
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Arrivano notizie dal Medio Oriente, e sono notizie buone.
• Di che si tratta?
Sirte sta per cadere. E non per mano del generale Haftar. Notizia buonissima. Che si sposa con altre notizie provenienti dall’Iraq e dalla Siria. I «nostri» (se mi passa l’espressione) avanzano e il Califfo è in difficoltà. Lo Stato Islamico ha tre capitali. Sirte è la capitale dello Stato Islamico di Libia, ed è agli sgoccioli. Raqqa è la capitale dello Stato Islamico di Siria e qui, pochi giorni fa, al Baghdadi ha proclamato lo stato d’emergenza, cioè, secondo l’interpretazione del colonnello Steve Warren, la resa dei conti è vicina. Mosul è la capitale dello Stato Islamico dell’Iraq. È ancora in mano ai jihadisti, ma le forze irachene stanno assediando adesso Falluja, che non sembra aver speranza di resistere, e subito dopo Falluja punteranno proprio su Mosul.
• Parliamo di Sirte.
Sirte è un importante porto della Tripolitania. Presa dagli islamici, era stata riconquistata dalle milizie di Misurata, che poi l’avevano nuovamente persa lo scorso febbraio. Adesso è attaccata sia da ovest che da est. Da ovest sono a un passo dalla conquista del centro storico (la periferia è già nelle loro mani) i soldati messi in campo dal premier Fayez al Sarraj, quello che governa a Tripoli ed è sostenuto dalla comunità internazionale. Lei, come è ovvio, ricorda perfettamente la situazione in Libia, di cui abbiamo parlato molte volte.
• Beh, se devo dire la verità...
La Libia è spaccata in due, con una capitale e un parlamento a Tripoli in Tripolitania, e una capitale e un parlamento a Tobruk, in Cirenaica. La comunità internazionale - capeggiata da americani e italiani - riconosce e sostiene il governo di Tripoli. Gli egiziani e, sotto sotto, i francesi, appoggiano il governo di Tobruk. L’uomo forte di Tobruk è il generale Haftar, che vuole avere su quel territorio un ruolo da protagonista e finora ha combattuto l’Isis per conto suo, riconquistano varie città e villaggi. Vincendo sul terreno, Haftar si propone come punto di riferimento dei libici, e mette in difficoltà il governo che il mondo considera legittimo, quello di Tripoli. Senonché, Haftar non è in campo nella riconquista di Sirte e questo ha l’aria di essere un brutto colpo per lui. Come dicevo prima, stanno entrando in Sirte da ovest gli uomini del premier al Sarraj e da est le cosiddette Guardie Petrolifere, guidate dal signore del petrolio Ibrahim Jadhran, che stanno però ancora a una settantina di chilometri dalla città. L’altro punto importante, oltre all’assenza di Haftar, è che tripolini e guardie petrolifere fino a poche settimane fa si sparavano addosso. Adesso sono alleati e forse è un segno che la situazione sta evolvendo in modo favorevole. Un altro elemento di valutazione importante è questo: il Califfo aveva chiaro che, prima o poi, avrebbe perso sia la Siria che l’Iraq e proprio per questo aveva preparato un ripiegamento in Libia, con l’intenzione di inserirsi proficuamente in un contesto degradato non solo politicamente e capace però di fornirgli, col petrolio, molte risorse. La caduta di Sirte vanifica questo progettato arretramento, che avrebbe permesso comunque al Califfo di restare in campo.
• Che faranno quelli dell’Isis quando Sirte sarà caduta?
La previsione è che si avviino lungo le vie del deserto e da qui mettano in pratica una guerriglia banditesca. Il deserto è pieno di bande, gli uomini del Califfo si ridurranno ai sequestri di persona, alle rapine, al contrabbando, al traffico d’armi, rivelando il loro vero volto. Si tratta in realtà, come abbiamo sostenuto in passato, di criminalità organizzata che ha scelto la maschera della fede islamica.
• Il problema è farlo capire ai musulmani.
Ci sono buone notizie anche qui. Il reclutamento del Califfo è passato dai duemila al mese dei bei tempi ai duecento di oggi. Secondo Gilles Kepel la simpatia verso l’Isis è scemata di colpo dopo gli attentati parigini del 13 novembre: in quell’azione, giudicata eroica dai più sprovveduti di quel mondo, sono stati uccisi molti fedeli di Maometto, e la cosa non è piaciuta per niente neanche ai circoli più estremisti. L’Arab Youth Survey organizza ogni anno un grande sondaggio sulle opinioni dei musulmani giovani, relative a un universo di duecento milioni di ragazzi tra i 15 e i 24 anni. Da tremila e cinquecento interviste individuali in sedici Paesi, emerge che il Califfato ottiene il consenso del 13%, con una discesa, in un anno, del 6%. La disponibilità di questi giovani ad approvare quello che fanno gli uomini di al Baghdadi è condizionata alla «rinuncia della violenza» e all’impegno nella costruzione di un futuro «più stabile» nelle terre conquistate. Anche in quel mondo, se si tratta di scegliere, si preferiscono i vincitori.
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