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 2015  maggio 07 Giovedì calendario

Notizie tratte da: Giovanna Ruggiero, Salotto e Potere: i segreti di Piazza di Spagna. Renato Angiolillo, la storia di un grande editore, Falco Editore Cosenza 2014, pp

Notizie tratte da: Giovanna Ruggiero, Salotto e Potere: i segreti di Piazza di Spagna. Renato Angiolillo, la storia di un grande editore, Falco Editore Cosenza 2014, pp. 144, 10 euro.

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Il 14 ottobre 2009 i giornali diedero la notizia: “È morta Maria Angiolillo, regina dei salotti romani, vedova del fondatore de Il Tempo e senatore Renato Angiolillo. Aveva 83 anni, si è spenta nella sua casa romana a Trinità dei Monti dove era tornata dopo un intervento chirurgico”.

Il commento di Bruno Vespa: “Lascia questa vita l’ultima donna di un mondo ormai scomparso”.

Nel 2009 Renato Angiolillo jr, nipote del senatore, trovò tra i documenti del padre, Giuseppe Gaetano, un certificato assicurativo con un elenco di oggetti preziosi: diamanti, rubini, zaffiri, smeraldi e perle per oltre 100 milioni di euro, appartenuti al nonno paterno, che erano scomparsi dopo la morte di Maria.

Nato nel 1901 a Ruoti, in provincia di Potenza, da Giuseppe, avvocato, e Gaetana Martorana, Renato Angiolillo era l’ultimo di otto figli. A tredici anni raggiunse il fratello Amedeo a Napoli e lì mosse i primi passi da giornalista: a 18 anni al Giornale della Sera e due anni dopo come redattore capo all’Eco della Sicilia e delle Calabrie. A Napoli fondò il suo primo giornale, “Il Vecchio Paese”, e conobbe il primo amore, Olga de Gregorio, nobile sorrentina, che sposò, e da cui ebbe Mario e Giuseppe Gaetano. La donna scomparve prematuramente nel 1933.

Con l’avvento del fascismo, cominciarono le difficoltà per la libera espressione della stampa democratica. Di pensiero liberale, Renato Angiolillo infastidì con i suoi articoli qualche esponente del regime e venne spedito a Messina come caporedattore.

Quando capì che nella morsa del regime la libertà di espressione sarebbe stata limitata. Così abbandonò il giornalismo per tuffarsi nell’attività editoriale. Fondò e diresse, a Napoli, la casa editrice Tirrena, pubblicando collane di poesie dialettali e saggi politici.

Il fatto che Angiolillo scrivesse novelle e articoli di colore per Il Lavoro e Il Popolo di Roma firmando con pseudonimi, non fu sufficiente per il regime, che fece chiudere l’editrice Tirrena. Il conflitto con il fascismo costrinse Renato al confino a Bari dove, per nove anni, si dedicò alla pubblicità, radicandosi sul territorio tanto da essere eletto senatore, nel 1948, proprio in quel collegio.

Alla vigilia della Seconda guerra mondiale, Renato si trasferì a Roma e si dedicò al cinema come produttore, soggettista e sceneggiatore. Produsse, tra gli altri, il film “Un garibaldino al convento” di Vittorio De Sica. In quegli anni conobbe l’austriaca Olga Tschenet, con cui instaurò una relazione sentimentale.

Nel 1940 Angiolillo fondò la Ser-Società editoriale romana.

Il fascismo volgeva al termine e gli alleati stavano per liberare l’Italia, era il momento giusto per strizzare l’occhio agli americani. Così Angiolillo chiese all’autorità militare alleata l’autorizzazione a pubblicare il suo primo grande giornale e, il 6 giugno 1944, vide la luce Il Tempo, realizzato grazie a uno staff di amici e collaboratori. Erano in sei e Renato faceva il direttore.

Il Comitato di liberazione nazionale ottenne dall’autorità alleata la soppressione de Il Tempo in quanto, secondo gli accordi, era consentita la pubblicazione solo dei giornali organo dei loro partiti. Angiolillo riuscì a farsi riconfermare l’autorizzazione e così Il Tempo riprese le pubblicazioni con il sottotitolo “Quotidiano indipendente del mattino”.

Renato Angiolillo valutava i collaboratori non in base al colore politico ma alle capacità, riuscendo a inglobare uomini di sinistra ed ex fascisti. Fu anche questo uno dei segreti che lo portarono al successo in un momento difficile per l’informazione. Con la sospensione de Il Messaggero, Il Tempo si trovò a competere con i soli giornali di partito, potendo attingere ai collaboratori di altre testate, rimasti inattivi.

Il primo numero era composto da un unico foglio, venduto a 50 centesimi di lira, poi le pagine raddoppiarono. Grazie agli ottimi rapporti del direttore, le truppe alleate fornirono i diari di Galeazzo Ciano per una pubblicazione che regalò a Il Tempo il primato di vendite tra i quotidiani di Roma, consacrandolo primo giornale della capitale e secondo in Italia dopo il Corriere della Sera.

Il giornale di Angiolillo era popolare. Fu il primo a ospitare annunci economici, pubblicità a pagamento e necrologi. Ma fu anche il quotidiano che dedicò più spazio alla cultura, con le firme di Corrado Alvaro, Vitaliano Brancati e Alberto Moravia. Il vero cuore del giornale erano gli scoop.

Il Tempo si trasferì dalle piccole stanze di Piazza di Pietra a Palazzo Wedekind in Piazza Colonna.

Nel 1945 le testate sospese tornarono a pubblicare, ma Angiolillo non ne risentì. Il Tempo era ormai opinion leader nella sua linea conservatrice.

Angiolillo, antifascista ma non comunista, venne etichettato come uomo di destra e filoamericanio, ma era anche amico di personaggi di spicco del Vaticano e vicino a papa Pio XII.

Della sinistra, Renato non sopportava la tendenza ad appropriarsi di qualunque attività artistico-culturale.

Angiolillo si candidò alle politiche del 1948, nel collegio di Bari, nella lista Liberale con sostegno Dc. Da senatore intervenne contro la legge Scelba sulla repressione dell’attività fascista, invocando cristiana giustizia e responsabilità politica perché non si escludesse una parte cospicua di italiani. Per questo aiutò uomini come Pino Rauti e Giorgio Almirante a rientrare nei ranghi.

Non ebbe mai legami personali con esponenti partitici se non con Amintore Fanfani. Negli anni ’50, Il Tempo divenne portavoce autorevole di quel blocco conservatore.

In politica estera esprimeva posizioni nazionaliste, ma sempre molto allineate agli Stati Uniti. In politica interna sosteneva la necessità di un’apertura alla destra monarchica e neofascista. In politica economica rifletteva le posizioni della Confindustria.

Renato Angiolillo seguiva tutto della vita del giornale: dalla nascita di un’idea per un articolo al lavoro della tipografia. Conosceva i nomi di tutti, dalle firme prestigiose ai corrieri che consegnavano le copie, e leggeva tutti gli articoli, fiutando l’importanza della notizia, giudicando il taglio, e prevedendo le reazioni dei lettori.

Non sopportava chi ostentava cultura accademica. Per lui la cultura consisteva nel saper vivere. Le idee migliori, secondo Angiolillo, nascevano dalle situazioni informali, per questo le riunioni di redazione iniziavano parlando dell’ultimo film, di un programma televisivo o di un libro al ristorante Il buco di Via di Sant’Ignazio.

Dopo la prima moglie Olga De Gregorio e l’austriaca Olga Tschenet, il senatore conobbe Tina Perna, madre del suo terzo figlio, Amedeo, l’unico ancora in vita. Era nota per aver interpretato qualche film di Totò. I due ebbero una lunga relazione, ma non si sposarono perché lei non volle abbandonare il cinema. Renato ebbe anche altre storie sentimentali: con la modella Mary Sessa visse per cinque anni nella sua tenuta sull’Appia Antica, e con una nota dama romana ebbe una storia clandestina quando era sposato con Maria Girani.

Amico di Vittorio De Sica, Totò, i fratelli De Filippo, Aldo Fabrizi e Federico Fellini, Angiolillo era un uomo gradevole e cordiale, con un’attitudine al ruolo di perfetto padrone di casa che, unita alle conoscenze e alle doti della sua seconda moglie, Maria, fece nascere quel salotto di Piazza di Spagna considerato come un ramo del Parlamento.

Nel 1953 Renato venne ricandidato a Rieti contro un esponente Dc contrapposto a Fanfani: Attilio Piccioni. Qualche mese prima delle elezioni, un fatto di cronaca nera scosse i vertici del partito: venne ritrovato sulla spiaggia di Torvaianica il corpo di una ragazza, Wilma Montesi, scomparsa due giorni prima. Figlia ventunenne di un falegname, era in procinto di sposarsi con un agente di polizia; bella e con l’aspirazione di entrare nel cinema, ma tranquilla e impegnata a mettere a punto il corredo in vista delle nozze. Secondo l’autopsia probabile causa della morte sarebbe stata una “[...] sincope dovuta ad un pediluvio” e, con la teoria dell’incidente, il caso fu chiuso rapidamente. Ma i giornali erano scettici: Il Roma, quotidiano monarchico napoletano di Achille Lauro, amico di Angiolillo, avanzò l’ipotesi di una messinscena per coprire alcuni potenti. La tesi fu ripresa da altre testate, praticamente tutte tranne Il Tempo.

In un articolo di Marco Sforza sulla rivista comunista Vie Nuove, uno dei personaggi apparsi nelle indagini venne identificato come Piero Piccioni, musicista e figlio di Attilio, l’esponente Dc nemico di Fanfani e rivale di Angiolillo nel collegio di Rieti. Piccioni figlio querelò per diffamazione il giornalista che, sotto interrogatorio, non fece il nome della sua fonte. Ritrattate le affermazioni, pagò un’ammenda, e Piccioni lasciò cadere l’accusa. Alle elezioni la Dc vinse ma mancò il premio di maggioranza, così De Gasperi non venne rieletto primo ministro e Attilio Piccioni, coinvolto nel caso, non poté succedergli. La storia tornò alla ribalta quando il periodico scandalistico Attualità pubblicò il racconto di un’attrice, Adriana Concetta Bisaccia, che disse di un’orgia che si sarebbe tenuta a Capocotta a cui avrebbero partecipato Wilma e nomi noti della capitale. La ragazza avrebbe assunto un cocktail di droga e alcool e avrebbe avuto un malore. Il corpo esanime sarebbe stato abbandonato sulla spiaggia. Tra i nomi citati nell’articolo vi erano di nuovo Piero Piccioni, Pietro Spataro, figlio di un altro ministro democristiano, e il marchese Ugo Montagna, proprietario della tenuta di Capocotta. Il direttore di Attualità, Silvano Muto, venne indagato per aver diffuso “notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico”. Al processo ritrattò parzialmente le proprie tesi, salvo poi rinnegare la ritrattazione, e anche la Bisaccia, impaurita e forse minacciata, smentì le sue dichiarazioni. Poi una seconda ragazza, Maria Augusta Moneta Caglio Bessier d’Istria, aspirante attrice, raccontò di essere l’amante del Montagna e che anche la Montesi avesse una storia con lui. In un memoriale attribuì la responsabilità dei fatti a Piccioni e Montagna, confermando quanto scritto dai giornali. Il documento arrivò a Fanfani, allora ministro degli Interni, e contribuì a far sospendere il processo per il giornalista Muto e far ripartire le indagini: nello scandalo finì anche il capo della polizia Tommaso Pavone, per aver dato protezione a Piccioni e Montagna, che vennero arrestati insieme al questore di Roma, Polito, per favoreggiamento. Lo scandalo costrinse Attilio Piccioni a dimettersi da ministro degli Esteri. Il Tribunale di Venezia assolse con formula piena il figlio del ministro, Montagna e Polito. Molti ricondussero il ruolo di mandante al segretario Dc Fanfani e, visto il silenzio de Il Tempo sulla vicenda, qualcuno non escluse una regia di Renato Angiolillo.

Il giornale era avverso al centrosinistra (non risparmiava attacchi ai democristiani che volevano una coalizione con i socialisti) e a Enrico Mattei, presidente Eni, artefice di intese dirette con i Paesi produttori di petrolio, in contrasto con gli interessi delle grandi compagnie. Il Tempo suscitò l’interesse di Eni e, nel salotto di Villino Giulia, si dice che la mano di Fanfani influì sull’assetto societario della Ser quando, nel 1971, Eni ne acquisì il 33,3%.

Renato voleva creare la prima televisione privata. Aveva capito che per controllare l’informazione non bastava la carta, serviva Il Tempo TV. Le leggi dell’epoca, però, non offrivano ai privati possibilità di investimenti nel settore.

Nel 1959, in treno, Maria incontrò Renato Angiolillo. Si sposarono l’anno dopo a Roma, anche se lei risultava ancora legalmente coniugata. Il suo primo matrimonio fu annullato in Svizzera nel 1962 e l’atto divenne efficace in Italia l’anno successivo. Il giorno delle nozze con Renato, tutti sapevano della bigamia della Girani, tanto che il matrimonio fu trascritto nei registri solo quattro anni dopo la celebrazione.

Nata nel 1921 a Torrazza Coste, in provincia di Pavia, da Angelo Giuseppe, mediatore d’affari, e Betti Maria Rosa Alessandrini, casalinga, Maria si trasferì con la famiglia a Monza, dove cercò di conoscere la gente giusta. Con la sola licenza elementare, ma dotata di straordinaria intelligenza, era amica di Cristina Magliano e Cristina Vettore, donne belle e influenti, e con loro condivideva un bilocale in Via Cenisio a Milano, e frequentava “il bel mondo” tra viaggi a Montecarlo e party esclusivi. Angiolillo voleva fare leva sull’amicizia di Maria con Cristina Vettore, che nel 1965 divenne la seconda moglie di Henry Ford II, per coinvolgere il magnate americano nei suoi progetti editoriali. L’amicizia con la futura lady Ford consentì alla coppia Angiolillo-Girani di stringere legami con ambienti statunitensi e con la politica massonica anticomunista di cui Ford e la Cia erano esponenti. L’altra Cristina sposò Angelo Magliano, direttore del Giornale d’Italia, dell’Ansa e della rivista Europa; l’amica Lodovica, detta Cicci, sposò in seconde nozze l’industriale Ercole Locatelli. Faceva parte della comitiva femminile anche Maria Pia Tavazzani, partigiana, scrittrice e fotografa, che sposò Amintore Fanfani.

Nel 1956, a Roma, nacque Il Tempo Tv. La società chiese al ministero delle Poste e Telecomunicazioni l’autorizzazione a utilizzare canali per trasmissioni al di fuori della concessione Rai, provvedendo all’installazione di impianti trasmittenti, studi di ripresa e ponti radio mobili per le trasmissioni esterne per creare un servizio di radiodiffusione televisiva alimentato dai proventi della pubblicità, utilizzando sei frequenze inutilizzate dalla tv di Stato. Il Ministero bocciò la richiesta in base al Codice postale e delle telecomunicazioni, che concedeva in esclusiva alla Rai l’esercizio di quei servizi. Angiolillo impugnò la bocciatura davanti al Consiglio di Stato per sollevare una questione di legittimità costituzionale sul monopolio, ma furono dichiarate infondate sia la sussistenza del monopolio statale che “la questione di costituzionalità relativa all’esorbitanza del Codice postale dai limiti della delega, rimettendo alla Corte costituzionale le sole questioni relative alla compatibilità con la Carta costituzionale degli articoli del Codice relative al monopolio statale per la parte in cui concernono la televisione”. Il Tempo Tv si costituì quindi dinanzi alla Corte costituzionale che, nel 1960, pur prendendo atto che le utenze televisive erano destinate a una pluralità di voci, respinse la richiesta.

Maria aveva avuto precedenti amori con il petroliere Ettore Tagliabue e con l’aristocratico Elio Bianchi Milella. Da questi ebbe un figlio, Marco Oreste, nato nel 1947. A occuparsi del piccolo pensò sempre la sorella maggiore Giuseppina, detta Nuccia, mentre Maria continuava la sua vita in società. Dalla relazione con il conte Udo Frank Rosenthal de Beurges, imprenditore della porcellana, nacque nel 1956 Udo Maria Gregory Frank, detto Udo jr. Nel 1958 Maria sposò il padre del suo secondo figlio, ma il matrimonio fu annullato e lei allontanata dal secondogenito. L’esistenza di Udo jr resterà nascosta a tutti fino al 2012.

Sempre nel 1959 Renato conobbe Gianni Letta, che aveva iniziato a lavorare a Il Tempo. I due avevano molto in comune: entrambi di origini provinciali, laureati in legge e figli di avvocati, entrambi componenti di una famiglia con otto figli. Letta piacque subito al direttore. Arrivato a Roma, si alternò tra due attività: giornalista a Il Tempo e addetto stampa della Federazione nazionale dei cavalieri del lavoro.

Nel 1959, Angiolillo acquistò Villino Giulia a Piazza di Spagna, una piccola reggia a Rampa Mignanelli 8, affacciata sulla più famosa scalinata del mondo. Costruito negli anni ’20, il progetto risaliva a quarant’anni prima. 540 metri su quattro piani, con un cortile interno di 300 metri. Tre camere da letto, quattro bagni, un terrazzo, e molti salotti e salottini. Una grande sala da pranzo con tre tavoli, denominati Alba, Meriggio e Tramonto. Ma il luogo più amato dagli ospiti della casa era il piccolo ascensore interno che scendeva nella sala.

Maria e Renato vivevano a Villino Giulia da soli. I rispettivi figli minorenni, Marco e Amedeo, stavano con zia Nuccia, la sorella di Maria. Gli altri figli di Renato, Mario e Giuseppe Gaetano, erano adulti.

Le doti di mediatore di Gianni Letta si rivelarono fondamentali per l’azienda. Divenne prima portavoce di Angiolillo e poi amministratore delegato de Il Tempo. Il delfino di Renato, alla sua morte, ne erediterà direzione (fino al 1987, quando entrò in Fininvest), agenda e amicizie.

Si racconta che Renato fosse solito tenere in tasca tre diamanti per giocherellarci con le dita. Ne aveva acquistati talmente tanti da creare una collezione con tanto di catalogo e perizia del più rinomato gemmologo del Novecento: Harry Winston. Assicurava tutte le pietre.

Varcavano la soglia di casa Angiolillo potenti della politica, degli ambienti ecclesiastici e dei potentati imprenditoriali. Non mancavano i salotti letterari, visto l’amore del direttore per le poesie e il cinema. Maria invece amava circondarsi di artisti, ma la sua specialità divenne favorire i poteri forti, incanalando gli affari dei suoi ospiti.

Tra i gioielli che Renato acquistò c’era il Princie, un diamante rosa da 34.65 carati appartenuto alla Maharani di Baroda. Della collezione Angiolillo, composta da collane di rubini, orecchini di smeraldi, spille di zaffiri a forma di lucertola, quella pietra era la più spettacolare.

Nel 1973 Renato scoprì di avere un tumore al cervello e subì un’operazione. Dalla cartella clinica risulta che nella settimana post-operatoria era incosciente e non autosufficiente, ma in quei giorni dettò il testamento al notaio. Un atto non firmato, perché non era in grado di muovere gli arti superiori. Dimesso dalla clinica, Angiolillo fu portato nella tenuta sull’Appia e lì fu raccolto, in presenza di testimoni, un secondo testamento, anch’esso non firmato.

Renato aveva lasciato le quote societarie di Villino Giulia, con tutti gli arredi, alla consorte Maria Girani, in virtù di un matrimonio di dubbia legittimità. Aveva nominato come esecutore il suo avvocato, affiancandogli due coadiutori, un altro legale e Gianni Letta. Per il diritto di famiglia dell’epoca, il coniuge superstite non era erede, ma usufruttuario a vita dei beni, quindi il resto dell’eredità era dei tre figli di Renato: le azioni de Il Tempo, la società Agricola Appia che comprendeva villa, scuderia e altri immobili, e beni mobili, come i preziosi. Quindici giorni dopo, Angiolillo morì. Era il 16 agosto 1973.

A decidere delle quote del senatore nella società editoriale, furono Maria e Gianni Letta, con il consenso dell’ultimogenito Amedeo. Le azioni passarono a Carlo Pesenti, fondatore di Italcementi vicino a Giulio Andreotti. La direzione del quotidiano, su indicazione e pressione di Maria Girani, fu affidata a Letta, ma il quotidiano, dopo la morte di Angiolillo, calò notevolmente nelle vendite.

Bruno Vespa raccontò che una sera, nel 1995, a Villino Giulia si presentarono Letta e D’Alema: “Davanti a una terrine d’esturgeon fumé, accompagnata da una buonissima annata di Chambertin Louis Latour, i due ipotizzarono, come alternativa alle elezioni anticipate, la nascita di un governo di ‘larghe intese’ presieduto da Antonio Maccanico”. Quando qualcuno chiedeva a Maria se davvero alle sue cene si decidessero i governi d’Italia, i direttori di giornali, le presidenze Rai, lei rispondeva: “Forse, chi lo sa”.

L’arredo di Villino Giulia era stato scelto dalla coppia. Il secolo di riferimento era il ’700 francese, ma c’erano anche arredi barocchi e oggetti in porcellana Messein e Capodimonte. E poi vi erano, come amava Maria, le sculture contemporanee in terracotta, marmo e bronzo, realizzate dall’amico Igor Mitoraj. Il pezzo più pregiato era una coppia di tele settecentesche di Antonio Joli.

Le regole per essere una perfetta padrona di casa Maria le aveva apprese dalla principessa Colonna: negli anni Sessanta gestiva a Roma un salotto aristocratico e lei vi aveva preso parte, presentandosi al suo debutto con un abito corto, decisamente inadatto. Sbagliando s’impara, e da quella frequentazione imparò tutto ciò che era conveniente, affinando con gli anni l’arte dell’ospitalità.

La puntualità era indispensabile. Erano ammessi, al massimo, dieci minuti di ritardo. L’unico cui era consentita l’eccezione era Letta; chiunque altro non avesse rispettato la regola non sarebbe stato più invitato. L’arrivo per cena era fissato alle 21.15, per sedersi a tavola alle 21.30 e alzarsi alle 23, così da permettere a chi veniva da fuori di prendere il volo da Ciampino per rientrare.

Nessuna amante degli invitati ha mai varcato la soglia del villino: “Mogli sempre, amanti mai”, racconta Bruno Vespa. “Anche quando l’unione era stata ufficializzata, quando tutti sapevano e frequentavano normalmente la coppia. Ci fu, a mia memoria, una sola eccezione: un industriale importante viveva con una splendida donna. Chiese più volte di farsi accompagnare da lei a una delle cene che riunivano ogni mese trentasei ospiti in tre tavoli da dodici, e Maria diceva sempre di no. Una sera l’incantesimo si ruppe… lei andò da ciascun invitato e sottovoce disse: ‘Mi ha giurato che la sposa.’”.

Sono rarissime le interviste rilasciate da Maria Angiolillo. Come “A cena da Maria”, nel 2000 ad Antonio Padellaro, allora giornalista de l’Espresso. Per decenni nessuno ha saputo degli incontri in casa sua, nessuno ne aveva mai parlato sugli organi d’informazione fino a quando iniziarono gli appostamenti del fotografo Umberto Pizzi da Zagarolo, di Dagospia. Il sito di gossip la chiamava “Maria Saura”.

Forse tra gli ospiti ci fu qualcuno che ruppe la regola della riservatezza fornendo date e nomi degli invitati. Maria e il paparazzo appostato davanti a casa sua si punzecchiavano: Pizzi le chiedeva la sua vera età e lei rispondeva di rivelare i suoi anni se lui avesse reso noto il suo informatore.

Negli anni Settanta si parlò di un legame tra Licio Gelli e Maria. La Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2 scoprì che la vedova era vicina a Bruno Tassan Din, direttore generale del Gruppo Rcs e longa manus della mente della P2, Umberto Ortolani, che aveva favorito gli affari di Gelli in Sud America e col Vaticano, ed era accusato di essere al centro degli intrighi della loggia nel caso Rizzoli e nel crack del Banco Ambrosiano.

Tassan Din scelse Maria Girani come referente a Roma. A spiegarlo alla Commissione d’inchiesta è stato Angelo Rizzoli jr: Maria gli affittava in nero, per 25 milioni di lire al mese, il suo salotto per le pubbliche relazioni. Sempre secondo Rizzoli, Maria faceva lo stesso anche con altri personaggi, come Silvio Berlusconi, che sembra le versasse denaro per entrare nelle grazie del potere capitolino, e il banchiere Roberto Calvi.

Nel 1981, travolto dal fallimento del Banco Ambrosiano, Calvi venne arrestato. Dall’inchiesta parlamentare risulta che la moglie, Clara Canetti, quando lui tentò il suicidio in carcere, chiese aiuto a donna Maria. E la regina dei salotti intercesse presso l’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, e il direttore generale Lamberto Dini, per rassicurare Calvi: lo scorporo del suo Gruppo sarebbe avvenuto come lui desiderava. Il prezzo per questa “benevola intercessione” fu di 10 milioni di lire.

Negli anni Ottanta il centro del potere si era spostato a Milano, dove primeggiava Bettino Craxi. Lui fu sempre diffidente verso Maria e fu uno dei pochi politici italiani a non mettere mai piede nel villino.

Fanfani, Andreotti, Bisaglia, Dini, D’Alema, Berlusconi, Rutelli, Veltroni, Fassino, Bertinotti, Bersani. È stato il salotto di Maria Angiolillo a civilizzare, nel mondo mediatico, il barbaro Umberto Bossi. Ma l’atrio della casa è stato varcato anche da cardinali, come Agostino Casaroli, primo ministro dello Stato Vaticano il cui nome figura nella lista dei 121 ecclesiastici presunti massoni. Anche il cardinale Giovanni Battista Re, sostituto per gli Affari generali della segreteria della Santa Sede, era molto legato al duo Letta-Girani, tanto da partecipare spesso agli eventi in casa Angiolillo. Poi c’era il mondo imprenditoriale con Agnelli, Tronchetti Provera, i Caltagirone. Soprattutto Francesco Bellavista Caltagirone è stato una presenza predominante nella vita di Maria. A lei ha dedicato il Porto della Concordia costruito a Fiumicino. Ancora, ospiti del salotto Angiolillo erano i direttori di giornali e tg, i giornalisti Vespa, Rossella e De Bortoli, gli avvocati Giuseppe Consolo, Mario D’Urso e Giulia Buongiorno.

Una sera Claudio Sabelli Fioretti si appostò all’ingresso del villino con Umberto Pizzi di Dagospia, per assistere al rito della cena: “Pizzi sono anni che partecipa a questa sceneggiata. Qualcuno a volte protesta ma i più lo considerano parte del programma. Romiti, Fini, Prestigiacomo, Rossella, Calabrese, Tatò, Raule, Gasparri, d’Urso, Scajola, Andreotti, Bongiorno, Del Noce, Pera, Buonamici: la Roma che conta, una volta al mese, si attovaglia, come direbbe Dagospia, attorno ai tre tavoli da dodici dell’anfitriona Angiolillo. Ma prima e dopo la cena si beccano Pizzi. Mentre li aspettiamo, Umberto mi spiega qualche particolare del rito. Le donne arrivano quasi sempre per prime, spesso sole, elegantissime. Gianni Letta, Francesco Caltagirone e Sandra Carraro ci sono praticamente sempre. Letta è solito arrivare per ultimo. Solo a lui è consentito il ritardo, gli altri vengono sgridati… Ma come fai, dannato Pizzi, a sapere sempre la data della cena? ‘Questi sono segreti professionali. Maria non è mai riuscita a scoprire la spia’. Arrivano. È Ademaro Lanzara, vicepresidente Bnl. Alle 21 arriva Maurizio Belpietro… si meraviglia di vedermi. A tutti darò la stessa spiegazione: ‘Sto scrivendo un libro su Pizzi’. Arriva Consolo, avvocato di An, poi Sandra Carraro, Francesco Caltagirone, Antonio Polito. Vegas (sottosegretario di Tremonti), Beretta (Confindustria), Vespa e signora che passano oltre come Magnaschi, direttore dell’Ansa. De Bortoli. Alle nove e venti cinque giovanotti neri con occhiali scuri preannunciano l’arrivo di Pisanu con signora. Ecco De Bustis, Deutsche Bank. In ritardo Massimo Franco del Corriere della Sera. Ultimo Gianni Letta. Gentilissimo, rallenta per favorire il fotografo”.

Pierluigi Magnaschi a Maria Angiolillo: “Ma che fai, lasci fuori della porta Sabelli Fioretti?”. E lei: “Ma chi la conosce questa Isabella Fioretti!”.

Sabelli Fioretti: “Si siedono attorno a un tavolo ovale e fanno fuori paté di foie gras, faraona con farro castagne e patate, ricotta con miele, spumone di nocciola. A destra di Maria siede Pisanu, a sinistra Letta. Si parla di Lapo… Pisanu anticipa che la riforma elettorale passerà alla grande. Tutti si dichiarano contrari alle quote rosa. Vegas si esibisce in tagli alla finanziaria. Finita la cena, Massimo Franco monopolizza Pisanu in un salottino, in un altro salotto si forma un crocchio comandato da Vespa e Letta. Pizzi mi dice: ‘Il salotto si sta insinistrando. Prima veniva invitato solo Bersani. Adesso arrivano Fassino, Enrico Letta, Rutelli, Veltroni, Polito, perfino Bertinotti. Non si vedono più Dell’Utri, Bossi, Castelli, Jannuzzi’”.

Sabelli Fioretti: “Comincia l’esodo… Esce Vespa. ‘È più importante Porta a Porta o il salotto della Sora Maria?’ Brunello non ha dubbi: ‘La mia è la Terza Camera. Questa è la Prima’”.

14 ottobre 2009. Dagospia. “Questa mattina alle 10 è morta Maria Angiolillo, regina di Roma inciuciona. Da decenni il suo salotto era la stanza di compensazione della Repubblica. Pontefice massimo: Gianni Letta. Tutte le diatribe si attovagliavano da Maria Saura; Bossi, Berti-Nights, Veltroni, D’Alema, Fini, lady Ciampi, cardinali e vescovi, Tronchetti Provera. Tutti insieme secondo il codice andreottiano: perché escludere quando si può aggiungere? Per Dagospia, che lei amava odiare, è una perdita insostituibile”.

Ai funerali, nella Chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, c’erano i fedelissimi Sandra Alecce, Francesco Bellavista Caltagirone, Igor Mitoraj, Bruno Vespa e la moglie Augusta Iannini, Pippo Baudo, Edwige Fenech, Branko, Ferruccio De Bortoli, Stefano Folli, Clemente Mimum, Antonio Di Bella, Roberto D’Agostino e Carlo Rossella. E poi ancora le signore Ciampi e Fanfani, la moglie di Almirante, Alberto Aleotti della Menarini. E una sfilza di politici: Gasparri, Scajola, Prestigiacomo, Matteoli, Alemanno, Ciarrapico. E ovviamente Gianni Letta, che le ha dedicato un lungo saluto: “Maria, ci siamo tutti, nessuno è arrivato tardi, era una cosa che ti faceva trepidare e che difficilmente perdonavi”, ha ricordato.

Nel 2012 si apprese che la procura di Campobasso stava indagando sulla scomparsa dei gioielli del valore di centinaia di milioni di euro indossati da Maria. Il fascicolo era stato aperto con l’accusa di appropriazione indebita contro ignoti. Accanto al pm Fabio Papa, l’altro nome che veniva segnalato era quello dell’avvocato della parte offesa, Luigi Iosa.

Dopo la morte di Maria si è aperta una guerra tra gli eredi del senatore Angiolillo e il primogenito della donna, Marco Oreste Bianchi Milella. I rapporti tra i coniugi erano buoni, come anche quelli tra i tre figli del senatore e donna Maria. Gli Angiolillo, dopo la scomparsa di Renato, avevano preferito non aprire una contesa, ma ricordare a Maria che era una mera detentrice dei gioielli, acquistati dal senatore come investimento per il futuro dei figli.

E’ stata custode del tesoro che aveva promesso di restituire ai legittimi proprietari dopo la sua morte. Perché non mettere per iscritto la promessa? Secondo Maria, sarebbe stato sconveniente per ragioni fiscali. Morta lei, il figlio di Gaetano, Renato jr, rivendicò quella parte di eredità rimasta in sospeso per quarant’anni, d’accordo con i parenti.

Durante il funerale di Maria, Renato jr invitò il figlio della donna, Marco, a farsi vivo per “chiarire le questioni in sospeso”. Ma da allora calò il silenzio, così e Renato jr iniziò a cercare i gioielli. Tra i documenti del padre trovò cinque lettere indirizzate a Maria Girani in cui si parlava dei gioielli e si ribadivano l’accordo sull’uso e la proprietà in capo ai soli tre figli di Angiolillo. Tra le carte spuntò una polizza, intestata al senatore e stipulata nel 1973, che assicurava 21 gioielli per un valore di quattro milioni e quattrocentomila franchi francesi, un miliardo e 300 milioni di lire. Renato jr e lo zio Amedeo si rivolsero a diversi avvocati e nessuno volle occuparsi del caso.

Un penalista di Campobasso, Luigi Iosa, accettò l’incarico e fece presentare a Renato jr una denuncia. Le indagini, per via dell’ipotesi di una frode fiscale, vennero affidate alla Guardia di Finanza. Dalle visure camerali delle società riconducibili o appartenenti ai soggetti coinvolti, emerse che Trinità di Spagna, la società proprietaria di Villino Giulia lasciata in eredità a Maria, era stata amministrata da un tal Duilio Bizzaglia. Ne deteneva la proprietà la Piazza di Spagna srl, costituita dal senatore e amministrata sempre da Bizzaglia. La Piazza di Spagna è a sua volta controllata da una terza società, l’Etablissement Sepana, con sede in Liechtenstein, e amministratore è Anna Leucci. Duilio è il marito della governante di Maria, Teresa. Disse che conosceva poco la regina dei salotti romani, aveva con lei un rapporto formale e che l’incarico di amministratore gli era stato affidato dal suo predecessore di cui non ricordava il nome. Su Anna Leucci, invece, la Guardia di Finanza non indagò mai.

Renato jr raccontò di strani discorsi sul matrimonio tra il nonno e Maria, illegittimo secondo quanto si diceva nella redazione di Piazza Colonna. Maria si sarebbe sposata in presenza di un impedimento che comporterebbe la nullità del matrimonio con conseguenze sull’eredità. Per questi motivi, la tesi accusatoria nell’inchiesta sui gioielli evidenzia che la Girani non poteva essere neppure usufruttuaria dei beni.

Le fiamme gialle ascoltarono la governante, che dei gioielli disse di non sapere nulla, ma fornì un’informazione: quand’anche ci fossero stati gioielli a Villino Giulia, tutto era stato portato a Londra, dove si sarebbe tenuta un’asta per la vendita. I discendenti Angiolillo nel 2010 scoprirono infatti che Christie’s aveva venduto l’arredo del villino per sei milioni di euro e che Sotheby’s aveva messo in vendita l’immobile. Secondo indiscrezioni, a vendere tutto all’asta fu Marco Bianchi Milella.

Nell’estate del 2010 il pm Papa si affidò ai Carabinieri. Si scoprì che Sotheby’s aveva in programma una vendita di gioielli e che il pezzo da novanta sarebbe stato un diamante rosa da 24,78 carati. Era il Princie Diamond, tagliato?

I carabinieri riascoltarono Renato jr, che disse di ricordare bene un anello perché indossato da Maria nel loro ultimo incontro. Con zaffiro, lei lo chiamava “l’anello blu”.

I carabinieri sentirono anche la migliore amica di Maria, Alessandra Alecce, moglie di Franco Carraro: “Maria aveva dei gioielli”, confermò, “ma non saprei dire se fossero di sua proprietà”. Il diamante rosa non lo vide mai, ma ricordava l’anello blu. Inoltre, sapeva che gli arredi di Villino Giulia erano stati venduti su richiesta di Marco da Christie’s nel 2010. I carabinieri scoprirono che l’avvocato di Marco, Edoardo Angelo Disetti, non solo era diventato amministratore delle due società immobiliari, ma aveva anche una procura dalla sorella di Maria per la vendita dell’arredo.

Villino Giulia fu venduto a Sotheby’s per 35 milioni di euro.

Marco Oreste Bianchi Milella nel 2011 si trasferì a Montecarlo con la nuova compagna Corinne Persenda.

Si venne a sapere che qualche anno prima, nel tentativo di trovare un collegamento tra esponenti dell’alta finanza meneghina e Maria, la procura di Milano aveva fatto perquisire Villino Giulia. Sembra che allora fosse stata trovata una busta di gioielli nel bagno. Il pm Papa convocò il maresciallo autore del ritrovamento, in pensione, ma non fu possibile ascoltarlo perché morì poco prima.

Il nome di Maria Girani risultò anche negli atti dello scandalo Menarini, l’industria farmaceutica del suo amico Alberto Aleotti, accusata di truffa aggravata per aver commercializzato farmaci a prezzi maggiorati. La procura di Firenze indagò sugli intrecci che avrebbero consentito ad Aleotti di trasferire capitali nei paradisi fiscali. Operazioni finanziarie che, sembra, furono possibili grazie all’aiuto di Maria. Da quell’inchiesta emerse che anche lei aveva conti esteri su cui versava i proventi delle mediazioni salottiere, e che il suo uomo di fiducia era il capo di Stato maggiore della Guardia di Finanza, Michele Adinolfi.

Il pm di Firenze, Luca Turco fece sapere che c’erano intercettazioni telefoniche effettuate a Villino Giulia in cui Marco Bianchi Milella parlava con un amico della sparizione di gioielli.

In una telefonata intercettata tra la governante Teresa e l’amica, Cicci Locatelli, quest’ultima chiese informazioni sull’andamento della vendita della casa e Teresa ammise le difficoltà (“è una casa complicata”) e si lamentò di Marco, persona difficile. Cicci parlò dell’asta con il diamante rosa. Entrambe pensavano si trattasse del pezzo della collezione Angiolillo che aveva Maria. Al telefono, Teresa rivelò che Marco aveva “regalato la collana di rubini, quella rossa, a Corinne”. “Questo Marco non va a finire bene” affermò la Locatelli; nella conversazione le due donne si dissero convinte che Corinne lo avesse scelto solo per i soldi. “Vedrai, Teresa, adesso prenderà tutto e poi... via” preannunciò Cicci. “E questo si merita lui” replicò Teresa.

Nel 2010, dopo l’asta a Ginevra, Sandra Carraro telefonò a Nuccia Girani. “Ma Maria aveva un brillante rosa?” chiese. Nuccia, titubante: “Credo di sì ma non sono sicura. Perché?”. Sandra disse che Cicci Locatelli le aveva raccontato della vendita. “Aveva la forma di un cuscino vero?” chiese Sandra. Nuccia confermò: “Sì, sì, era un cuscino”. A Sandra tornò all’improvviso la memoria: “No, non è quello. Sono sicura perché l’ho visto fotografato”, disse parlando del diamante venduto, “non mi sembrava il suo. Io me lo ricordo benissimo. Che poi, Maria ultimamente non lo metteva più”. “Aveva paura del ladri” disse Nuccia.

Nuccia temeva di non incassare nulla per via dell’atteggiamento poco trasparente del nipote. Gli raccontò una conversazione con Giuseppe Consolo: “Mi dice: ‘Cicci mi ha detto che Marco ha venduto il diamante rosa per quaranta’”. Marco tagliò corto: “Stupidaggini”, ma poi chiamò l’altro imputato, il gemmologo Fontaine, per parlargli dei dubbi che quel diamante fosse il Princie Diamond. Lui spiegò che non poteva trattarsi della stessa pietra: “Quella era un taglio smeraldo” “E il nostro?” chiese Marco. “Ovale”.

Teresa Ciancone chiamò Vincenza Carlà, la donna che accudiva Angiolillo durante le vacanze nel Principato. Parlarono della difficoltà a vendere il Villino Giulia. “Una casa adatta solo a Maria, son tutti saloni. Su sei piani c’è solo una camera da letto… Bastava per i ricevimenti e basta”. La paura di Maria era che Corinne si impadronisse dei suoi beni: “Si prende tutto quella puttana, diceva” raccontò Vincenza riportando le parole di donna Maria.

Prima di morire, Maria si era raccomandata con il figlio: Corinne non doveva mettere piede a Villino Giulia e la metà dei gioielli dovevano andare ai due figli di Marco. Una raccomandazione inutile, visti i regali di Marco a Corinne, e che lei si era persino occupata della vendita dell’arredo all’asta, selezionando cosa vendere e cosa tenere. “Se proprio voleva aiutare i suoi nipoti”, commentò Teresa al telefono, “avrebbe potuto vendere una parte dei gioielli. Invece li portava sempre con sé, era fissata”.

Raccontò Teresa a Vincenza che Corinne avrebbe acquistato case a Parigi e Montecarlo grazie alla vendita dei gioielli e che anche dalla vendita dell’arredo del Villino, fruttato sei milioni di euro, mancava qualcosa: “Prima che la roba partisse per l’asta, è venuta lei a scegliere le cose da portare a Montecarlo. Ha scelto della roba favolosa” raccontò la governante.

La giornalista Candida Morvillo, seguendo l’indiscrezione di Dagospia su una figlia segreta di “Maria Saura”, si mise alla ricerca e nel 2012 lo scovò in Sudafrica. “Udo Frank de Beurges: sono il figlio segreto di Maria Angiolillo” titolò “Mia madre Maria Girani è ancora viva, abita in via Rampa 8 a Roma”. Fu Morvillo a riferirgli che la madre era morta tre anni prima. Lui l’aveva incontrata a Roma alla fine degli anni ’80 perché gli aveva messo a disposizione Villino Giulia per le nozze. Perché Marco non aveva avvisato suo fratello della morte della mamma? Se lo chiedeva lo stesso Udo, che annunciò: “Chiederò quello che mi spetta”. Nel 2013, Cicci Locatelli riferì al telefono di una “liquidazione” milionaria che Marco aveva dovuto affrontare per accontentare il fratellastro.

Renato jr, che negli ultimi giorni di vita stette vicino al nonno, non ha dubbi: era incapace di intendere e di volere al momento della dettatura dei testamenti. L’avvocato Iosa consegnò al pm una consulenza tecnica a firma di un neurochirurgo che, valutata la cartella clinica del senatore, accertò che non poteva testare. In pratica, i due testamenti erano falsi.

Gianni Letta, unico coadiutore dell’esecutore testamentario ancora in vita, rispose vagamente alle domande degli inquirenti. Confermando il suo stretto legame con il senatore, fu riservato sul rapporto tra Maria e Renato e non disse nulla di utile sui gioielli. Quanto allo stato di salute del senatore al momento dei testamenti, raccontò che negli ultimi giorni di vita Angiolillo si era ripreso tanto da recarsi con lui al Congresso della Dc.

Ai carabinieri, Francesco Bellavista Caltagirone, che era stato molto vicino a Maria, tanto da assumere il figlio Marco nel cda della sua azienda, raccontò che si diceva in giro che la compagna di Marco, Corinne, fosse solita indossare i gioielli.

A Marco Bianchi Milella si aggiunse un altro indagato: Louis Hervé Fontaine, gemmologo svizzero residente a Montecarlo, tra i migliori professionisti al mondo nella valutazione dei gioielli.

Nel 2012 i carabinieri riascoltarono Sandra Carraro e Teresa Ciancone, reticenti nei precedenti interrogatori. Carraro confermò che il diamante rosa di Maria aveva caratteristiche diverse da quello venduto a Ginevra e confessò di aver saputo che lo aveva preso il figlio di Maria. Teresa invece ammise che Nuccia Girani aveva eseguito la volontà della sorella, raccomandandosi con il nipote affinché utilizzasse il denaro ricavato dalla vendita dei gioielli per i suoi figli, e che invece lui aveva regalato parte di quei preziosi alla compagna. Raccontò anche che era stata Corinne a scegliere cosa vendere all’asta a Londra e cosa trasferire a Montecarlo degli arredi. Nel racconto di Teresa, venne fuori un altro particolare: quando dal Villino vennero portati via i mobili, molti gioielli erano ancora in cassaforte. Quindi buona parte di essi erano stati prelevati solo dopo la vendita degli arredi, quando la casa “era accessibile solo a Marco e alla zia Giuseppina”. Che nel frattempo era morta.

Spuntò una stima dei gioielli antecedente l’assicurazione voluta dal senatore. Ad effettuarla era stato il noto gemmologo Harry Winston. Erano in tutto 23: i 21 poi assicurati nel 1973, più un paio di orecchini di smeraldo di 38 carati e un anello con smeraldo di Van Cleef & Arpels da 20 carati. Il valore della stima era: 250 mila dollari per gli orecchini, 110 mila per l’anello. L’anello con diamante rosa da 34.65 carati era stato valutato 300 mila dollari. Cifre che per i soli tre pezzi citati, tradotte in tempi moderni, si aggirano intorno ai 90 milioni di dollari.

Il pm Papa fece perquisire l’appartamento monegasco di Marco Oreste Bianchi Milella e nella cassaforte di Corinne trovò gioielli regalati da Marco, tutti con certificato di provenienza e ricevuta di pagamento, tranne un paio di orecchini con pietre Bo Creoles pavees couleurs. Corinne dichiarò che fossero anch’essi un regalo, e che erano appartenuti a Maria Angiolillo. Il pm li fece sequestrare. Gli investigatori perquisirono la cassetta di sicurezza della donna e anche lì trovarono dei gioielli. Lei disse che si trattava di regali del primo marito e in parte di proprietà della figlia e che altri li aveva acquistati lei.

Nell’appartamento del gemmologo Fontaine la polizia sequestrò una collana d’oro con rubino cobochon e diamanti Van Cleef & Arpels, priva di certificato di provenienza, la stessa indossata da Maria in diverse foto fornite da Renato jr alla procura.

Nel 2013 a New York Christie’s batté all’asta un diamante rosa: 34,65 carati, taglio cuscino, risalente al 1700, proveniente dalle miniere indiane del Golgonda, ultima certificazione datata 25 novembre 2009, 41 giorni dopo la morte di Maria. Risultò che era stato acquistato nel 2009 da una società su territorio svizzero per 20 milioni di dollari e proprietari erano Maria Angiolillo e, dal 2009, Marco Oreste Bianchi Milella. L’avvocato di Renato jr chiese una rogatoria per bloccare l’asta, ma per la legge svizzera “chi riceve in buona fede un bene mobile ne diventa proprietario anche se l’alienante non aveva diritto a trasmettere la proprietà”. Il Princie Diamond venne venduto per 40 milioni di dollari a un anonimo compratore.

Swatch, che nel gennaio 2013 ha rilevato la Harry Winston, ha rivelato che già nel 1970 Renato Angiolillo aveva stipulato due assicurazioni: prima una per 24 pezzi, poi una per 23. Dall’elenco erano scomparsi degli orecchini con diamanti a forma di perla da 66 carati, di valore superiore al Princie. Winston infatti aveva valutato 300mila dollari l’anello col diamante rosa e 750 mila (oggi 85 milioni di dollari) gli orecchini, che non si sa che fine abbiano fatto.

(Paola Fusco)