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 2018  aprile 28 Sabato calendario

Bremmer: «Forse Trump ha avuto ragione...»

«Non sono mai stato così tanto attaccato su Twitter». E tutto per un messaggino su Trump e la Corea del Nord. «Già. Eppure io questo presidente americano l’ho criticato innumerevoli volte, su qualsiasi argomento: accordi commerciali e sul clima stracciati, toppe clamorose in politica estera, rapporti difficili con gli alleati storici... Però, stavolta, sulla Corea bisogna dargli merito». Ma perché secondo lei, Ian Bremmer, direttore del think tank Eurasia Group e tra i più stimati commentatori, bisogna riconoscere i meriti di un presidente che ha chiamato Kim «uomo razzo», annunciato «fuoco e furia» e si è vantato di avere «il bottone nucleare più grosso»? «Perché ha cambiato oggettivamente la partita. L’evento storico di ieri non sarebbe mai accaduto senza l’enorme pressione che ha posto Trump sugli altri protagonisti e in particolar modo sulla Cina, praticamente costretta anche lei ad applicare sanzioni economiche molto più severe rispetto al passato. Sanzioni decisive per portare la Corea del Nord a un tavolo e curvare il corso degli eventi. Sì, è vero, il linguaggio e i modi di Trump sono stati spesso deprecabili, offensivi, estremamente rischiosi. Ma il punto è proprio questo». Che cosa? «Il rischio. A differenza di Obama e della sua “linea rossa” in Siria sull’uso di armi chimiche, Trump ha rischiato. Qui non c’è stato un disgelo più o meno regolare come con Cuba. Stavolta il grado di incognita era molto elevato: poteva finire malissimo. Ma alla fine, almeno sinora, gli è andata molto bene. Qui c’è la chiave di tutto: l’enorme rischio preso da Trump sulla Nord Corea ha rotto lo sterile status quo che si sono trascinate per anni le precedenti amministrazioni americane». Alcuni politici repubblicani, vedi Lindsey Graham, già candidano Trump al Nobel per la Pace. «Andiamoci piano, visto che la strada per la pace è ancora lunga e la denuclearizzazione che hanno promesso i due leader sarà molto complicata. Ci sono ancora pochi dettagli quindi vedremo. In ogni caso, sarà molto difficile smantellare gli arsenali e ordigni nucleari, soprattutto considerato l’indecifrabilità del regime nordcoreano. Però...» Però? «In passato il riconoscimento è stato dato a Obama che aveva fatto soltanto un paio di bei discorsi. Certo, lo stesso Trump non si è mai interessato alla questione dei diritti umani in Corea del Nord. Però fino a qualche mese fa c’era chi parlava di guerra nucleare imminente. Potessi votare per il Nobel per la Pace oggi di certo darei la mia preferenza a Trump, ma anche agli altri protagonisti di questa svolta: i due leader coreani Kim e Moon, ma anche il presidente cinese Xi Jinping. Come nel football americano, Trump ha lanciato materialmente la palla, ma tutti gli altri sono stati al gioco e si sono rivelati decisivi: il “pacifista” Moon ci ha creduto fin dalla vittoria alle elezioni l’anno scorso, la Cina ha cambiato atteggiamento rispetto al passato. E alla fine ci stanno guadagnando tutti». Anche la Cina, che in queste ultime settimane è rimasta dietro le quinte? «Molto. In prospettiva, Pechino sarà la vera vincitrice di questa possibile pace. La Corea del Sud dovrà negoziare con lei su molte cose. Se non ci saranno intoppi, il tema centrale dell’area non sarà più la sicurezza ma l’economia. E anche qui, a livello commerciale e senza le sanzioni, la Cina sarà mattatrice. Inoltre, nell’ambito della difficile denuclearizzazione, gli Stati Uniti ridurranno per forza di cose la presenza militare in Corea del Sud e perderanno tanta influenza nell’area». Non è un rischio enorme? E se quello di Kim fosse un bluff? «Vedremo. Ma le sue intenzioni negoziali mi sembrano genuine, lo sono state sin dalle Olimpiadi invernali. Ad ogni modo, Trump non vede l’ora di togliere le tende da Seul, la Corea del Sud di Moon mi sembra propensa a cavarsela da sola, e alla Cina e a Kim andrebbe benissimo così. Insomma, tutti stanno banchettando felici. Ma ad alzarsi più sazia da tavola sarà Pechino». A lungo termine però la spunterà Pechino, per il suo peso economico e perché gli Usa ridurranno la loro presenza militare