varie, 1 giugno 2008
BIANCHI Diego
BIANCHI Diego Roma 28 ottobre 1969. Blogger • «[...] detto Zoro e scritto con una erre sola per fare omaggio a Roma e per dare un tono allusivo a ”Tolleranza Zoro”, titolo della serie di video che lo ha reso uno dei blogger più celebri e seguiti del Web. L’ha cominciata [...] ai tempi delle primarie, esordendo con una ironica autobiografia e con il tallonamento di Veltroni candidato. L’ha arricchita in seguito con trovate funzionali ai tempi. Il Pd si faceva conflittuale e litigioso al suo interno? Zoro si sdoppiava in due, imbastendo dialoghi con un alter ego riconoscibile solo per una t-shirt diversa. Il Pd dava segni di non tenere più i pezzi? Gli Zoro diventavano tre e si cimentavano in dialoghi sconfortati dove - ad ulteriore denuncia dello stato ondivago della sinistra - le posizioni non erano mai ferme ma passavano dall’uno all’altro. In filmati home made, girati sempre da solo nel soggiorno di casa, con la macchina piantata su una pila di cd, dopo che si è rotto il cavalletto, Zoro ha macinato così 50 puntate, quasi tutte esilaranti, come quella sui ricatti incrociati, quella su attentati e souvenir, quella su liste e panini. E soprattutto quella sulla campagna elettorale del Lazio, dove la battuta sulla Bonino, ”c’avevamo solo questa”, è ormai un must. Se è vero che nel passato ogni epoca aveva il suo cantore, in questo presente multiplo e sfuggente Zoro occupa di diritto il posticino di interprete degli umori della sinistra. Lo fa usando un mix che sa produrre identificazione nel popolo della militanza smarrita: autocritica dolente e residuo orgoglio di appartenenza. Le credenziali per questo ruolo sono in regola. Figlio di comunisti militanti, a quattro anni già distribuisce ”l’Unità” porta a porta nel quartiere di San Giovanni e ha la mania di chiedere a chiunque incontri: ”Tu per chi voti?”, tranquillizzandosi solo quando gli rispondono Pci. A 10 fa le corse per portare panini con la mortadella agli scrutatori nei seggi elettorali. A 15 si iscrive alla Fgci e si fa le ossa di partito con l’ortodossia di Zingaretti e Cuperlo, salvo fondare un circolo separato e chiamarlo Woody Allen, andando a deflorare la sacra onomastica comunista dei Gramsci e delle Luxemburg ma anticipando l’Hollywood veltroniana. Fa in tempo a votare il Pci ma non si iscrive mai al Pd, ancora stordito dall’arrivo di Rutelli. Nel frattempo si è laureato in Scienze politiche con una tesi sulla Lega, discussa nientemeno che con Domenico Fisichella, ha fatto tutti gli stage non retribuiti in circolazione e alla fine ha trovato un lavoro come responsabile di un portale di prestigio immergendosi nella vita parallela di Internet. Lascia più tardi il posto fisso per diventare un osservatore dei tempi a partita Iva e [...] a 40 anni compiuti, riconosce che il doppio apprendistato nel Web e nel partito lo ha allenato a quell’umorismo disincantato che ne fa un animale comunicativo del tutto nuovo. Chi non passa la vita su Internet, ci ha messo un po’ ad accorgersi del talento di Zoro, ma a un certo punto è stata una corsa a prenderselo. Prima lo chiama Serena Dandini che, dopo un video sul raduno del Circo Massimo, ne intuisce la capacità di rinnovare il parterre un po’ ripetitivo dei suoi imitatori e battezza così il primo contenuto video che passa dal Web alla televisione. Poi Antonio Polito gli affida una rubrica settimanale su ”il Riformista” dove Zoro riceve finte lettere di democratici smarriti, provenienti da fantomatici circoli Pd che portano nomi eloquenti: Toghe Daltoniche, Disfare Passato, Barra Storta, Clima Iodio... [...] Inimitabile nella sua ”romanità” (le sue battute traslate in italiano perdono parecchio) quando va in trasferta Zoro non si risparmia. Si guarda intorno con occhi smagati dal mestiere e confeziona quadretti tragicamente comici. Nella Puglia delle [...] primarie si mette alle costole di D’Alema sbeffeggiandolo nella pretesa di imporre Boccia e poi accarezza con la macchina da presa l’enorme folla che applaude Vendola, mugugnando fuori campo lo slogan dei dalemiani: ”Vendola è solo!”. A San Remo tallona Bersani reduce dai fischi del teatro Ariston (’Sei caduto nel trappolone, eh! Licenziamenti, corruzione, spionaggi, fango, mignotte... e noi andiamo al Festival di Sanremo a farci prendere per il culo”) e ci delizia con il commento sulfureo sulla partecipazione di Emanuele di Savoia al dopofestival ”comunista” di Youdem, la tv ufficiale del Partito democratico. A L’Aquila diventa serio e mette su un documentario che non ha nulla da invidiare ai migliori reportage televisivi, ma lo infarcisce di spunti surreali, come le scenette sugli acronimi creativi imposti ai terremotati che sono costretti a vivere nei Map (moduli abitativo provvisori), mandare i bambini nei Musp (moduli scolastici), consolarsi pregando nei Mep (moduli ecclesiastici) e quando finalmente arrivano le Case, non sono semplici abitazioni ma, occhio alle iniziali, Complessi antisismici ecocompatibili. Una cultura enigmistico-aziendale paracadutata sull’Abruzzo e mai raccontata così bene. Non si appaia esagerati se si dice che Diego Bianchi ha una sua forma di genio. Fosse solo quella di aver piantato saldamente i piedi in quell’humus tra il dissacratorio e lo sconsolato della sinistra critica e sentimentale, attenta ad ogni errore al suo interno ma ancora capace di far barriera all’esterno. E all’esterno Zoro è anche capace di trattare con arguzia misurata gli avversari. Con Fini, a cui ha dedicato un intero video, gioca da par suo sull’esproprio di posizioni di sinistra; con la Polverini, che insegue nei mercati in campagna elettorale, usa una presa in giro garbata ma demolitoria: ”Tutti a dire che è una burina. Invece saluta tutti, buongiorno, buongiorno...”. [...]» (Stefania Rossini, ”L’espresso” 22/4/2010).