La Lettura, 29 aprile 2018
Un androide nel 2038
Che cosa fareste leggere al vostro androide da compagnia, Platone o Shakespeare? E gli affidereste i vostri figli? Le prossime righe conterranno una quantità insolita di domande così. E quasi nessuna risposta. Voleste comunque continuare a leggere, vi chiederemmo anche uno sforzo di immaginazione supplementare. Perché adesso siete a Detroit, il 5 novembre 2038. Vi chiamate Markus, afroamericano sulla trentina, e avete appena comprato un libro d’arte antica. Usciti dal negozio scorgete una pensilina, di quelle dove si aspettano gli autobus. Solo che in coda, un po’ troppo immobili e un po’ troppo ordinati, donne e uomini aspettano di essere presi in affitto. Sono schiavi, Markus, androidi come voi. Di quelli che nel 2038 avranno soppiantato l’uomo in tante attività: androidi da passeggio, carpentieri, medici, intellettuali. Androidi tanto utili da essere odiati da chi, per colpa loro, ha perso il lavoro e con lui il proprio posto nel mondo. Non è un caso che pochi metri dopo veniate aggrediti da un gruppo di manifestanti, pronto a darvi la lezione che senza saperlo meritate. Il fatto, Markus, è che da qualche tempo voi e tanti altri come voi, i cosiddetti «devianti», lo sapete: percepite di essere sottomessi con quelle emozioni che non è previsto proviate.
Inizia così Detroit: Become Human, il nuovo videogioco di David Cage e della sua Quantic Dream. A voler essere precisi, quella di Markus è solo una delle tre storie che aprono l’avventura grafica del game designer parigino, un autore idolatrato quanto discusso. Proprio come gli umanoidi che racconta: Markus, futuro leader di un gruppo di devianti, Kara, un’androide baby sitter, e Connor, programmato per ritirare i suoi simili «difettosi».
Interpretando ognuno di loro, il giocatore vive la storia da prospettive diverse. Come in un Rashomon di Akira Kurosawa di cui si potesse essere anche interpreti e registi. «Più scrivevo, più capivo quanto il futuro immaginato per Detroit: Become Human avesse a che fare con l’attualità – dice Cage a “la Lettura” – e mi diventava chiaro quanto siamo sempre più dipendenti dalla tecnologia e insieme egoisti, quanto oggi fatichiamo a tollerare le diversità. Per questo ho deciso che il punto di vista del giocatore fosse quello degli androidi».
Da 20 anni, da quando coinvolse addirittura David Bowie in un videogioco (Omikron: The Nomad Soul), Cage forza i confini del mezzo con cui si esprime. Sviluppato da 180 persone, il suo Detroit: Become Human non è solo una meraviglia tecnologica, capace di esprimere lo stato dell’arte in quanto a grafica computerizzata e sua integrazione con interpreti in carne e ossa (attori come Clancy Brown o Lance Henriksen, il cyborg di Aliens); Detroit: Become Human è la testimonianza di come il gioco, oggi, possa essere uno degli interpreti più precisi della realtà. «La sua caratteristica più importante è la libertà concessa al giocatore – spiega Adam Williams, lead narrative designer di Quantic Dream e responsabile delle oltre 3 mila pagine di sceneggiatura —, qualsiasi cosa accada nella storia è la conseguenza diretta di una scelta del giocatore. Quasi un suo specchio. Quando, per esempio, si deve catturare un androide ribelle, si è interpellati sull’eventualità di concedere diritti civili a un’intelligenza artificiale». Via da distopie interattive, la questione è come si percepiscano gli altri, i «quasi uguali». Ma anche se sia già in atto un ribaltamento capace di trasformare noi nei soggetti da tutelare. «Credo che le intelligenze artificiali – aggiunge Cage – diventeranno più importanti di quanto immaginiamo. Per esempio potrebbero essere ottimi politici: mai stanchi, sempre capaci della scelta migliore, incorruttibili. Se questa prospettiva sia buona o un incubo, però, dipende dalle nostre decisioni. Oggi». Che cosa siete disposti a fare per essere liberi?, domanda Detroit: Become Human ben oltre lo schermo. E mentre trasporta il giocatore nella fantascientifica era dei robot, descrive la ben più realistica dipendenza da software e algoritmi, la progressiva dissoluzione del lavoro, il razzismo, l’avvenire che si sta scrivendo in un presente sempre «meno umano dell’umano».
Sono questioni così poco futuribili da poter essere intercettate già nel dibattito istituzionale. Lo dimostrano il Libro bianco sull’intelligenza artificiale al servizio del cittadino edito a marzo dall’Agid, l’Agenzia per l’Italia Digitale, i rapporti sull’impatto della robotica della Commissione britannica per «Impiego e competenze» o qualsiasi parere sul rischio computerizzazione di università o centri studi. Oppure lo ribadiscono i temi di ogni Expo Universale da qui ai prossimi 10 anni, a partire da Dubai 2020 col suo Connecting Minds, Creating the Future. La domanda è la stessa, solo più urgente giorno dopo giorno: l’uomo sarà ancora il centro del mondo?
Sono in discussione le dinamiche e la gestione del lavoro, l’impiego del tempo, la dignità. Alle previsioni ottimistiche di Kevin Kelly, il fondatore di «Wired», rispondono gli allarmi del compianto Stephen Hawking o di Elon Musk, che pochi giorni fa ha pubblicamente definito «un errore l’eccessiva automazione», salvo intensificare subito dopo i turni in fabbrica alla Tesla. Non è un caso che le stesse inquietudini ricorrano in serie tv come Altered Carbon (su Netflix), che ipotizza separabili la mente e la sua «custodia», o meno romanticamente in Westworld (Hbo), la Western robot story che, scritta da Michael Crichton negli anni Settanta, è fra le (pre)visioni più spaventose dei giorni nostri. Perché non parlano mai solo di futuro le opere che lo descrivono: «Attraverso gli occhi dei miei androidi – ci spiega Cage – guardiamo la nostra umanità». Viene in mente una teoria di Richard Grusin, già direttore del Center for 21st Century Studies della University of Wisconsin Milwaukee: dopo il 2001 i media non si limitano a informare, ma «pre-mediano» gli eventi. Dalla ricerca automatica di Google ai videogiochi, manifestazione suprema della relazione ai tempi del bit, secondo Grusin i mezzi di informazione prefigurano la realtà – Black Mirror come qualsiasi telegiornale – allo scopo di anticipare risposte emotive a ogni scenario. Difficile capire se sia per rassicurarci o condizionare il comune sentire. È un altro dilemma. Detroit: Become Human uscirà su Playstation 4 e Pro il 25 maggio: provate voi a rispondere.