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 2018  aprile 28 Sabato calendario

Veloce biografia del Bazoli rinviato a giudizio

«Prendo atto della decisione, che era prevedibile in considerazione dei limiti propri dell’Udienza preliminare. Il dibattimento sarà certamente la sede più adeguata per accertare che l’intero impegno da me dedicato alla nascita e all’avvio di Ubi è stato improntato alla massima correttezza e trasparenza». Giovanni Bazoli ieri era in aula a Bergamo e ha atteso il pronunciamento del Gup che dopo 11 udienze ha deciso il suo rinvio a giudizio. L’anziano banchiere ha poi affidato a un comunicato di poche righe, diffuso nel tardo pomeriggio, la sua posizione.
Chi lo conosce lo descrive determinato, certo della insussistenza delle accuse che gli sono state mosse e certo che l’impianto accusatorio verrà smontato in Tribunale. Ovvero, aver di fatto condizionato con un patto occulto le vicende di Ubi Banca, dove non aveva incarichi formali mentre ne aveva invece in Banca Intesa e poi in Intesa Sanpaolo. E certo, lui cattolico liberale e appassionato studioso della Costituzione, a 85 anni non si aspettava di finire a processo dopo una vita dedicata a un «grande disegno». Protagonista della nascita della prima banca italiana – Intesa Sanpaolo – partendo dalle macerie del Banco Ambrosiano e già che c’era anche della terza, Ubi Banca appunto, con la fusione tra la bresciana Banca Lombarda e la Popolare di Bergamo per difendere la prima dalle mire del Santander.
Tassello dopo tassello, dal 1983 fino al suo addio agli incarichi operativi il 27 aprile 2016, per assumere l’incarico di presidente onorario della «sua» creatura. Partendo dai 116 sportelli e 3900 dipendenti del Nuovo Banco Ambrosiano ha battezzato la nascita di un gruppo che oggi ha quasi 100 mila dipendenti, 423 miliardi di impieghi e quasi 4 miliardi di utile. Il tutto senza mai dimenticare d’interpretare il ruolo di banchiere in maniera più alta, dove il profitto è uno degli elementi e non il fine ultimo e unico dell’attività bancaria. Il sostegno alle imprese, al lavoro, al servizio del paese e della sua crescita. Un «grande disegno», solo latamente politico, al servizio del quale il professore bresciano ha speso gli ultimi quarant’anni della sua vita. A ben guardare, non c’è stato un passaggio della vita politico-finanziaria che non lo ha visto protagonista. Un ruolo che proprio l’inchiesta di Bergamo, al di là delle responsabilità penali che saranno accertate o negate dal tribunale, ha fatto uscire dai retroscena e dalle ricostruzioni giornalistiche per fissarlo in atti (non rilevanti, in nessun modo, al fine delle accuse contestate ma di certo rilevanti per il cronista e più avanti per lo storico). Come una telefonata intercettata tra Bazoli e l’ex presidente Giorgio Napolitano del 19 marzo 2015. «Napolitano – annotano i finanzieri – specifica di aver fatto riferimento (con Mattarella, ndr) anche al dialogo di questi anni tra loro (ovvero tra Napolitano e Bazoli, ndr) e prima ancora con Ciampi». Un ruolo schietto, «informativo» e «di consiglio» che Bazoli ha ricoperto per anni. E che forse non si aspettava finisse per essere argomento dibattuto in un’aula di tribunale.