Corriere della Sera, 28 aprile 2018
Scorribanda di due clandestini a Milano, un morto
Milano In tre ore e mezza, dalle 23 di giovedì alle 2.35 di ieri, due marocchini di 28 e 30 anni hanno ucciso una persona, ferito gravemente una seconda e lievemente altre due, per rapinare tre cellulari, due borselli e in totale 90 euro. Sono stati fermati dai carabinieri: facevano colazione.
La notte nerissima di Milano è stata sì «casuale» nella dinamica (una coppia famelica di cani sciolti) ma forse non nel quadro d’insieme (la clandestinità, la stazione Centrale, la ripetizione dell’inaudita ferocia contro i passanti). Una notte iniziata alle 21 di giovedì. Con l’unico episodio rispetto al quale gli assassini sono estranei: in via Padova il romeno 43enne Stefan Maxim è precipitato sull’asfalto colpito da un pugno o una bottigliata in una lite tra ubriachi; è morto per emorragia celebrale. In quegli istanti i nordafricani non erano in via Padova. Probabilmente, come ogni giorno da quando sono irregolarmente arrivati in Italia, anche giovedì hanno bivaccato fino a sera nella zona tra quella stessa Centrale e la sua «appendice», l’asse di via Benedetto Marcello afflitto da identici problemi di degrado e criminalità. I marocchini, Abderahim Anass e Saad Otmani, sono saliti sui mezzi pubblici, si sono spostati non pagando i biglietti tra la città e l’hinterland, e hanno scelto le prede. A caso.
Aaron Frank Quispe Porras è un peruviano 36enne. Sposato, operaio, alle 23 camminava in via Lincoln a Cinisello Balsamo. Era sceso dal bus 729, diretto verso casa. L’hanno colpito al volto con una bottiglia di plastica tagliata a metà e l’hanno derubato del borsello, al cui interno c’era il portafoglio con documenti e 50 euro. Ha rimediato una ferita allo zigomo giudicata guaribile in una settimana. Quaranta minuti dopo e trecento metri più lontano, di nuovo a Cinisello Balsamo e in via Lincoln, Carlo Alberto Paradisi, italiano 31enne senza fissa dimora e con problemi psichici, è stato raggiunto da due fendenti all’addome e derubato del borsello che conteneva documenti e 40 euro. È in fin di vita. L’arma, impugnata anche contro le successive vittime, non è stata trovata: potrebbe essere un punteruolo o un cacciavite.
Il bus 729 garantisce il collegamento tra Cinisello Balsamo e la Comasina, periferia nord di Milano. I marocchini, uno dei quali (il 28enne) è stato arrestato sabato per tentato furto ed era in libertà in attesa del processo, sono saliti su quel mezzo e in città hanno preso altri bus per raggiungere zone più vicine alla Centrale. Alle 2.10 erano in via Gaffurio, dieci minuti a piedi dalla stazione, dove vive Jane Urwin Lorna, inglese 21enne, studentessa alla Cattolica. Tornava da una festa. L’accompagnava un’amica, una coetanea americana. Ha visto davanti i due uomini che, prima di strapparle il cellulare, l’hanno raggiunta all’addome con un oggetto appuntito. Il colpo non è stato affondato, tanto che la ragazza non s’è accorta. È stata l’amica a notare il sangue e chiamare i soccorsi: il trasferimento alla clinica Città Studi ha confermato la superficialità della ferita. Erano le 2.10 della notte tra giovedì e ieri. Il 22enne bengalese Samsul Haque aveva salutato i colleghi nel bar dove lavorava, nella centrale via Dante, e tornava nell’appartamento di via Tonale. Samsul, sposato (la moglie è in Bangladesh), ha incrociato in via Settembrini, a cinque minuti dalla stazione, i due marocchini. L’hanno colpito al torace, hanno arraffato il telefonino, l’hanno lasciato agonizzante e sono scappati. Samsul ha urlato la stessa parola per due volte: help, help. Poi il silenzio.
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Milano I caffè, le brioche e gli sbadigli dei killer. Non avevano addosso le conseguenze di droghe e alcolici, ieri mattina alle dieci quando i carabinieri li hanno trovati ai tavolini all’aperto del McDonald’s di piazza Duca d’Aosta, entrambi con giubbotto e cappuccio, uno di colore nero l’altro bianco, casomai venisse a piovere; i due marocchini erano soltanto sotto l’effetto della stanchezza. Facevano colazione con i soldi rubati alle vittime. Non quelli del ragazzo ammazzato: nelle tasche di Samsul non c’erano altro che le buste paga. Aveva paura come tutti a rincasare a quell’ora, in quella zona. E poi il denaro doveva stare al sicuro vicino al letto, destinato alla moglie in Bangladesh.
L’incrocio tra due antitetiche tipologie di immigrati non è una storia dentro una storia maggiore. Perché non è l’esistenza di Samsul — sgobbava e risparmiava, era venuto qui per questo — che adesso racconta Milano. Sono loro, le belve, a diventare simbolici. Quasi dei «portavoce». Per quello che han fatto giovedì, ieri e in generale dal momento degli sbarchi (giugno 2017 a Reggio Calabria, dicembre 2017 a Pozzallo). I marocchini non sapevano d’aver ucciso, altrimenti sarebbero scappati. Forse. Sapevano però d’avere soldi e cellulari. In Centrale i controlli sono insistiti, sarebbero potuti capitare dentro qualche retata. Pazienza. Uno dei due, sabato e non un secolo fa, l’avevano braccato per tentato furto. Arresto, burocrazia (le impronte, il fotosegnalamento, la modulistica) e l’indomani il processo per direttissima, la convalida, la libertà, l’attesa dell’udienza e in futuro chissà. Dicono poliziotti e carabinieri, quelli che stanno in strada, che così è come svuotare il mare con un cucchiaio. Certo bisogna elogiare l’indagine esemplare dei Nuclei radiomobile e investigativo dell’Arma, pur dinanzi ad alti ostacoli — la scena del crimine in via Settembrini non presentava traccia alcuna — ma nel contempo, ed è una voce comune raccolta fra quegli stessi uomini, storiche carenze d’organico del pronto intervento sono inconciliabili con le esigenze della città. La risposta a una domanda, ovvero quanti altri potenziali Anass e Otmani siano in circolazione, suonerebbe identica forse più nei quartieri centrali che periferici. Sono tanti. Prima di avvistarli a quei tavolini, i carabinieri hanno esaminato altri quarantacinque nordafricani negli immediati paraggi. Tutti quanti bivaccavano.
Ieri i killer sono rimasti a lungo nei corridoi della caserma. In attesa della galera. Avevano delle tute dei carabinieri. Dormivano appoggiati al muro. Non parlano l’italiano, ma chi conosce i segnali del corpo giura che non c’è mai stata minima tensione al pentimento. Indossavano le tute in quanto sono stati spogliati dai vestiti usati per il confronto con i racconti dei testimoni (nitidi) e i filmati delle telecamere (parziali). Due degli elementi che hanno permesso l’individuazione, insieme ai telefoni depredati. L’attività tecnica ha consentito la localizzazione degli apparecchi. L’esperienza dei carabinieri del comandante provinciale Luca De Marchis è stata decisiva. Non era una caccia scontata. Il Nucleo investigativo del tenente colonnello Michele Miulli ha corso contro il tempo. Il timore che ci potessero essere altri passanti feriti e uccisi per una rapina non era uno scrupolo investigativo ma un timore fondato. Un timore che forse non finisce con la fine di Anass e Otmani.