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 2016  giugno 12 Domenica calendario

Le foto di Marcel Proust

Sebastiano Triulzi per la Repubblica Considerando quanto Proust trovasse deludenti le fotografie che ritraggono i nostri cari, sarebbe rimasto forse stupefatto dall’effetto di idolatria che i suoi ritratti fotografici o quelli degli amici più stretti suscitano oggi tra i suoi ammiratori. Qualche giorno fa da Sotheby’s, a Parigi, sono andate all’asta con grande successo più di centoventi tra fotografie, lettere, manoscritti con varianti e testi inediti, un piccolo tesoro scoperto dalla pronipote Patricia Mante-Proust all’interno di una valigia mentre ripuliva la cantina del padre. L’eccezionalità del ritrovamento risiede nel fatto che questo materiale non è stato raccolto qua e là da un collezionista, ma proviene «dalle mani stesse di Marcel» come scrive Jean-Yves Tadie, curatore del catalogo d’asta e autore di una sua monumentale biografia (Mondadori): era cioè stato messo da parte da Proust e dunque si può considerare un sorta di scrigno dei ricordi. La sola visione del catalogo permette di ripercorrere piacevolmente e velocemente la vita più intima dell’autore della Recherche:molte foto sono legate ai suoi amori, ci sono tutti i più importanti tranne Agostinelli, il segretario- autista a cui regalò un aereo.
I prezzi erano accessibili, buoni per sognare, poi si sono più che decuplicati: il manoscritto di All’ombra delle fanciulle in fiore con correzioni è stato bandito per 111mila euro, poco meno della metà (65mila) per Dalla parte di Swann con una lunga dedica a Walter Berry, l’americano che gli fece scoprire la bellezza delle pitture preistoriche; venduto a 47mila euro il disegno della cattedrale d’Amiens. Ma l’impressione di quanto sia profondo il culto per Proust si è avuto con le fotografie. Quella di lui seduto con, in piedi, Lucien Daudet e Robert de Flers, imbarazzante per l’epoca perché Daudet lo cinge e gli rivolge uno sguardo pieno d’amore, tanto che la sua famiglia gli impose di ritirare tutte le copie, è passata da cinquemila a diciottomila euro (nella posa Proust un po’ già sorride, consapevole di quanto sia trasgressiva); diciassettemila euro per la foto dello scrittore a Venezia ritratto su un pontile col cappello in testa mentre sta osservando la laguna (e noi la guardiamo avendo negli occhi le pagine stratosferiche che scrisse su Venezia nella Recherche con la descrizione del Canal Grande come coste frastagliate frutto non della natura ma della cultura). Identico destino l’hanno avuto le istantanee di Proust bambino al parc Mousseau o al liceo Condorcet, quelle delle duchesse che fingeva di corteggiare amandone invece figli o spasimanti, e soprattutto le fotografie degli amati, come Reynaldo Hahn che suona il pianoforte, Jacques Bizet (l’amico che lo respinse), di Robert de Montesquiou, con una dedica che è la migliore descrizione di cosa sia un dandy: “Io sono il sovrano delle cose effimere”; e quelle a Lucien Daudet, tra cui una del 1909, con citazione da Virgilio, “quanto sei cambiato da allora”, e una del 1896 con annotazione in latino e un anagramma non del tutto decriptato dove si parla della razza dannata di Sodoma. Tutti elementi che nelle riproduzioni delle foto pubblicate in altri libri erano mancanti: insieme a lettere inedite o al poema in prosa sui fiori che chiedono di diventare immortali (di cui qui traduciamo un frammento), si scopre anche che la famosissima foto sul piazzale delle Jeu de Paume, con Proust col bastone che va a vedere, come poi Bergotte, la mostra su Vermeer, è stata tagliata: c’era qualcuno accanto a lui. Tutto ciò è quanto di più proustiano esista, perché entriamo dentro il tempo e vediamo questi oggetti compresi della loro aura, ci sono i segni – la sforbiciata di una foto, la dedica, l’annotazione segreta – che restituiscono una polifonia, una tridimensionalità rispetto alla riproduzione piatta, nuda e cruda: ci ricordano come le cose siano più piene di tempo rispetto a come le immaginavamo.
Lo stesso catalogo dell’asta è anch’esso un’esperienza proustiana, costringe al feticismo, trasforma le cose in icone da possedere – in fondo nella sua magnificenza, la Recherche è anche un catalogo, di persone, cappellini, profumi, odori, dei suoni del proprio tempo, e il narratore procede come un raccoglitore di feticci, con la crudeltà che tutto andrà all’asta, cioè che saranno perdute. Per Proust la foto della persona amata era sempre inanimata, fredda, priva di profondità in confronto alla ricchezza dei ricordi presenti nella nostra camera oscura, che creano un flusso continuo; allo stesso tempo, una foto poteva essere rivelatrice, e certo crudele, perché liberandoti dal vortice visivo degli affetti ti mostra particolari e verità che non hai saputo cogliere. Le foto dell’asta, invece, non sono una cristallizzazione del tempo di Proust ma del tempo che noi lettori abbiamo trascorso con lui, e dunque sono state comprate a suon di rilanci non perché rare: perché sacre.
 
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Daria Galateria per laRepubblica
Tra le foto conservate da Proust, ci sono foto di attrici con dedica al padre, il dottor Proust, che era medico dell’Opéra Comique. Come quella che compare qui a destra: la deliziosa soprano Marie van Zandt, ventitré anni, e in abiti maschili (fu Cherubino nelle “Nozze di Figaro”), dedica la foto “Al mio buon amico il dottor Proust. Il ricordo molto affettuoso di M.v.Z”. Alphonse de Rothschild era pazzo di lei: ma scrive Proust, in un testo non pubblicato in cui imita i pettegoli diaristi Goncourt, che il finanziere frequentava solo donne da quaranta soldi, per la disperazione di tutte le cocottes.
Il dottor Proust profittava delle sue belle pazienti, e si lamentava: “Avanti di questo passo, e dovremo pagarle”. Madame Proust non sapeva nulla. In un passaggio abbandonato della “Recherche”, Proust però racconta che la moglie del dottore ha un dolore atroce scoprendo, nelle lettere del marito, che aveva una relazione con Odette – che durante le visite si chinava a soddisfarlo: “Le restava, nell’esecuzione delle carezze, qualcosa di troppo conservatorio… una serie di fioriture… Da vecchio cliente, lui pagava un prezzo ridicolo”. Quando Proust ritrae Odette come Miss Sacripant vestita da uomo, descrive proprio questa foto: e forse si identifica con “l’ambiguità del sesso” dell’immagine (“un giovane effeminato?”), ritenendo di aver anche lui fatto soffrire la madre con la sua omosessualità.
 
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Marcel Proust: «Tristi d’essere belli per così breve tempo»
Tristi d’essere belli per così breve tempo, in giardini che dopo averli visti nascere li vedevano morire così presto, i fiori erano inconsolabili e non smettevano di versare nel cuore dei loro calici tutte le lacrime della rugiada. Un giorno la violetta, levando un poco la sua testolina al di sopra della terra, ebbe l’idea che ci si sarebbe potuti rivolgere al buon Dio. Le viole del pensiero cominciarono a rifletterci seriamente e a interrogarsi tra loro sulla soluzione migliore socchiudendo un poco i loro occhi neri: alla fine si decise di inoltrare una richiesta ufficiale. La dalia, che con il gran colletto della sua corolla possiede tutta la gravità che occorre in queste occasioni, fu incaricata di redigerla: la dalia cerimoniosa e rigida nel suo bel colletto a gorgiera.
Per la consegna al buon Dio si decise di affidarla al dente di leone. Al primo vento favorevole che avrebbe scompaginato i suoi gambi, la richiesta sarebbe salita leggera trasportata dalla polvere bianca del suo fiore.
E la richiesta giunge ai piedi del buon Dio. «O Signore Benedetto» – avevano scritto i gigli – «a che serve la nostra splendida purezza [il nostro vestito candido è splendido, lo sarebbe ancor più se fosse duraturo.
Invece in un attimo sfiorisce e si perde. Questo è un male]. Noi siamo tristi di morire così giovani. Sarebbe caso mai un problema per Lei, poterci far vivere per sempre?».
(Traduzione di Giuseppe Garrera e Sebastiano Triulzi)