Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Oggi si vota nel Regno Unito…
• Che cos’è il Regno Unito? Perché diciamo “Regno Unito”? Perché non diciamo, più semplicemente, Inghilterra?
“Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord”. Che comprende quattro nazioni: Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord. Lei, assiduo lettore della Gazzetta dello Sport , dovrebbe saperlo: le quattro nazioni mandano ai campionati europei o mondiali quattro nazionali differenti. Chi sa che succederebbe se una volta schierassero una nazionale del Regno Unito… Ma qui sta il punto anche di queste elezioni: Galles, Irlanda del Nord e Scozia hanno un fortissimo senso di appartenenza e un sentimento non sempre amoroso verso l’Inghilterra. In queste elezioni, per esempio, c’è il caso della Scozia.
• La Scozia, l’anno scorso, tentò di rendersi indipendente, ci fu un referendum e i separatisti lo persero.
Sì, per un soffio. E in ogni caso, con il referendum, la questione non fu chiusa. A queste elezioni si presenta un partito nazionalista scozzese (Scottish National Party, SNP), guidato da una donna di piglio che si chiama Nicola Sturgeon e che secondo le previsioni prenderà tutti i seggi in palio in Scozia, diventando il terzo partito del Paese e forse determinante per la formazione del governo.
• I primi due partiti, naturalmente, sono i laburisti e i conservatori, cioè Labour e Tory.
Sì, in questo momento governano i conservatori guidati da David Cameron, i quali presentano numeri positivi agli elettori, perché l’economia britannica è quella che cresce più velocemente e la disoccupazione è meno della metà della media dell’Eurozona. Pure Cameron probabilmente perderà perché comunque la crisi ha tagliato i redditi e la ripresa degli ultimi tempi ha restituito poco o niente alle tasche dei cittadini. Come sa, una cosa sono i macronumeri e tutt’altra cosa i soldi della microeconomia quotidiana delle famiglie. Quindi i conservatori non arriveranno primi o arriveranno primi con un margine risicato e non è detto che qualcuno degli altri partiti sia disposto a dargli i voti mancanti per la maggioranza assoluta. Già nel 2010, Cameron era stato costretto ad allearsi con i liberaldemocratici e si era rotta l’antica tradizione secondo cui i partiti seriamente in lizza erano solo due e vinceva sempre con margine sufficiente uno dei due. Stavolta il quadro s’è ancor più spezzettato.
• Quanti partiti sono in corsa?
Oltre ai nazionalisti scozzesi, ai conservatori di Cameron e ai laburisti di Miliband, sono in campo i liberaldemocratici di Nick Clegg e gli antieuropeisti dell’Ukip (United Kingdon Independent Party), guidati da Nigel Farage che alle europee dell’anno scorso spaventò tutti col 27% dei suffragi. Stavolta i sondaggi lo accreditano di un consenso che oscilla tra il 10 e il 13%, e pochi seggi. L’analisi delle forze in campo ci dice che risulteranno primi, ma di stretta misura, o i conservatori o i laburisti. I conservatori di Cameron, nel caso, saranno costretti a reimbarcare i liberaldemocratici. I laburisti di Miliband dovranno trovare una qualche intesa con i nazionalisti scozzesi. Ma la capa degli scozzesi, Nicola Sturgeon, potrebbe anche non entrare al governo, costringere Miliband a un governo di minoranza e decidere di volta in volta che cosa approvare e che cosa no. Il potere d’interdizione e di condizionamento della simpatica signora sarebbe in questo caso notevole.
• Può esistere in Inghilterra un governo di minoranza? E, visto che abbiamo appena approvato l’Italicum, come funziona da loro il sistema elettorale?
Un governo di minoranza può esistere, perché la loro non è una democrazia parlamentare, cioè la Camera non deve dare al governo una fiducia preventiva. E il sistema maggioritario fa prevalere la personalità del singolo sull’etichetta di partito. Questo sistema maggioritario è molto semplice: si assegnano 650 seggi, il territorio è dunque diviso in 650 collegi, molto diversi uno dall’altro per estensione e popolazione. Ogni collegio esprime un solo deputato: quello che nell’unico turno elettorale previsto prende più voti. Non importa se il suo consenso è magari modestissimo, il 10 o il 15%: se è arrivato primo, va in Parlamento lui. Il sistema si chiama “first-past-the-post” che potremmo tradurre: il primo che taglia il traguardo. Visto il casino che hanno sollevato da noi i nemici dell’Italicum, figuriamoci che cosa non direbbero del sistema inglese in vigore da un paio di secoli (pur con tanti aggiustamenti) ed effettivamente padre non solo della democrazia occidentale più invidiata e prestigiosa, ma anche di molte storture. La prima delle quali è che il tuo partito può avere molti più voti del partito avversario, e ottenere però molti meno seggi se è arrivato troppe volte secondo nei singoli collegi. Ma lassù, anche se si sente parlare da qualche tempo di riforma elettorale, la cosa fa pochissima impressione.
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