Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Alfie è morto
Alfie è morto nella notte tra venerdì e sabato, e il papà Tom non si è barricato per protesta dentro l’ospedale Alder Hey di Liverpool, come hanno scritto in molti su internet. Lui e la mamma di Alfie, Kate, hanno solo postato su Facebook (800 mila folowers): «Il mio gladiatore ha posato lo scudo e ha spiccato il volo alle 2.30». Sempre su Facebook la sorella di Tom, Sarah, ha implorato: «Vi prego, ignorate le voci su Tom che si sarebbe barricato. Sono tutte false».
• Com’è andata?
Alfie è quel bambino di 23 mesi, colpito da un male impossibile da diagnosticare e che i medici hanno descritto come una «patologia ad eziologia indeterminata, fortemente invalidante, con grave danno cerebrale e prognosi infausta». Lo tenevano in vita con le macchine dal dicembre 2016, ma a un certo punto il giudice Paul Hayden, applicando la legge britannica, ha ordinato di staccare la spina. S’è aperta una battaglia, perché i genitori non volevano, e ci sono stati ricorsi ai tribunali europei. I tribunali europei (due) hanno confermato che la spina andava staccata. Intanto era intervenuta la Chiesa, che sul tema dei malati ridotti a stato vegetativo ha una posizione inflessibile, basata sul principio che non siamo noi padroni della vita, nemmeno della nostra, e che quindi non è mai lecito cessare le cure. L’ospedale Bambin Gesù di Roma, cattolico, s’è offerto di ospitare il piccolo Alfie e di tenerlo in vita. La giustizia inglese non ha dato il permesso di trasportarlo. Allora il governo italiano, con una riunione straordinaria del consiglio dei ministri, ha concesso la cittadinanza a Alfie: l’idea era che gli inglesi non avrebbero potuto opporsi al viaggio in Italia di un cittadino italiano. Ma il giudice Hayden ha sentenziato: «Alfie è un cittadino britannico, è indubitabilmente un residente abituale del Regno Unito e cade perciò sotto la giurisdizione dei tribunali britannici». Sul piano giuridico, Alfie, diventando italiano (e non per volontà sua), non cessava di essere inglese. Sul piano sostanziale, in Gran Bretagna non abboccano ai nostri trucchetti.
• Perché trucchetti?
La politica - e segnatamente Salvini e Meloni con l’aggiunta di Alfano - hanno speculato sul caso in modo imbarazzante. Il leghista Pillon ha persino annunciato «un esposto alla procura di Roma perché sia definitivamente chiarita ogni responsabilità circa la morte del cittadino italiano Alfie Evans». Ma per favore.
• Quelli che protestavano davanti all’ospedale?
No, tranquilli. Hanno solo manifestato il loro cordoglio facendo salire in cielo dei palloncini blu e viola.
• Che senso ha staccare la spina?
La legislazione laica non crede - e ha diritto di non credere - a quello in cui crede la Chiesa cattolica. Applica i concetti di «accanimento terapeutico» e di «dignità della persona». Un essere umano è di fatto morto, tuttavia la scienza è capace ancora di farlo respirare e di fargli battere il cuore. Questo essere umano va lavato, pulito, si fa i bisogni addosso, bisogna nutrirlo con le flebo, eccetera eccetera. Tutto accettabile, se esistesse una speranza. La Chiesa ha il diritto e forse persino il dovere di credere ai miracoli. Lo Stato laico all’inverso: ha addirittura il dovere di non crederci, o comunque di non legiferare per articoli di fede. Mentre qualche vescovo s’è scatenato, ho trovato molta prudenza nelle parole del Papa, che pochi giorni fa aveva ricevuto il padre di Alfie, Thomas.
• Che cosa ha detto Bergoglio?
C’è stato un tweet: «Sono profondamente toccato dalla morte del piccolo Alfie. Oggi prego specialmente per i suoi genitori, mentre Dio Padre lo accoglie nel suo tenero abbraccio». Poi Francesco ha incontrato i partecipanti alla conferenza sulla medicina rigenerativa (rimpiazzamento e rigenerazione di cellule, tessuti e organi umani) e ha spiegato meglio il suo pensiero: «La Chiesa elogia ogni sforzo di ricerca e di applicazione volto alla cura delle persone sofferenti, ma ricorda anche che uno dei principi fondamentali è che non tutto ciò che è tecnicamente possibile o fattibile è per ciò stesso eticamente accettabile. La scienza, come qualsiasi altra attività umana, sa di avere dei limiti da rispettare per il bene dell’umanità stessa, e necessita di un senso di responsabilità etica. Di fronte al problema della sofferenza umana è necessario saper creare sinergie tra persone e istituzioni, anche superando i pregiudizi, per coltivare la sollecitudine e lo sforzo di tutti in favore della persona malata. Occorrono azioni concrete a favore di chi soffre attraverso la convergenza di sforzi e di idee capaci di coinvolgere rappresentanti di varie comunità: scienziati e medici, pazienti, famiglie, studiosi di etica e di cultura, leader religiosi, filantropi, rappresentanti dei governi e del mondo imprenditoriale». I quattro verbi su cui regolarsi sono, secondo il pontefice: «prevenire, riparare, curare, preparare il futuro».
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