delle difficili condizioni dei lavoratori. Un elemento positivo viene invece dall’andamento delle esportazioni che è cresciuto in misura superiore (dell’1%) rispetto ai nostri principali concorrenti europei. Questo risultato non ha tanto un valore quantitativo (apporta un misero 0,1% alla crescita del Pil); per contro in Germania le esportazioni hanno compensato il calo della domanda interna. Un brutto neo è il saldo fortemente negativo con la Cina - 15,5 miliardi di Euro - che potrebbe essere ridotto se i nostri imprenditori mostrassero più aggressività. Comunque l’aspetto qualitativo è importante perché mostra, attraverso l’au mento in valore delle esportazioni, che le imprese, in particolare quelle minori, si sono mosse verso prodotti di più alta qualità, sono entrate in mercati nuovi (come la Russia) e hanno compiuto riorganizzazioni importanti. Altre indagini mostrano che anche le imprese dei distretti - che rappresentano oltre il 23 % degli occupati totali hanno una rinnovata capacità competitiva. Non mi sembra però il caso di gridare al grande successo se le esportazioni italiane sono cresciute di un punto più della media europea - ma sei punti in meno della Germania. Questo fatto, positivo e da seguire con attenzione, va accostato alla considerazione che gli investimenti diretti all’estero dell’Italia - un’internazionalizzazione ormai indispensabile - sono piuttosto scarsi. Purtroppo le considerazioni positive si fermano qui. I segni che ho appena ricordato fanno ritenere che le imprese minori abbiano ancora possibilità di miglioramento, ma è necessario evitare alcuni equivoci. assurdo e ingenuo continuare il dibattito sulla superiorità delle grandi o delle piccole imprese. L’industria è un sistema e senza grandi imprese è un sistema monco. Le grandi imprese creano management, aiutano a crescere miriadi di piccoli fornitori, creano start up ( o dovrebbero crearle), fanno ricerca e sviluppo, assumono più elevate percentuali di laureati e di tecnici, fanno formazione. La realtà ci dice che il cosiddetto "modello italiano" basato sulla prevalenza di piccole imprese, non è nato spontaneamente ne è stato programmato: si è progressivamente sviluppato anche a causa dei numerosissimi fallimenti della grande impresa italiana, spesso devastata dalla insipienza di troppi manager e da politiche industriali di protezione e di sussidio che hanno esaurito i fattori di base della competitività. Il modello italiano si è sviluppato spesso in parziale surroga delle crisi di Electrolux, di Enimont, di Farmitalia, di Ferruzzi, di Liquichimica, di Montedison, di Olivetti, di SIR, e di tante altre. La grande chimica è fallita miseramente, ma è sorto un sistema di imprese piccole e medie che fanno ottima chimica fine, per esempio in Lombardia. Per cui, ciò che è abbiamo di buono va sostenuto e vanno create le condizioni di contesto più adatte a far crescere le nostre imprese. L’osservazione spesso ripetuta che le imprese minori devono crescere non è uno slogan, ma una necessità. Flessibilità, inventività, sensibilità verso i mercati nuovi, orientamento al cliente sono certamente valori delle piccole imprese, ma essi non si perdono crescendo, ma si affinano e si arricchiscono. Come negli esseri umani, la crescita è l’aspetto più naturale della vita delle imprese. Ma le nostre piccole imprese rimangono piccole o, al massimo, si fermano sotto la soglia dei 500 addetti o poco più. Se vogliamo recuperare qualche cosa in termini di Pil non bastano le esportazioni, ma occorre guardare al mercato interno, agli investimenti e alla spesa pubblica, elevata, ma straordinariamente inefficiente. Se persiste questa situazione ben difficilmente la nostra economia riuscirà ad aumentare la produttività, a fare più innovazione, a erogare salari e stipendi più elevati, a migliorare ancora la quota di esportazione. Se il Pil italiano non cresce almeno del 2% all’anno non solo arretreremo ancora rispetto all’Europa, ma non si libereranno le risorse necessarie a far fronte alle nuove esigenze. Le condizioni di contesto danneggiano tutte le imprese, di ogni settore e dimensione e trasformarle in situazioni favorevoli allo sviluppo è il principale compito di questa maggioranza. Le riforme avranno effetti scaglionati nel tempo ma anche quelle che daranno risultati in tempi lunghi vanno avviate subito. Per fare solo qualche esempio la scuola e l’università, il processo civile, le varie norme autorizzative attendono riforme ispirate a efficienza e merito. L’elenco degli investimenti e degli impegni indispensabili purtroppo è molto più lungo. CARLO M. GUERCI