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 2018  aprile 29 Domenica calendario

La malattia di Haftar e il problema Libia

Era inevitabile che Khalifa Haftar sarebbe passato al contrattacco mostrando i muscoli per provare quanto sia ancora al comando. Colui che ancora ai primi di aprile era definito «l’uomo forte della Cirenaica» è oggi per tanti diventato «il grande malato della Libia». Quasi tre settimane di ricovero d’urgenza in un ospedale di Parigi hanno indebolito la sua immagine, lasciato spazio agli avversari, riacceso i duelli per la successione. La sua malattia resta un mistero. I collaboratori più prossimi parlano di uno «stato di affaticamento», normale per un 75enne sempre al lavoro, e comunque ormai superato. Ma i circoli a lui più ostili continuano a diffondere voci relative a una sua «grave deficienza al cuore». Ovvio dunque che il generale dell’autoproclamato «Esercito Nazionale Libico» rientrato a Bengasi il 26 aprile abbia subito parlato alla sua televisione Al Hadath per lanciare un messaggio netto: sono tornato, sto bene e riprendo la mia battaglia. Dalle parole ai fatti: nelle ultime ore sono ripresi i combattimenti a Derna contro i militanti islamici di Ansar al Shariah, scontri si registrano anche nel deserto del Fezzan e specie nell’oasi di Sebah, dove da tempo le unità di Haftar sono impegnate contro le milizie locali e le bande che gestiscono il traffico di migranti dall’Africa sub-Sahariana. Ma tutto questo attivismo rivela anche un certo affanno. Da tempo le iniziative di Haftar segnano il passo, nonostante il sostegno dei governi egiziano e francese. Negli ultimi mesi diversi attentati hanno persino messo in dubbio il suo controllo sulla stessa Bengasi. Le sue critiche ai recenti tentativi di ripresa della cooperazione diretta tra i governi di Cirenaica e Tripolitania appaiono caduche. In questo contesto, non è neppure da escludere una collaborazione su basi nuove tra gli attori internazionali coinvolti nello scacchiere libico. Tra loro l’Italia, uno dei Paesi Onu che con più vigore appoggia Fayez Sarraj a Tripoli, potrebbe giocare un ruolo ancora più importante.