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 2016  giugno 12 Domenica calendario

L’Italia e l’uscita (eventuale) della Gran Bretagna dalla Ue

Alessandro Barbera per La Stampa
Allacciatevi le cinture. L’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Ue porta con sé incognite enormi. Il problema non sono le conseguenze misurabili, ma quelle di lungo periodo, che mettono in discussione l’intera costruzione europea. Eccone alcune.

Portate pazienza
Quel referendum non ha alcun valore legale: è una consultazione che il parlamento inglese sarà chiamato a ratificare. Westiminster dovrà votare sì all’uscita, ma il tempo necessario a completare il processo previsto dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona potrebbe durare anni. Lo scenario è presto fatto: in caso di sì alla Brexit David Cameron sarà costretto alle dimissioni, obbligando la Regina a indire nuove elezioni non prima dell’autunno. Discutere i dettagli della Brexit nel 2017 sarà a dir poco impervio, visto che le decisioni le dovrà prendere il Consiglio europeo – in cui siedono i capi di Stato – nei mesi in cui andranno alle urne tedeschi, francesi e olandesi. Un’agonia che alimenterà le tentazioni secessioniste della Scozia (dalla Gran Bretagna) e dei Paesi Ue più inclini a imitare Londra, come la Svezia e la Danimarca.

Un disastroso battito d’ali
In tutte le istituzioni finanziarie, dalle banche centrali al più piccolo dei gestori, ci si prepara ad un terremoto epocale sui mercati. Secondo Axioma il comparto azionario perderebbe il 24 per cento. C’è poi da calcolare le conseguenze sui cambi: alla Banca centrale europea temono un crollo della domanda di sterline a favore di dollari e di euro. Difficile pronosticare gli effetti di medio periodo sul valore dell’euro, ma se dovesse rafforzarsi deprimerebbe l’export italiano. Il pericolo più insidioso sono le conseguenze della Brexit sui tassi inglesi. La svalutazione della sterlina aumenterebbe l’inflazione, spingendo la Bank of England ad aumentare i tassi; a sua volta la Federal Reserve sarebbe costretta ad accelerare l’aumento dei tassi americani. A quel punto la Bce si troverebbe in difficoltà a tenere il punto: oggi tiene i tassi bassi per combattere deflazione e bassa crescita.

Bund per tutti
Una delle conseguenze già visibili della Brexit è l’aumento della domanda di beni rifugio, dall’oro ai titoli di Stato. Nonostante i rendimenti bassissimi oggi i bond più richiesti sono americani, giapponesi e tedeschi a danno di quelli dei Paesi con conti pubblici più fragili come l’Italia. Se il «Leave» prevarrà, e la domanda di titoli tedeschi crescesse ancora, potrebbe risalire lo spread con i Btp. In questo senso il piano di acquisti della Banca centrale europea sarà essenziale per evitare scenari come quelli del 2011.

Fuga da Londra
La Brexit provocherà una fuga di capitali e di persone dalla Gran Bretagna verso l’Europa continentale: l’hanno annunciato quasi tutte le banche d’affari. Morgan Stanley ad esempio ha pronto il trasloco di mille persone, un sesto della sua forza lavoro nel Regno Unito. Una buona notizia, solo se isolata dal contesto e tenuto comunque conto che l’Italia non è fra le destinazioni preferite: in cima alle preferenze di banche e investitori ci sono Francoforte, Dublino Amsterdam e Parigi.

Chi è? Dove va? Un fiorino!
L’Italia oggi ha un saldo commerciale con la Gran Bretagna pari a dodici miliardi di euro, lo 0,8 per cento della ricchezza nazionale: niente se confrontato con i numeri che ci legano alla Germania. La Gran Bretagna esporta verso l’Italia il 2,8% della ricchezza ed importa il 3,7. Numeri che però sarebbero intaccati dall’introduzione di barriere tariffarie e non tariffarie.

Conto salato a Bruxelles
Londra oggi contribuisce al bilancio comunitario con 9 miliardi di euro all’anno. Se verranno meno, quei fondi dovranno essere compensati dagli altri Paesi membri sulla base delle attuali quote. All’Italia spetta alimentare quel bilancio per il 15%: ciò significa che per compensare l’uscita di Londra l’Italia dovrà versare 1,5 miliardi in più di oggi.

Addio, swinging London
L’ambasciatore italiano a Londra Pasquale Terracciano ha tranquillizzato i seicentomila italiani che risiedono in Gran Bretagna: «Per loro nell’immediato non cambia nulla». Ma cosa accadrà a chi aspirasse a vivere in Gran Bretagna dopo la Brexit? E cosa accadrà ai cinquemila che ogni anno si iscrivono nelle università inglesi? Le regole diventeranno più severe, con buona pace di chi oggi varca la Manica con lo zaino pieno di ambizioni.

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Ferdinando Giugliano per la Repubblica
Il 23 giugno, la Gran Bretagna deciderà attraverso un referendum se uscire dall’Unione Europea. Un’eventuale “Brexit” avrebbe conseguenze politiche epocali sul Regno Unito e sul resto d’Europa: la Scozia, dove la popolazione è prevalentemente a favore dell’Unione, potrebbe chiedere un nuovo voto sull’indipendenza da Londra. La Ue perderebbe per la prima volta uno Stato membro, con rischi per il futuro del processo di integrazione europea. Le conseguenze economiche di un’uscita rischiano di essere altrettanto imponenti. Ecco una breve guida al possibile impatto di Brexit sull’economia britannica e della Ue.
GLI EFFETTI A BREVE TERMINE IN GRAN BRETAGNA
Un’uscita della Gran Bretagna dall’Unione porterà quasi certamente a un forte deprezzamento della sterlina. Il testa a testa tra “Remain” e “Leave” segnalato dai sondaggi ha contribuito a far scendere il cambio con l’euro di circa il 12% in un anno. Uno studio della banca d’investimento Goldman Sachs ha stimato che in caso di Brexit la sterlina potrebbe perdere il 15-20% rispetto a un indice di altre valute, una previsione che ricalca quella di altre ricerche.Le conseguenze di un’uscita potrebbero estendersi rapidamente ai mercati obbligazionari e azionari: un’eventuale fuga di capitali rischia di mettere sotto pressione la bilancia dei pagamenti britannica. Il deficit estero del Regno Unito ha toccato il 5,2% del prodotto interno lordo l’anno scorso, il livello più alto da quando le rilevazioni sono cominciate nel 1948.L’altro rischio riguarda il comparto immobiliare: secondo Capital Economics, una società di consulenza, il rapporto fra il prezzo delle case e le retribuzioni si sta infatti avvicinando ai livelli toccati prima della crisi, un segnale di quanto il mercato sia vulnerabile a un possibile shock esterno, soprattutto a Londra. George Osborne, Cancelliere dello Scacchiere, ha previsto, in caso di Brexit, una caduta del prezzo degli immobili tra il 10% e il 18% in due anni, ma questa stima è contestata dagli euroscettici.Molto dipenderà comunque da cosa deciderà di fare la Banca d’Inghilterra, che solo poche settimane fa ha parlato del rischio che un’uscita dall’UE possa portare il Regno Unito in recessione. La banca centrale potrebbe infatti tagliare i tassi d’interesse per sostenere la crescita, oppure alzarli per mettere sotto controllo un’eventuale aumento dell’inflazione legato alla svalutazione della sterlina.
GLI EFFETTI A LUNGO TERMINE IN GRAN BRETAGNA
Le conseguenze economiche di lungo periodo per la Gran Bretagna sono molto difficili da prevedere poiché dipendono da che tipo di accordi commerciali Londra riuscirà a stringere con l’Unione Europea. La Treasury ha stimato che se la Gran Bretagna decidesse di entrare a far parte dello Spazio Economico Europeo (come la Norvegia) l’economia britannica nel 2030 sarebbe circa il 4% più piccola che in caso di permanenza nella Ue. Nell’eventualità di un accordo commerciale bilaterale o di nessun accordo che vada oltre le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, la perdita cumulativa sarebbe, rispettivamente, del 6% e del 7,5% circa.Gli euroscettici contestano queste stime, che ritengono dipendano dal fatto che Osborne e il governo sono schierati per “Remain”. Patrick Minford, un economista euroscettico dell’Università di Cardiff, ha stimato che il Pil britannico tra dieci anni sarebbe circa il 2% più alto in caso di uscita. Si tratta però del punto di vista di una minoranza: in un voto al convegno della Royal Economic Society la maggior parte dei presenti si è mostrata convinta che la Gran Bretagna starebbe peggio fuori dall’Unione.
ITALIA E UE
A febbraio il G20 ha avvertito che Brexit costituirebbe un rischio per l’economia mondiale e diversi economisti, tra cui il Governatore della Banca di Francia, François Villeroy de Galhau, hanno previsto che ci sarebbero turbolenze sui mercati. Già venerdì, dopo che alcuni sondaggi avevano assegnato al campo del “Leave” un vantaggio di circa 10 punti percentuali,le borse hanno subito perdite sostanziose, con l’indice Eurofirst 300 che è sceso del 2,3%.Uno scenario probabile in caso di uscita è che gli investitori decidano di spostare i loro soldi in titoli più sicuri: nel mercato dei titoli di Stato è possibile immaginare un aumento dello spread tra i rendimenti dei Btp italiano e dei Bund tedeschi, anche se il quantitative easing della Banca Centrale Europea dovrebbe aiutare a limitare questo rischio. Per l’Italia, il pericolo più forte riguarda le banche, che sono in forte difficoltà sui mercati dall’inizio dell’anno e che potrebbero subire una nuova ondata di perdite.Per quanto riguarda gli effetti di lungo periodo, non esistono previsioni attendibili, anche se uno studio di UniCredit ha stimato che Irlanda, Lussemburgo e Malta potrebbero essere i Paesi più esposti. In generale, molto potrebbe dipendere dalla capacità degli altri Stati della Ue di convincere gli investitori che dopo Brexit l’Unione non perderà altri pezzi.

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Guido Tabellini per Il Sole 24 Ore
Quali conseguenze avrà il referendum inglese sull’evoluzione politica e istituzionale dell’Unione Europea? E’ la domanda che tutti si pongono, ma a cui è molto difficile rispondere. 
Cominciamo da due dati di fatto. Primo, il referendum arriva in un momento politico delicatissimo. Subito dopo il voto su Brexit, si apre una stagione di appuntamenti elettorali in tutti i principali paesi europei: dopo pochi giorni vi saranno le elezioni nazionali in Spagna, dove Podemos sta guadagnando consensi; a ottobre si terrà il referendum costituzionale in Italia; a Marzo 2017 le elezioni nazionali in Olanda; e a seguire le elezioni nazionali in Francia e Germania. Anche in Finlandia, dove non sono previste elezioni, la maggioranza di governo è appesa a un filo e potrebbe essere destabilizzata dall’esito del referendum inglese. 
Secondo, in tutti i paesi europei i cittadini sono diventati molto più euroscettici e sono attratti dai partiti antieuropei. Secondo un recente sondaggio Pew, l’Inghilterra non è l’unico paese in cui si diffonde l’euroscetticismo, anzi. In Inghilterra il 48% degli intervistati ha un’opinione sfavorevole dell’Europa. Questa percentuale è il 71% in Grecia, 61% in Francia (!), 49% in Spagna, 48% in Germania, 46% in Olanda, 44% in Svezia. L’Italia è al 39% secondo Pew, ma un recente sondaggio Ipsos stima la percentuale degli italiani euroscettici al 48%. 
Queste opinioni negative riflettono due problemi di fondo: l’andamento economico deludente dell’area Euro, e la questione degli immigrati. Per risolvere entrambi i problemi ci sarebbe bisogno di più integrazione, anche politica. Ma una grossa parte dell’opinione pubblica europea è convinta del contrario, non ha più fiducia nelle istituzioni europee, ed è attratta dal nazionalismo. 
In questa situazione, è indubbio che una vittoria di Brexit comporterebbe un forte rischio di contagio politico. 
Continua pagina 5 Guido TabelliniContinua da pagina 1 Anche senza immaginare altre uscite dall’Unione Europea, i partiti anti-europei sarebbero rinforzati, e aumenterebbe la loro capacità di condizionare le decisioni politiche nei paesi più importanti. Non ha torto il ministro tedesco Schauble, quando dice che sarebbe impossibile reagire a Brexit con un’accelerazione del processo di integrazione prima delle elezioni. L’unica cosa certa è che si cercherebbe di dare all’Inghilterra una lezione durissima, facendole pagare cara l’uscita, nella speranza di dissuadere i cittadini europei dal cercare simili avventure. Ciò a sua volta potrebbe aggravare i riflessi economici negativi di Brexit, soprattutto per i paesi più legati all’Inghilterra da scambi commerciali e finanziari, come l’Olanda, il Belgio, l’Irlanda e in parte anche 
la Spagna.
Una vittoria del Remain scongiurerebbe i pericoli più gravi per il resto dell’Europa, ma non rimuoverebbe le fragilità di fondo, soprattutto se fosse una vittoria risicata. Anche in questo caso infatti le elezioni politiche nazionali sarebbero dominate dal tema dell’Europa, e le maggioranze al governo continuerebbero a essere minacciate dai partiti anti-europei (o anti-austerità nel Sud Europa, anti-immigrati nel Nord Europa). Realisticamente, qualunque progetto serio di maggiore integrazione politica dovrebbe comunque attendere l’esito delle elezioni in Olanda, Francia e Germania. Potrebbe invece esserci spazio per fare passi avanti nell’offerta di beni pubblici europei, e in particolare nel controllo delle frontiere e in politica estera e della difesa. 
In conclusione, in tutti i principali paesi europei le prossime elezioni nazionali saranno focalizzate su due questioni: l’economia e gli immigrati. La dimensione europea è centrale su entrambe le questioni, e l’esito del referendum inglese avrà un impatto sugli atteggiamenti dei cittadini e dei partiti politici. Se vincerà Brexit, la preoccupazione principale sarà di evitare il contagio politico, e il modo più facile per farlo sarà dare all’Inghilterra una punizione esemplare. Se invece vincerà Remain, potrebbe essere il momento giusto per mostrare concretamente ai cittadini che l’Europa sa anche essere la soluzione dei loro problemi in un mondo in cui la dimensione nazionale è troppo piccola. In ogni caso, che ci piaccia o no, è prematuro discutere di maggiore integrazione politica nell’area Euro. I problemi economici e istituzionali dell’area Euro resteranno irrisolti ancora a lungo. Quanto meno, speriamo che i governi nazionali sappiano esprimere una visione comune su come affrontare uno dei frangenti storici più difficili del dopoguerra, senza dividersi nella loro reazione agli eventi inglesi.