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 2018  aprile 29 Domenica calendario

La Nato cambia sede

Suscita anche un po’ di nostalgia per il trasferimento della Nato. La nuova sede offrirà lo stato dell’arte in tecnologia, efficienza termica, sicurezza. Architettonicamente non c’è confronto. Il vecchio quartiere generale era diventato impresentabile. Non vi si poteva ospitare Donald Trump, che aveva già chiamato la Nato «obsoleta». Lo scorso luglio il nuovo edificio fu ufficialmente inaugurato alla sua presenza. Poi, ministri, ambasciatori, generali e funzionari tornarono nelle vecchie sale.
Il tempo è scaduto. La Nato traversa le quattro corsie di Boulevard Léopold III e abbandona il meandro a tre piani che l’ha ospitata per mezzo secolo. Vi ci si perdeva facilmente, fra scale anonime e identici corridoi a angolo retto, guidati solo dalle insegne all’ingresso delle ambasciate. Con una geografia che vedeva l’Italia in mezzo a Uk (sopra) e Turchia (sotto), soccorreva solo l’ordine d’arrivo che relegava i nuovi arrivati alla periferia, in fragili prefabbricati scossi dalle bufere atlantiche.
Il primo trasferimento della Nato avvenne in circostanze ben più drammatiche. Dal centro di Parigi l’Alleanza giunse alla tranquilla municipalità di Evere, per necessità e per caso. Per necessità: Charles De Gaulle l’aveva sfrattata.
Corre il 1967. La Francia della «grandeur» ha la sua «force de frappe», vuole «l’Europa dall’Atlantico agli Urali», si sente poco tributaria di un’alleanza «atlantica». Con genialità degna di Astérix De Gaulle chiede anche la rimozione di tutti i comandi alleati dal territorio francese – ma rimane nella Nato: un piede fuori e un piede dentro. Mutatis mutandis è l’operazione che oggi Londra vorrebbe realizzare con l’Ue. Alla Francia il capolavoro d’arroganza e di diplomazia riesce. Rimarrà a lungo eccentrica all’Alleanza; solo nel 2009 François Sarkozy completa il lento riavvicinamento col rientro nella struttura militare.
Per caso: Bruxelles sta diventando la capitale d’Europa, perché non anche dell’Atlantico? Il Belgio offre subito alla Nato una zona prestigiosa, accanto all’Atomium fiore all’occhiello dell’Expo del 1958. Ma il tempo stringe, occorre una sistemazione provvisoria. È libera l’area della «Petite Sibérie», ai margini di Bruxelles. È stata pista aeroportuale dalla Luftwaffe nella Seconda Guerra Mondiale; sono pronti i disegni per costruirvi un ospedale da campo. Il progetto viene trasformato e a tempo record vengono costruiti 40 mila mq in grado di ospitare 1300 uffici. Viene creato un apposito codice postale (1110). In tre settimane, una navetta di camion trasporta da Parigi 140 tonnellate di documenti e 4700 mc di materiale per un costo di 700 milioni di franchi belgi.
Approdata a Evere la Nato vi pianta radici. La «location» è pratica, spaziosa, facile da mettere in sicurezza, vicina all’aeroporto, a distanza ragionevole dall’inarrestabile germogliare di istituzioni europee («l’altro lato della città»). La comodità fa premio sull’estetica. La Nato rinuncia alla rinomata cucina brussellese per la mediocrità della mensa appena riscattata dal più esclusivo «Salon des Ambassadeurs» (o dal vicino «Sole di Napoli»), ma gode di servizi come banche (compreso Monte dei Paschi Belgio), ufficio postale, campi da tennis, piscina, supermercato, e abbondanza di parcheggio.
In 51 anni di «provvisorietà» l’Alleanza Atlantica vince la guerra fredda, è testimone della riunificazione della Germania, vede il barometro con Mosca passare dal brutto al variabile al bello e viceversa, invoca l’Art. 5 dopo l’11 settembre, passa da 15 a 29 membri, si spinge prima nei Balcani poi nell’Hindu Kush, allaccia partnership con una cinquantina di paesi, dal Golfo al Pacifico, accoglie tutti i leader occidentali e molti altri. Se il mattone dei vecchi edifici potesse parlare avrebbe molte storie interessanti da raccontare.
Anche storie italiane. Dall’inaugurazione, il 4 ottobre 1967, da parte del Segretario Generale Manlio Brosio, 8 Vice Segretari, 14 Ambasciatori (compreso chi scrive) e 2 Presidenti del Comitato Militare italiani si sono succeduti intorno al tavolo del Consiglio Atlantico. Nel corridoio dell’ambasciata (in gergo Rica) una galleria fotografica a ritroso ripercorre le tappe della nostra presenza. Le facce, miracolosamente, ringiovaniscono, i colori sbiadiscono e passano dagli abiti blu di Gentiloni e Berlusconi al bianco e nero di Cossiga, Andreotti, Fanfani, Moro, Saragat, Segni...
«È venuto il momento di salutare questa sala piena di storia e di bei ricordi» ha twittato il 25 aprile, l’attuale Ambasciatore (e ex-Vice Segretario Generale), Claudio Bisogniero. Una lo ritrae sotto il motto «Animus in Consulendo Liber». Segue la Nato da Parigi, ma fu importato dal Palazzo del Podestà di San Gimignano, come ricordò al presidente Giorgio Napolitano nel marzo del 2010 l’allora Decano danese, Per Poulsen Hansen.
Quattro parole in latino che hanno insegnato a tre generazioni di politici, diplomatici e militari l’imperfetta arte di conciliare gli interessi nazionali con la solidarietà comune. Continueranno a farlo nella nuova sede. La Nato cambia sale, non spirito.