la Repubblica, 28 aprile 2018
Gli ottantamila libri del monaco solitario
Dalla nostra inviata MARMORA ( CUNEO) La vertigine è dentro, nelle stanzette di questa canonica medievale, muri di sasso, scalini di pietra consumata, porte molto tarlate e molti libri, su scaffali di metallo anni Settanta, mensole di recupero e anche assi da cantiere inchiodate su su, fino ai soffitti, altri accatastati in pile sghimbesce e quindi ancora da catalogare, e fa freddo qui dentro, 1.580 metri di altezza, fuori ci sono un metro di neve vecchia, la Valle Maira e la piramide del Monviso, altra vertigine. Qui, viveva un monaco, un teologo, uomo di scienza. Carattere brusco, amante dei libri e anche del genere umano, perché nessuno che salisse fin quassù veniva mandato via, studioso o solo curioso. Quando è morto, l’anno 2014, si è lasciato dietro il suo tesoretto. Ottantamila volumi, malcontati. Quasi tutti comprati, alcuni regalati. Una collezione sghemba come i suoi scaffali, testi di patristica e vecchi Salani, molte bibbie e Patton, generale di acciaio. Il Cursus Philosophicus Thomisticus tomi I, II e III, e Il profumo di Süskind. Collane intere, Einaudi, Bollati Boringhieri, metri e metri di classici Utet verde e oro, e i rossi Sonzogno, con titoli stravaganti, Il cigno nero, di tale C. Sabatini, L’onore delle grandi nevi di J.O. Curwood. Amava i libri, tutti. Che fossero un codice di alto rango o un volumetto sui funghi velenosi, così ha creato la biblioteca più alta d’Europa, e la Sovrintendenza l’ha poi messa sotto tutela. Forse sparirà, o marcirà, questo posto fuori mano – 250 chilometri da Milano, 2 ore e mezza da Torino, da Dronero è già un viaggio di molti tornanti, e quindi un posto assurdo e forse inutile, celebra l’amore per la cultura ma è lontano da tutto, ogni tanto ci arriva un docente che cerca un libro introvabile, un ricercatore con un titolo fuori catalogo, uno studente, o Umberto Eco, salito una decina di anni fa per conoscere padre Sergio De Piccoli, benedettino, e del loro dialogo è rimasta una frase: «Se avessi saputo che esisteva un posto come questo, Il nome della rosa l’avrei ambientato qui». Così dice la leggenda, e nessuno può più smentirla essendo morti i due protagonisti, il sapiente bibliofilo, celebre, e il monaco che viveva povero nell’unica camera da letto-cucina, con la stufa sempre accesa, due gatti, un cane che si chiama Lupo e un badante, ora custode ed erede, a suo dire, Daniele Gangi, 42 anni, «la curia mi aveva assunto perché lui non poteva più restare da solo, quando è morto sono rimasto qui. Padre Sergio ha fatto testamento e ha lasciato i libri a me. Era un grande saggio, ha insegnato lettere antiche, filosofia e teologia a San Paolo fuori le Mura», nell’abbazia benedettina che vanta una biblioteca antica e famosa, ma di soli 8.500 volumi, quindi niente, rispetto a Marmora. Il vescovo di Saluzzo vuole indietro la canonica. Detta così, il vescovo sembra uno di quei prelati raccontati da Dario Fo, e qui si torna diretti al Medioevo, ma anche lui ha le sue ragioni per reclamare la proprietà. La canonica, annessa alla chiesa minuscola dedicata a san Massimo, con affreschi, meridiane e una scritta, «lo tempo passa, e la morte viene», è della Curia. Ma i libri «sono del Comune di Marmora», dice il sindaco Emanuele Ponzo: «Nel 2007 padre Sergio ha firmato un atto notarile in cui lasciava tutto al paese, a patto che la collezione restasse qui». Il Comune ha avviato un progetto per costruire una nuova ala, poi i soldi sono finiti, Marmora ha 65 abitanti e un bilancio molto piccolo. Quindi, 80mila libri contesi. In un posto millenario e pericolante, basta un fiammifero e la biblioteca può andare in fumo. «Di Treccani ce ne saranno 7mila», dice Gangi nella stanza delle enciclopedie, ma i ricchi volumi spuntano anche nelle altre camere, a incurvare gli scaffali. «Queriniana, 5mila, credo tutti, ma devo guardare sul computer». Il monaco catalogava al buio, su un vecchio computer, e in DOS, il primo DOS. In un sottoscala le edizioni settecentesche, c’è molta polvere e muffa ovunque, le infiltrazioni dai tetti non perdonano la carta vecchia e nuova, e nemmeno i molti volumi ancora implasticati possono sopravvivere, se non si troverà una soluzione. «Non ho nemmeno le chiavi, io che sono il sindaco. Quel luogo è inaccessibile al Comune, Gangi non ha titolo per stare lì, bisognerebbe trasferire i volumi, restaurare, poi rimetterli al loro posto». Trasferire anche il custode, che sa di essere sotto sfratto e si affanna a contattare altri monasteri, «ho chiesto a Pontida, Montecassino, Finalpia. Forse prendono i libri e pure me, come bibliotecario». Ci vuole un Tir, per portare via tutto, svuotare le stanze, mettere in sicurezza ogni cosa compresa la memoria di un monaco che pregava e catalogava, giorno e notte, e che magnifica ossessione era la sua, sotto un cielo così blu cobalto.