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 2015  maggio 07 Giovedì calendario

Date a Fruttero quel che è di Fruttero e a Lucentini quel che è di Lucentini. Due studiosi hanno smontato i romanzi della celebre coppia per scoprire la paternità dei diversi passi. Violando un tenace segreto

Come scrivevano Fruttero e Lucentini? O meglio, con quali procedure riuscirono a congegnare le loro macchine letterarie e soprattutto a creare un linguaggio inimitabile? Alla domanda ricorrente i due autori usavano fornire risposte sempre un po’ spiazzanti, a volte scherzose, dilungandosi magari sul lavoro di preparazione, ma non sul momento della stesura. Una volta Italo Calvino ricordò a tavola una loro risposta tipica: «Mah, uno va a letto presto e l’altro invece lavora fino a notte alta: quindi ci lasciamo dei bigliettini...».

La chiave di volta

Tra i commensali c’era Piero Severi, che ora la ricorda in nota a un saggio scritto con Bianca Barattelli per un convegno dell’Asli a Bressanone, dedicato alla «Autorialità plurima», i cui atti stanno per essere pubblicati. I due ricercatori hanno preso molto sul serio la questione (ritenuta da altri non così rilevante) e smontato alcuni fra i testi della coppia; il risultato è che il segreto di F&L non è inviolabile, ma come la lettera rubata di Poe è a portata di mano: basta leggere, e leggendo si scopre che sono i personaggi la chiave di volta.
Un po’ lo avevano già suggerito gli autori, in vari testi e interviste. Ma andando più a fondo, ecco che le voci cominciano a distinguersi: per esempio in L’amante senza fissa dimora, dove l’ebreo errante Mr. Silvera è molto diverso linguisticamente – e non solo – dalla principessa veneziana con cui intreccia una disincanta storia d’amore, o ancora nella Donna della domenica, dove gli incipit dei primi due paragrafi già la dicono lunga: «Il martedì di giugno in cui fu assassinato, l’architetto Garrone guardò l’ora molte volte. Aveva cominciato aprendo gli occhi nell’oscurità fonda della sua camera...».
Silvera e la principessa

Anna Carla, invece, la deliziosa protagonista, compare in scena con un monologo: «Sono giovane... sono intelligente, sono ricca. Ho un ottimo marito (ricco anche lui) e una figlia bellissima (come me, dicono). Riesco simpatica a tutti...». Non parla proprio come la principessa, ma in qualche modo le è assai prossima, proprio come Garrone si muove stilisticamente in modo simile a Mr. Silvera. Questi due bei tomi tendono ad assorbire in sé il mondo interno, a guardare a sé stessi partendo da ciò che li circonda, con carrellate lente e persino solenni. Le signore invece partono dall’interno, dal loro flusso linguistico.
Indizi disseminati
Che le due coppie di personaggi siano di due mani diverse? È molto più che un’ipotesi – e del resto basta pensare alle opere del solo Fruttero, come Donne informate sui fatti dove la narrazione è costruita su una serie spettacolosa di monologhi femminili, o a Ti trovo un po’ pallida dove Piero Severi e Bianca Barattelli isolano motivi e frasi che valgono un identikit.
C’è di più, naturalmente: per esempio le sequenze, gli accumuli, gli elenchi di verbi, sostantivi e aggettivi, gli stessi dell’Amante senza fissa dimora e, aggiungiamo noi, ritrovabili ad apertura di pagina nella Donna della domenica: come la memorabile quadriga che introduce l’americana Sheila, di cui si innamorerà l’americanista Bonetto, nella scena del Balon: «Alta, bionda, rosea, montuosa».
È un ritratto completo in quattro aggettivi, dove percepiamo lo sguardo ammirato del professore, quello dolcemente ironico degli autori, quello un po’ mitologico che converge su tanta giunonica prestanza nell’affollato mercato torinese; e la mano di Carlo Fruttero. La dimostrazione si vale anche di indizi disseminati dagli stessi autori in scritti a carattere autobiografico o saggistico, come quando Fruttero, già scomparso l’amico, ricorda come decisero di dividersi le pagine di L’amante senza fissa dimora: il finale toccava a lui, per ragioni meramente logistiche (Lucentini non era a Torino), e lo scrisse puntando tutto sulla principessa: «Ma zitto zitto Lucentini ne scrisse un altro, giocato invece su Mr. Silvera che dalla nave guardava Venezia scivolare nella notte e pensava alla sua amata».
La prova
È una prova? Probabilmente sì, e potrebbe essere replicata all’infinito (i due ricercatori hanno deciso di arare l’intera produzione) confrontando per esempio Lucentini con Robbe-Grillet, autore da cui fu molto influenzato, o ricordandoci del ruolo filosofico che Fruttero gli riconosceva. Come non pensare agli adepti della scarruffata setta neo-gnostica in A che punto è la notte, o al personaggio quantomeno esilarante di «Cratete l’apriporte» – ex professore ficcanaso in Delitto in luogo di mare auto-elettosi filosofo stoico? E come non cercare allora nei personaggi femminili, nei semi-travet piemontesi o in certi gentiluomini un po’ annoiati gli aggettivi e i fuochi d’artificio sul parlato quotidiano di Fruttero?
Detto questo, ci si può anche chiedere che senso abbia, oggi, questo lavoro di scavo. È indubitabile che critica e analisi letteraria sono patrimonio di pochi, gli addetti ai lavori e nemmeno tutti; sono nulla rispetto alla considerazione del mercato editoriale (spesso sopravvalutato) e alla nuova «democrazia digitale» in base alla quale i giudizi sono in sostanza equivalenti, siano essi di critici o di lettori, preparati o sprovveduti, entusiasti o rancorosi.
Il risultato è però che siamo sommersi da libri scritti male, con cadute stilistiche a ogni pagina, sciatterie penose o retoriche reboanti, cattivo gusto e cattiva prosa, dove ciò che conta sembra essere soltanto la «storia» narrata. F&L ci ricordano invece che non c’è storia significativa senza sapienza letteraria. Scavare nel loro gioco ci permette non solo di apprezzare una capacità stilistica impareggiabile, ma anche di capire molto meglio come si racconta e come si legge, finalmente, una storia.