Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il fidanzamento di Kim e Moon
C’è un marciapiede che separa la Corea del Nord e la Corea del Sud e ieri mattina - quando da noi era notte fonda - il presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in, che d’ora in poi ci limiteremo a chiamare Moon, ha atteso dal suo lato che arrivasse il presidente della Corea del Nord, Kim Jong-un, che d’ora in poi chiameremo Kim. Finalmente, intorno alle 9.30 locali, s’è visto Kim con il suo numeroso seguito scendere la scalinata, tutto vestito di nero, camicia nera, colletto chiuso alla Mao. È avanzato di buon passo verso Moon, che indossava invece un neutro completo blu all’occidentale, con cravatta azzurra dal grosso nodo, e gli ha stretto graziosamente la mano, e sorridendo. I due poi hanno fatto su e giù attraverso il marciapiede per permettere ai fotografi di riprendere la stretta sia dal lato comunista che dal lato capitalista, e a un certo punto, addirittura, Kim ha afferrato baldanzosamente la punta delle dita di Moon, conducendolo con sé come si fa tra fidanzati. Le altre immagini di una giornata davvero storica sono altrettanto consolanti: i fiori donati dai due bambini, le guardie in costume, le body-guard di Kim che corrono vicino alla limousine su cui è seduto il loro presidente (cinque a destra, cinque a sinistra, due dietro), il momento del pino, quando i due, insieme e adoperando pale identiche, hanno interrato un giovane pino tra gli applausi degli astanti. La sorellina Yo-jong, che il dittatore nordecoreano s’è tenuto sempre vicino. La frase che Kim ha scritto sul libro dei visitatori della Casa della Pace («Ora comincia una nuova storia») e l’altra che ha pronunciato subito dopo quando le delegazioni si sono sedute al tavolo ovale: «Ora dobbiamo essere all’altezza delle aspettative, non voglio si ripeta un passato in cui non siamo stati in grado di mettere in pratica gli accordi». Significativo persino il menu, costruito in modo da alludere sia al Nord che al Sud e alle biografie dei due personaggi e anche a quelle di coloro che li hanno preceduti, negli scorsi decenni, sulla via del disgelo: insalata fredda di polpo pescato nelle acque del fiume Tongyeong, rösti di patate alla svizzera, dumpling ripieni di cetriolo di mare, pesce san pietro grigliato della costa di Busan, riso di Gimhae Bonga, pesce gatto. È stato persino sottoscritto un impegno per arrivare alla stipula di una vera pace: la guerra del 1950-53 s’è infatti solo interrotta, i due paesi restano formalmente nemici e non si sparano addosso solo per via di un armistizio firmato 65 anni fa e mai tradotto in un vero trattato che sancisse la fine delle ostilità.
• È tutto molto bello. Ma sul piano politico?
La parola intorno a cui si scervellano, da ieri, le diplomazie del mondo è «denuclearizzazione», contenuta nella frase concordata dai due: «La Corea del Sud e la Corea del Nord confermano il loro obiettivo di una Penisola libera dal nucleare, attraverso una completa denuclearizzazione».
• Beh, «denuclearizzazione» significa «denuclearizzazione», cioè liberarsi di tutte le armi nucleari.
Così la intendiamo io e lei, che le armi nucleari non ce le abbiamo. Ma Kim? E Moon? Kim sa di essere arrivato a questo punto, e tra poco incontrerà addirittura Trump, grazie alla potenza nucleare dispiegata. Se no, lo ha spiegato lui stesso molte volte, avrebbe fatto prima o poi la fine di Gheddafi. Quindi, dal suo punto di vista, «denunclearizzazione» può al massimo voler dire «rinuncia agli esperimenti», «alle esibizioni di forza», eccetera eccetera, cioè la fine di quei lanci improvvisi in mezzo al mare di proiettili atomici che hanno tenuto il mondo col fiato sospeso tutto l’anno scorso. Ma non credo proprio che Kim pensi di «denuclearizzare» smantellando i suoi arsenali.
• E dal punto di vista di Moon?
Forse la fine delle manovre con gli americani. Trump verrà in Corea del Nord, in una data da decidere, ma intorno al tavolo di una pace attesa per 65 anni dovranno necessariamente sedere anche la Cina e probabilmente il Giappone, sensibilissimo alle eventuali mattane di Kim e alle pretese sudcoreane sulle isole Takeshima. Certo gli Stati Uniti non permetteranno a Moon di firmare una pace che li escluda dalla penisola, dove resterebbe ben salda invece la mano cinese. Tutta l’area è carica di tensioni latenti, tra Cina e Giappone (e indirettamente Stati Uniti) c’è anche la questione delle isole Senkaku. Ieri è stata una bella giornata, ma la strada è ancora lunga.
• Commenti dalla Casa Bianca?
Molto sobri. Auspicano un futuro di pace.
• Come si spiega che Kim si sia fatto così mansueto?
La crisi economica c’è, e la Cina ha smesso di comprare carbone. Kim spera nell’arrivo di qualche miliardo di dollari e nella fine delle sanzioni. Si tratta di capire che cosa è veramente disposto a dare in cambio.
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