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 2018  aprile 29 Domenica calendario

Turner in Italia

Prima metà dell’Ottocento. Un uomo con la tavolozza e il cavalletto portati a spalla vaga per l’Europa. Basso di statura, tarchiato, trasandato. Dipinge al momento, quando qualcosa lo colpisce immediatamente, piazzando il cavalletto su una spiaggia, davanti al mare in tempesta. Abbozzando sulla tela l’emozione vivida provata davanti alle rovine di un acquedotto romano, mentre gironzola nella campagna assolata tutt’intorno alla Città Eterna. O nel riflesso delle acque turbine se di una cascata tra le montagne svizzere. Erano ancora lontani i tempi degli impressionisti, ma Joseph Millar William Turner già si dedicava alla pittura en plain air e prefigurava un modo di ritrarre la realtà moderno, fatto di pennellate nervose, guizzante, capaci di catturare le luci, le ombre, il movimento dell’acqua... Non aveva certo l’aspetto e le maniere del pittore alla moda, tendeva alla prosaicità, attento al denaro da guadagnare, di poche parole, perlopiù inviso alla critica – questa non era certo una sua prerogativa- ma sicuro del fatto suo, potendo anche contare sul successo ottenuto nella sua giovinezza e prima maturità. Piaceva molto a illustri aristocratici, come il duca di Bridgewater o Sir John Leicester, che frequentavano assiduamente lo studio privato creato a Londra, al numero 64 di Harley Street, diventata una delle vie più frequentate anche grazie alla presenza di molti medici specialisti. Decisione rivoluzionaria, si può definire, quella di avere uno studio suo, che di fatto lo liberava dal “controllo” che all’epoca la Royal Academy esercitava sugli artisti quotati dell’epoca. Uno dei suoi tratti distintivi, fare a modo suo, senza tante chiacchiere. LA FOLGORAZIONE Ma era soprattutto un viaggiatore instancabile, tra le città, le campagne e le marine inglesi, e poi, via via, di mezza Europa. Quando raggiunse l’Italia, fu amore a prima vista, in tutti i sensi, perché, per uno che dipingeva la luce come lui, il Belpaese fu come una folgorazione. Nell’agosto del 1818 cominciò da Torino, poi fece tappa a Milano, e poi Venezia, Roma, Napoli. Ammutoliva davanti agli antichi e grandi maestri italiani, si perdeva lungo strade assolate o nella contemplazione di rive, fiumi, canali. E del mare, naturalmente. Non più il mare scuro e tempestoso del Nord, ma quello scintillante e mitologico, dall’Adriatico, al Tirreno, fino al Mediterraneo. Sono i capolavori nati da queste esperienze di vagabondaggio visivo che forse più attraggono, quasi ipnotizzandoli, i visitatori della mostra Turner. Opere della Tate, in corso a Roma, fino al 26 agosto, al Chiostro del Bramante. Si tratta di 92 opere, acquarelli, esposti per la prima volta in Italia, provenienti appunto dalla prestigiosa Galleria Tate di Londra. La mostra è curata da David Blayney Brown. LE SEZIONI Suddivisa in sei sezioni tematiche, mette in evidenza l’importanza proprio di quel rapporto particolare e profondo con l’Italia, più è più volte visitata. Il suo acquarello che nel 1840 ritrae Venezia e la laguna al tramonto evoca subito l’Impressione, levar del sole che Claude Monet dipingerà solo nel 1872, decine di anni più tardi. Qui la fusione dei colori tra cielo e acqua è perfetta, mentre barche, legni, profili di cupole e campanili si sciolgono nell’aria sospesa del tramonto. Molte volte riappare Venezia, trasfigurata come miraggio o visione, l’ideale città, per Turner, per poter dipingere come se stesse sognando, con la libertà dei sogni. Del resto, dipingeva sempre seguendo il suo senso per la luce, anche dentro l’ombra, confondendo spesso tra di loro gli elementi della natura e gli uomini stessi. «L’indeterminatezza è il mio forte», affermava in barba ai molti critici che lo demolivano proprio per questo. Era in perenne lotta con la salute, così come con la fortuna, tra alti e bassi, finché divenne sempre più umbratile, schivo, incline ad affogare dell’alcol dispiaceri, delusioni, dolori. Fino alla morte, nel dicembre del 1851, quando comunque aveva avuto in dono di avere accanto a sé la presenza gentile e affettuosa di una donna, Sophia Booth, vedova di un ammiraglio. Del resto, lui aveva sempre amato il mare e ammirato gli uomini che viaggiavano, combattevano, vivevano, morivano sul mare. riproduzione riservata