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 2015  maggio 07 Giovedì calendario

HO VOLATO DA NABABBO

Fino a 12 anni fa si poteva raggiungere l’altro capo del mondo in tempi stretti e con ogni comfort. Per farlo era necessario un biglietto del Concorde, l’aereo superveloce e supercaro andato in pensione nel 2003.
Un lutto per molti globetrotter, ma il peggio doveva ancora venire perché, vuoi per la crisi economica, vuoi per una sorta di reticenza a farsi vedere abbienti e spendaccioni, la prima classe ha rischiato di sparire: nessuno desiderava farsi beccare seduto nella zona più lussuosa dell’aereo, anche se poteva permettersela. E così fu presto eliminata da molte tratte.
Fortunatamente per gli amanti del lusso, da alcune stagioni le compagnie aeree stanno facendo marcia indietro. Rispetto al 2010, oggi i posti in prima classe sono aumentati di un terzo, a livello mondiale. A soli cinque anni dal lancio, British Airways è impegnata nel restyling delle sue cabine first class realizzate nel 2010 con un investimento di ben 138 milioni di euro Alcuni vettori offrono servizi ancora più stravaganti della prima classe.
La novità proposta da Etihad, la compagnia degli Emirati arabi uniti, è la cabina «the residence»: tre stanze di cui un soggiorno, una camera con letto matrimoniale, un bagno con doccia e un servizio maggiordomo. Il tutto a circa 20 mila euro per un viaggio di sola andata da Londra ad Abu Dhabi.
Difficile però capire come vola il nuovo jet set. Ho voluto scoprirlo, facendo un volo no stop di quattro giorni intorno al mondo in prima classe e cambiando cinque compagnie aeree. Saranno più di di 40 mila chilometri: un viaggio che mi condurrà da Londra al Golfo arabo, dal Golfo a Singapore, da Singapore all’Australia, dall’Australia agli Usa, e poi di nuovo a Londra.
Lunedì, ora di pranzo: piove e il marciapiede fuori dal terminal 4 di Heathrow è ricoperto da uno strato di fanghiglia. Ma non mi interessa. Attendo il mio turno al check in della Qatar Airways. Supero velocemente i controlli di sicurezza e nella sala d’attesa un usciere mi saluta chiamandomi per nome e mi assicura che mi avviserà quando sarà ora di imbarcarsi. Nella lounge c’è un bel ristorantino, con stoviglie raffinate. Prendo un Bollinger rosé e per cominciare una shawarma al pollo, poi agnello arrosto accompagnato da tabulé e yogurt al limone confit.
Il Concorde era estremamente sexy, ma era stretto e solcando i cieli alla velocità di quasi due chilometri ogni tre secondi si avvertiva ogni sobbalzo. Con l’Airbus A380 superjumbo è tutta un’altra storia. Salendo su questo aereo enorme e dagli interni immensi, le turbolenze sono un mero ricordo: un gigante dei cieli a due piani del valore di circa 400 milioni di euro.
La cabina First class situata al piano superiore del nuovo Airbus A380 della Qatar Airways è la più esclusiva: otto posti, contro i dieci della Etihad, i 12 della Singapore Airlines, e i 14 che si trovano sui voli della maggior parte dei vettori. Il sedile è più spazioso delle poltrone di casa e, a differenza di altri, si trova vicino al finestrino. Gli ambienti sono alti perché le cappelliere qui sono assenti. L’illuminazione è soft e il corpo può rilassarsi accolto da una poltrona dotata di un sistema di massaggio. Mi lascio poi coccolare da un buon bicchiere di vino. Posso scegliere tra Krug Grande Cuvée, Puligny-Montrachet 2010, Saint-Julien 2006 e Château d’Yquem 2008. Per non parlare poi del prelibato caviale Oscietra rigorosamente selvaggio.
Durante la prima tratta di circa 5.200 chilometri (e del valore di 6 mila euro) del volo che mi porterà a Doha, la capitale del Qatar, per poi proseguire per Dubai, passeggio per l’aereo con le mie ciabatte Missoni. Ci sono circa 300 posti a sedere al piano inferiore, mentre a quello superiore meno di 100.
Il mio posto in prima classe occupa lo stesso spazio di nove in quella economica: è uno specchio perfetto del nostro mondo sempre più diviso e spiega il motivo del ritorno in auge della prima classe. Chi disponeva di un patrimonio prima del 2008, ora è decisamente più ricco. Per contro, chi non ne possedeva e può contare solo sul proprio reddito da lavoro, è molto più povero a causa della stagnazione dei salari. Questo è il motivo per cui, mentre la maggior parte di noi se ne sta rinchiusa al piano di sotto, un esiguo numero di ricchissimi fluttua sopra di noi avvolto in una bolla in cui rivendica letti matrimoniali, docce, bar, salotti e piatti di chef rinomati. La nuova élite globale ha praticamente quasi tutto quello che potrebbe desiderare. Gli unici status symbol rimasti sono le
esperienze. L’avanzata dei vettori del Golfo (Qatar, Emirates, Etihad) rappresenta il più grande cambiamento nell’aviazione globale dagli anni Novanta, quando le compagnie di bandiera persero l’appannaggio delle rotte a corto raggio a seguito dell’affermarsi delle compagnie low cost EasyJet e Ryanair. I tre vettori arabi non pagano le tasse nel Paese in cui hanno la sede legale, non sono sindacalizzati e hanno il sostegno dei governi che costruiscono i sontuosi aeroporti. Ma il loro asso nella manica è la geografia. Quattro miliardi di persone vivono a otto ore di volo dal Golfo. Solo un decennio fa si contavano 19 mila voli all’anno da e per l’Europa gestiti dal trio del Golfo. L’anno scorso la cifra è salita a 37 mila e quest’anno toccherà i 40 mila. Emirates ora è ufficialmente la compagnia aerea preferita dai viaggiatori di tutto il mondo, con un traffico internazionale di 215 miliardi di passeggeri-chilometro all’anno, contro i circa 150 miliardi delle sue rivali più prossime, United e Lufthansa.
Quando, alle dieci di sera, atterro all’aeroporto internazionale di Dubai rimango a bocca aperta al cospetto di questo nuovo crocevia mondiale tra Oriente e Occidente. Di lì all’una di notte, 100 aerei di linea della Emirates piovono sull’asfalto, collegando tra loro Europa, Asia, Africa e Australia.
Una donna con indosso una polo blu brillante mi si avvicina e mi consegna un pennarello nero: «Scriva qualcosa su quella parete». Scopro di essere atterrato proprio il giorno in cui Dubai, grazie alla Emirates, ha sottratto lo scettro a Heathrow diventando l’aeroporto internazionale più trafficato del mondo, gestendo 71 milioni di passeggeri all’anno contro i 69 milioni di Londra.
A volte, le grandi società realizzano cose all’apparenza talmente stupide che non ti sogneresti mai di utilizzare fino a quando, però, ti rendi conto che sono in realtà le migliori idee del mondo e che tu sei sempre stato un cretino a pensare il contrario. Quando Emirates introdusse due docce nella parte anteriore dei suoi A380, la gente ebbe una reazione di scherno: perché sprecare spazio, tempo e carburante per trasportare in quota ingenti quantità d’acqua? Anch’io mi ero unito al coro.
Pura follia. Dopo aver percorso circa 8 mila dei 9.500 chilometri del mio viaggio da Dubai a Singapore (costato 4.400 euro) Susan mi sveglia consegnandomi un paio di ciabatte. Passo di fianco alla ragazza addetta alla zona doccia, che fa finta di essere una donna delle pulizie, ma che in realtà si trova lì per fermare le coppie che vorrebbero far parte del «Mile High Club», ovvero desiderose di vivere esperienze sessuali ad alta quota. All’interno ci sono saponi e shampoo di Bulgari, asciugamani e accappatoi freschi di bucato, e un asciugacapelli. Entro nella doccia e apro l’acqua. Il getto dura cinque minuti: un’eternità.
Mi trovo nel paradiso dei paradisi. Esco dal box e il pavimento è riscaldato, mi asciugo e poi ritorno alla mia suite dove Susan mi ha lasciato un succo di zenzero, menta e lime e un cappuccino con il logo Emirates sulla schiuma. Non voglio scendere. Mai più. Ma dal finestrino della cabina di pilotaggio si profila minaccioso l’aeroporto di Changi, la mia prossima tappa.
Alla Singapore Airlines sanno che l’aspetto più negativo dei viaggi in aereo è l’aeroporto. È per questo che a Changi, la loro patria, hanno eliminato il problema alla radice. I passeggeri della prima classe hanno infatti il loro terminal dedicato. Faccio il check in per il mio volo per Melbourne, via Sydney,in pochi minuti supero i controlli immigrazione della prima classe. Con le scale mobili raggiungo la sala d’attesa dove sono accolto nella Private room, ancora più esclusiva. È immensa, ma ci sono solo dieci passeggeri. Le specialità del giorno sono l’aragosta al vapore con wonton noodle. Dopo un’ora e un’abbuffata di crostacei, riprendo le scale
mobili per procedere all’imbarco. Da un punto di vista economico, la prima classe può condurre alla rovina. Lo sviluppo e la realizzazione di ogni posto costano circa 142.500 euro e l’accoppiata caviale e Krug non è a buon mercato. Le compagnie aeree non puntano sulla prima classe solo perché rappresenta un mercato in espansione, ma anche perché ha un effetto «alone» sui posti più economici. Nessuno meglio di Singapore Airlines ha afferrato il concetto. Per differenziarsi hanno inventato una nuova classe, superiore alla prima la Suite, dove si è ospitati in mini stanze con pareti in pelle italiana.
Una cosa apprezzata da tutti è il servizio ineccepibile. A titolo di esempio cito due aneddoti dal mio volo di circa 6.300 chilometri (a 3.500 euro): poso il costume da bagno e la T-shirt bagnati (prima di arrivare al terminal avevo fatto un tuffo in piscina), sul mio poggiapiedi ad asciugare. Dopo averli raccolti, la hostess li ripone in un magico asciugabiancheria e me li restituisce asciutti e piegati. Più tardi, dico a Jasmine che desidero fare un sonnellino. «La 1K, l’altra suite in prima fila vicino al finestrino, è libera» mi dicono «quindi può andare a dormire nell’altra se lo desidera».
Ultimamente Qantas non ha navigato in acque molto tranquille. Ha subito pesanti perdite e ha stretto un’alleanza con il nuovo astro nascente tra i vettori aerei, Emirates. Dopo essere stato viziato dai modi gentili e premurosi della Singapore Girl (simbolo della campagna pubblicitaria della Singapore Airlines) temo che l’esperienza con la compagnia australiana sarà una delusione.
Invece, se non avete ancora provato l’emozione di volare in prima classe con Qantas, vi consiglio di farlo. Il vettore australiano sa bene quello che rende grande una compagnia aerea: la personalità. Tutto il personale presente in sala è australiano, anche Liz, la quale mi pratica un massaggio prima di colazione. Gli interni moderni sono firmati dal designer di Sydney, Marc Newson. Le sue linee sinuose e lo stile anni Settanta, vintage ma elegante, sono quanto di meglio una compagnia potrebbe desiderare. Non stupisce che la Apple lo abbia ingaggiato. Il menu è curato dal cuoco Neil Perry, del prestigioso ristorante Rockpool di Sydney. Ecco la colazione: yogurt di latte di bufala della rinomata azienda australiana Shaw River con mango e cocco tostato, frittelle di mais con pancetta, marmellata di pomodori e avocado, il tutto accompagnato da pane tostato spalmato con Vegemite.
A bordo del mio volo di circa 13 mila chilometri, del valore di più di 7.500 euro, da Melbourne a Los Angeles si avverte ancora la presenza di Newson. I sedili sono girevoli e possono essere orientati in avanti o verso il finestrino. Il tavolo è talmente grande e scintillante che assomiglia alla scrivania di un dittatore africano. Il personale, il cibo e il vino (champagne a parte) sono tutti australiani. Liam, incaricato del servizio, realizza velocemente un piatto squisito a base di trota oceanica con finocchio grigliato, olive liguri, pomodorini ed erbette estive, il tutto annaffiato da un delizioso vino bianco Tyrrell’s Vat 1 Hunter Semillon 2007. Il pigiama con l’immagine del canguro gigante è qualcosa che vale la pena rubare (chiedo venia). E anche le meravigliose posate anni Settanta realizzate da Newson sono irresistibili (scusate ancora). Quando atterro a Los Angeles, 14 ore dopo, si respira ancora la presenza del designer australiano. British Airways ha abbandonato la Terraces Lounge presso l’aeroporto internazionale di Los Angeles e ora condivide con Qantas una sala d’attesa progettata da Newson. La compagnia di bandiera britannica inventò i moderni voli internazionali quasi un secolo fa, nel 1919. British Airways in seguito divenne il vettore aereo preferito a livello mondiale. Dieci anni fa, tuttavia, perse il primato e dovette affrontare periodi difficili, a base di tagli e scioperi. Ma grazie a un investimento di circa 7 miliardi di euro sta risalendo la china.
Liz mi conduce al check in e si fionda davanti alla linea di sicurezza. Nella sala d’attesa, Rob, il capitano del volo che stanotte mi condurrà da Los Angeles a Londra, viene a salutarmi. British Airways sa che i suoi piloti godono di un’ottima fama e quindi fa di tutto affinché i passeggeri possano conoscerli di persona.
La cabina di prima della British Airways dovrebbe essere la migliore. E in effetti è così. I sedili e i rivestimenti in pelle sono di colore blu scuro, come la moquette, e la luce è soffusa e sensuale. Le 14 mini suite sono private, ma non mi sento in una scatola. Anche nelle uniformi, che portano la firma di Julien MacDonald, si ritrova lo stesso equilibrio. Una hostess mi consegna un menu nei raffinati toni del beige e del grigio. Il salmone delle Shetland al vapore, il filetto di Angus di Aberdeen e il crumble di rabarbaro, mele e zenzero non sono uno scherzo. Desidererei solo che la British Airways sottolineasse maggiormente il proprio carattere britannico.
Tutti odiano Heathrow. Ma forse perché non sanno che in questo aeroporto c’è il Terminal 5. Dopo l’ultima tratta da 8 mila chilometri, per cui ho sborsato quasi 12 mila euro (il doppio rispetto al prezzo di un biglietto andata e ritorno), atterro nel più importante terminal aeroportuale del mondo che vanta il miglior design e nel quale ci si muove con grande facilità. Passo i controlli dell’immigrazione in pochi minuti e dopo mezz’ora sono a casa. Per un terminal che gestisce 32 milioni di passeggeri all’anno, pari alla metà della popolazione della Gran Bretagna, la British Airways dovrebbe essere insignita con una sorta di premio dalle Nazioni Unite.
Cosa ho imparato dal mio viaggio di quattro giorni, circa 42 mila chilometri e costato quasi 34 mila euro? Innanzitutto, che chi opera nel settore turistico sta attraversando un periodo propizio: ogni cabina in cui ho viaggiato era piena o quasi: in tre delle cinque tratte che ho percorso in prima classe c’erano anche dei bambini. Inoltre, grazie al magnifico A380, stiamo per entrare in una nuova età dell’oro del turismo aereo. Volare in prima classe su un superjumbo rappresenta un inizio, un mezzo e un fine in se stesso. Infine, la prima classe offre un pessimo rapporto qualità/ prezzo. La classe business ha migliorato notevolmente i propri servizi: è possibile trovare sedili reclinabili che si trasformano in letti, e quindi non vale la pena di pagare lo stesso prezzo di una piccola utilitaria per un po’ di spazio in più e cibo e vino migliori. Le compagnie aeree non lo ammetteranno mai, ma escogitano ogni mezzo per riempire i posti più costosi: le tariffe scontate (lo dico sottovoce) sono un esempio. Guardatevi intorno, provate con rotte, scali, giorni della settimana e orari di volo diversi, utilizzate i vostri punti/ miglia, se li avete, per acquistare i posti direttamente o per effettuare l’upgrade dalla classe business e troverete alcuni biglietti golden. Se si riesce ad acchiappare un posto, quale compagnia è meglio scegliere? Qantas è la più divertente. Emirates (ed Etihad) offrono il servizio extra migliore: la doccia a bordo. Qatar è la migliore per gli alcolisti funzionali. British Airways è ritornata a offrire i servizi impeccabili e di prim’ordine che la contraddistinguono. E, su tutti, si libra la Singapore Girl.