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 2015  maggio 07 Giovedì calendario

In Germania, il sindacato diventa politico. Lo sciopero dei treni che sta paralizzando il paese e il caso di Weselsky, il capo dei macchinisti che rifiuta ogni compromesso. Perché qui non si ha più ha che fare con gli aumenti in busta paga o le tutele da salvaguardare, ma con la legge che da quest’estate limiterà il diritto a negoziare i rinnovi contrattuali soltanto alle sigle più rappresentative, e la sua, la Gdl, verrebbe spazzata via

Claus Weselsky, il capo dei macchinisti che sta paralizzando la Germania con lo sciopero dei treni più lungo del dopoguerra, rifiuta ogni compromesso. Abituati a sindacati che incrociano le braccia con estrema cautela, davvero come ultima istanza, i tedeschi sono divisi da mesi sui «duri e puri» della Gdl, che questa settimana scioperano per l’ottava volta. Ma il dettaglio che fa infuriare molti, è che Weselsky ha rifiutato ieri anche la «Schlichtung», il meccanismo che subentra nel caso falliscano le trattative. In questi casi viene istituita una commissione con rappresentanti delle parti – qui sarebbero delle ferrovie, della Deutsche Bahn e del sindacato Gdl – e un presidente scelto per «chiara fama» di abile mediatore, che spesso è un politico. In sostanza, il «no» di Weselsky è la conferma che il suo è uno sciopero politico. Le sue rimostranze ufficiali sono un dettaglio: il punto è salvare un’organizzazione che, a causa della legge restrittiva sugli scioperi che sarà approvata quest’estate, rischia di morire. È giusto creare disagi a milioni di persone – è anche la settimana della maturità in migliaia di licei – e produrre danni all’economia per oltre mezzo miliardo, per salvare il proprio sindacato?
Da sempre, nel capitalismo corporativo tedesco, la mediazione e la ricerca del compromesso sono sacri. Per i sindacati tedeschi il datore di lavoro non è il nemico, non è l’odioso rappresentante del capitale. Lo attesta la famosa tradizione della cogestione, il fatto che in molte aziende i rappresentanti dei lavoratori siedano ai vertici e condividano rischi e responsabilità delle imprese. Più in generale, lo attesta l’abitudine delle rappresentanze di lavoratori a stringere la cinghia quando le aziende attraversano momenti bui, congelando i rinnovi, per poi formulare piattaforme generose quando si esce dalle emergenze. Nel 2007 lo stesso Weselsky, quando era designato a diventare capo della Gdl, negoziò un aumento in busta paga dell’11%.
La cultura non conflittuale delle rappresentanze dei lavoratori tedeschi, per i più critici, a lungo andare ha addirittura prodotto danni all’economia, garantendo la moderazione salariale che in questi ultimi decenni ha contribuito a schiacciare il tallone d’Achille della prima economia europea, la domanda interna. Un’anemia che persino la Bundesbank tentò di curare: negli anni scorsi è rimasta storica un’esortazione ai sindacati a «osare di più», nei negoziati.
Tuttavia, da qui a paralizzare un Paese per una settimana, ce ne vuole. Tanto più che sono – per fortuna – pochi i sindacati che possono produrre i danni e i disagi paragonabili ai macchinisti delle ferrovie tedesche. È anche questo il punto. I padri del Grundgesetz, della costituzione tedesca, partivano dal presupposto che se qualcuno ha un diritto, lo eserciti con senso di responsabilità. Anche il diritto allo sciopero.
Il rifiuto di Weselsky di arruolare un mediatore per uscire dall’incredibile impasse con la Deutsche Bahn non ha più nulla a che fare con gli aumenti in busta paga o le tutele da salvaguardare della sua piattaforma negoziale. Ha a che fare con la legge in via di approvazione definitiva che da quest’estate limiterà il diritto a negoziare i rinnovi contrattuali soltanto alle sigle più rappresentative. Weselsky ne sarebbe spazzato via: il sindacato più rappresentativo delle ferrovie tedesche non è il suo, è la Evg. Se è vero, insomma, che la legge sul diritto allo sciopero sta mietendo molte critiche tra i costituzionalisti, è altrettanto vero che l’intransigenza di Weselsky la sta rendendo popolarissima tra i tedeschi. In questo, ha già perso.