la Repubblica, 28 aprile 2018
Che farà il governo del presidente senza fiducia
Ese si chiudesse anche l’ultimo spiraglio, se la trattativa tra Pd e 5Stelle, su cui pochissimi scommettono, fallisse la settimana prossima o giù di lì? Se il dialogo tra Salvini e i 5Stelle non si riannodasse mai più? Le alternative a un ritorno al voto, che sia a giugno, in autunno, o all’inizio dell’anno prossimo, non sono molte. Anche la nascita di un governo del Presidente con tutti dentro al momento sembra impossibile, visto il rifiuto perentorio dei due “vincitori”, la Lega e i grillini. Eppure qualcuno dovrà prendere il posto di Gentiloni e battezzare un esecutivo di tregua”, magari “di minoranza”, anche solo per accompagnare il Paese al voto. È la exit strategy che ha già preso forma al Colle, la soluzione di emergenza quando tutto sarà stato tentato invano. Ed è anche la strada che indicano diversi costituzionalisti, perchè i precedenti in Italia non mancano. Il primo nodo da sciogliere è quello della data del voto. Se Mattarella dovesse rassegnarsi a sciogliere le Camere appena insediate le opzioni sul tavolo in teoria sarebbero tre. La prima: votare l’ultima domenica di giugno, il 24. La finestra si chiude il 9 maggio, perché per legge il decreto che fissa le elezioni deve essere pubblicato “non oltre il 45mo giorno antecedente quello della votazione” ( per la Costituzione comunque entro 70 giorni dallo scioglimento). In realtà formalmente quella finestra sarebbe già chiusa. «Ci si dimentica che il regolamento applicativo per il voto degli italiani all’estero fissa i primi adempimenti 60 giorni prima delle urne» dice Stefano Ceccanti, costituzionalista e parlamentare Pd. Ma non tutti condividono questa interpretazione, il regolamento potrebbe essere bypassato accelerando gli adempimenti. Più difficile che si possa votare nella prima settimana di luglio con buona parte degli italiani già in vacanza: nulla lo vieta ma in Italia non è mai successo. Si torna dunque al 9 maggio. Ma le possibilità che a quella data la situazione sia già così chiara e così disperata da non lasciare al Colle altra strada, sono assai poche. Se la direzione del Pd del 3 maggio tiene aperta la strada di un confronto programmatico – spiegano dalle parti del Nazareno – se ne va un’altra settimana. Senza contare che dopo le elezioni in Friuli Salvini tenterà comunque di riaprire il confronto con Di Maio. In questi frangenti, a seconda della piega che prenderanno le cose, Mattarella potrebbe anche giocarsi la carta di un preincarico. Di certo il capo dello Stato percorrerà tutte le strade possibili prima di rassegnarsi a nuove urne. In Germania del resto ci hanno messo sei mesi, noi non siamo arrivati ancora a due. Qualora vi fosse costretto se ne potrebbe parlare in autunno. Ma in questo caso le Camere dovrebbero essere sciolte a luglio e la possibilità di varare una riforma elettorale sfumerebbe in partenza, con il rischio di ritrovarsi con un identico risultato tripolare e uno stallo ancora più pericoloso di quello attuale. Dunque si potrebbe scivolare al 2019, nel tentativo di scongiurare l’esercizio provvisorio e far presentare al nuovo governo la legge di bilancio. Perché al Colle non contemplano l’ipotesi che Gentiloni, legittimato da un Parlamento e da una maggioranza che non esistono più, possa andare avanti a oltranza con l’ordinaria amministrazione. E lui stesso lo esclude. Un nuovo governo, comunque, dovrà nascere. E su questo concordano anche i costituzionalisti. «Escluderei che si vada alle elezioni con l’esecutivo attuale» dice Valerio Onida, presidente emerito della Consulta. «Se ne deve formare comunque uno nuovo e chiedere la fiducia alle Camere, anche se poi potrebbe non ottenerla». Sì, perchè se una maggioranza politica non si trova, e neanche quella per dare vita a un governo di tutti, l’ultima ratio sarà un esecutivo di minoranza, «che potrebbe ricevere dal Parlamento una fiducia tecnica, o non averla affatto» conferma Massimo Luciani, presidente dei costituzionalisti italiani. Di precedenti ce ne sono almeno sei in Italia, a partire dal Fanfani VI, che fu bocciato subito nelle aule parlamentari e restò in carica poco più di cento giorni prima del voto. Ma attenzione: non si tratterebbe del governo di minoranza del centrodestra, quello invocato da Berlusconi, ma di una compagine di tecnici, «che potrebbe andare avanti di volta in volta con il voto, o l’astensione compiacente di questa o quella forza politica. E magari – aggiunge Luciani – la convergenza politica potrebbe nascere successivamente», strada facendo. Intanto la nuova squadra di palazzo Chigi, oltre a presentarsi già al vertice europeo di fine giugno, avrebbe due compiti: cercare di favorire, per quanto possibile, una modifica della legge elettorale e adempiere agli obblighi sui conti pubblici, presentando entro il 27 settembre a Bruxelles la nota di variazione al Def e entro il 15 ottobre la legge di bilancio, magari in versione minimal ma, per esempio, con la correzione necessaria a evitare che scattino le clausole di salvaguardia sull’iva. Solo così ci sarà la certezza di evitare l’esercizio provvisorio. Sempre che la manovra poi trovi i voti in Parlamento.