La Stampa, 28 aprile 2018
Bazoli rinviato a giudizio
Da una parte il sequestro delle deleghe in bianco per le assemblee, in particolare quella decisiva del 2013 che elesse il consiglio di sorveglianza della banca; dall’altra gli appunti scritti da un vero grafomane come Italo Lucchini, commercialista bergamasco e consigliere di Ubi Banca, che segnava sulle sue agende in maniera quasi maniacale ogni incontro, ogni riunione o conversazione cui partecipava. Sono elementi di prova che hanno pesato non poco nella costruzione accusatoria della Procura bergamasca che ieri ha convinto il gup Ilaria Sanesi a firmare il rinvio a giudizio di 39 persone, tra cui molti ex amministratori ed ex manager della banca bergamasca, con l’accusa, a vario titolo, di ostacolo all’autorità di vigilanza di Consob e Bankitalia per le violazioni relative al patto occulto, illecita influenza sull’assemblea in relazione alla capogruppo Ubi banca, fino alla truffa, inosservanza delle obbligazioni da parte di esponenti bancari, conflitto d’interesse e illeciti tributari per le vicende della controllata Ubi leasing. Rinvio a giudizio anche della banca stessa, accusata di violazione delle norme della legge 231 sulla responsabilità amministrativa.
La decisione del gup non è ovviamente una sentenza di condanna ma indica che la vicenda, che colpisce tra gli altri un personaggio di peso come Giovanni Bazoli, socio storico di Ubi, attuale presidente emerito di Intesa Sanpaolo, è meritevole di approfondimento davanti a un tribunale. Lo stesso Bazoli per altro, in una nota, spiega di prendere atto della decisione «che era prevedibile, in considerazione dei limiti propri dell’udienza preliminare. Il dibattimento sarà certamente la sede più adeguata per accertare che l’intero impegno da me dedicato alla nascita e all’avvio di Ubi è stato improntato alla massima correttezza e trasparenza».
Ma secondo la Procura di Bergamo, proprio Bazoli insieme a Emilio Zanetti, rispettivamente in qualità di presidente dell’Associazione Amici Banca Lombarda e Piemontese e dell’Associazione Amici di Ubi Banca, sarebbero stati i registi del patto occulto che avrebbe guidato le scelte dell’istituto di credito, prendendo «decisioni sulle maggiori quote aziendali», come nomine nei consigli e nelle partecipate, rapporti con Banca Italia, modello duale, modello federale, modifiche dello statuto, forma societaria, «anche al di fuori» degli organi della banca.
Oltre a Bazoli e Zanetti, alla sbarra finiranno anche Victor Massiah, attuale consigliere delegato dell’istituto, Andrea Moltrasio, presidente del Consiglio di sorveglianza, il vicepresidente Mario Cera e Franco Polotti, ex presidente del consiglio di gestione. La banca ribadisce la correttezza del proprio operato e nega vi siano stati ostacoli alla vigilanza, omissioni informative e influenze strane per determinare le maggioranze assembleari come invece denunciato da alcuni soci di minoranza e poi, secondo la Procura, dimostrato de plano con il sequestro di deleghe in bianco o i minuziosi appunti del commercialista Lucchini. Si vedrà al processo che comincerà il 25 luglio in quel di Bergamo. A Bazoli è contestato anche la violazione del cosiddetto “divieto di interlocking”, ovvero l’impossibilità di mantenere incarichi in due istituti concorrenti per il periodo nel quale è stato anche presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo, fino al 27 aprile scorso.