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 2015  maggio 07 Giovedì calendario

Al via le più incerte elezioni nella storia della Gran Bretagna. I conservatori potrebbero ottenere più seggi e più voti, confermandosi il primo partito nazionale, ma senza la maggioranza assoluta necessaria per governare mentre i laburisti, pur piazzandosi secondi, sembrano l’unico partito in grado di arrivare alla maggioranza assoluta, in una coalizione con i lib-dem sostenuta dall’esterno dai nazionalisti scozzesi

Nel gergo di Westminster lo chiamano «parlamento appeso», nel senso di sospeso, bloccato, paralizzato. È il risultato previsto dai sondaggi per le elezioni di stamane, le più incerte nella storia della Gran Bretagna.
Sarebbe il prodotto di una serie di paradossi: i conservatori potrebbero ottenere più seggi e più voti, confermandosi il primo partito nazionale, ma senza la maggioranza assoluta necessaria per governare, neanche alleandosi di nuovo con i liberaldemocratici, loro partner nella coalizione degli ultimi cinque anni; mentre i laburisti, pur piazzandosi secondi come seggi e voti, sembrano l’unico partito in grado di arrivare alla maggioranza assoluta, in una coalizione con i lib-dem sostenuta dall’esterno dai nazionalisti scozzesi. Senonché una simile ipotesi viene già giudicata «illegittima» dai Tories, perché sottoposta al quotidiano ricatto di un partito il cui fine ultimo è la secessione dal Regno Unito.
Il rischio è che le urne non risolvano niente e che, dopo giorni di convulse trattative, si vada da un governo di minoranza conservatore, sfiduciato dopo poche settimane, a un fragile e controverso governo a guida Labour, a nuove elezioni da indire entro qualche mese. Uno scenario che può essere smentito, se i sondaggi della vigilia risulteranno sbagliati. Ma se fossero esatti, la responsabilità dell’“hung parliament” (come si dice in inglese) ricadrà in larga misura sulle spalle dei leader dei due maggiori partiti, i soli effettivamente in grado di conquistare Downing street, il premier uscente David Cameron e il capo dell’opposizione Ed Miliband, nessuno dei quali sarebbe stato capace di prevalere nettamente sull’avversario. Si profila la possibilità, dunque, di un’elezione senza vincitori. Con due sconfitti, la cui carriera politica potrebbe terminare così.
Cameron e Miliband hanno concluso la campagna elettorale con una maratona di comizi e messaggi da un capo all’altro del paese. «Votate per la stabilità e per la competenza economica di chi ha rimesso in ordine i conti, i laburisti riporterebbero il caos e consegnerebbero il governo nelle mani degli scozzesi», ha ripetuto ovunque il premier conservatore. «Scegliete un partito che mette la gente al primo posto, che si batte per gli interessi di tutti e non solo di pochi privilegiati», gli ha risposto indirettamente il capo laburista. Sullo sfondo c’erano gli altri: il liberaldemocratico Nick Clegg («solo noi possiamo dare un po’ di cuore a un governo conservatore e un po’ di cervello a un governo laburista»), la leader scozzese Nicola Sturgeon («sono pronta a negoziare con Miliband per cacciare i conservatori da Downing street»), il populista anti-europeo Nigel Farage, leader dell’Ukip. «Domani andate a letto con Farage e vi risveglierete accanto a Miliband», ammonisce Cameron: come dire che il voto all’Ukip è inutile, un regalo ai laburisti.
È vero che le due novità politiche complicano le cose: l’Ukip porta via voti a Cameron, il partito scozzese a Miliband. Ma è anche vero che Cameron e Miliband non entusiasma- no. Il primo dovrebbe stravincere in virtù di un bilancio economico in apparenza positivo (Pil in crescita, disoccupazione in calo, borsa da record). Il secondo non è riuscito a convincere i molti cittadini il cui standard di vita è peggiorato o non è migliorato. Qualcuno sostiene che i due sono più simili di quanto sembri. Uno figlio di un banchiere, l’altro di uno storico marxista di origine ebraica (ieri il Sun è stato accusato di un attacco antisemita a Miliband, per averlo sbeffeggiato con una foto in cui quasi si strozza mangiando un panino alla pancetta), vengono però dalla stessa università di elite (Oxford), fanno entrambi politica da quando erano giovanissimi, hanno casa nei quartieri più chic delle rispettive tribù londinesi (Notting Hill e Primrose Hill) e si sono entrambi allontanati dal centro dell’elettorato, Cameron su posizioni liberiste, Miliband con richiami al socialismo. Ciascuno inoltre ha il peggior nemico in casa propria: il sindaco di Londra Boris Johnson potrebbe portare via il posto a Cameron, l’ex-ministro degli Esteri laburista David Miliband potrebbe portarlo via a suo fratello minore Ed. Se le elezioni di stamane non le vincerà né Cameron né Miliband, le prossime, fra qualche mese, potrebbero essere un duello fra Boris Johnson e Miliband senior.