varie, 12 giugno 2016
LEGUMI PER SETTE
Il 2016 è stato scelto dalla Fao (l’agenzia delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) come Anno Internazionale dei Legumi. Secondo la Fao i legumi possono contribuire in modo significativo ad affrontare la fame nel mondo (Petrini, Rep.it)
Fagioli, piselli, fave, lupini, cicerchie, ceci, arachidi e lenticchie sono solo alcune delle 12mila specie che fanno parte della famiglia (ibidem)
I legumi sono importantissimi per il benessere dei suoli, perché cedono azoto al terreno e dunque ricostituiscono l’humus fertile invece di impoverirlo. Non a caso in molte culture questi vengono coltivati in associazione ad altre piante (come nella milpa messicana, in cui si seminano accanto a zucche, mais e peperoncini) o addirittura utilizzate a cicli per ricostituire i nutrienti dei terreni ipersfruttati (ibidem)
Sono più di 30 le varietà di legumi tutelate dai Presìdi Slow Food in tutto il mondo, dai Fagioli di Smilyan bulgari, celebrati con un festival, alla Fava cottòra dell’Amerino dell’Umbria (ibidem).
Una ricerca del Stockholm International Water Institute dice che oggi gli umani traggono circa il 20% delle proteine di cui si nutrono da prodotti animali. Ma entro il 2050, quando saremo nove miliardi sulla Terra, bisognerà scendere al 5%. Perché produrre quelle proteine animali richiede dieci volte più acqua che far crescere proteine vegetali (principalmente legumi).
Per produrre un chilo di carne bovina occorrono circa 13.000 litri di acqua, per produrre un chilo di legumi ne basta meno della decima parte.
Secondo i ricercatori dell’Istituto Weizmann e della Israel Antiquities Authority, l’uomo preistorico che viveva in Galilea era specializzato nella coltivazione di legumi in generale (lenticchie, vari tipi di piselli e ceci), e fave in particolare. I semi ritrovati negli scavi in Galilea risalgono a circa diecimila anni fa.
I Romani consumavano una gran quantità di legumi.
L’imperatore Eliogabalo serviva legumi conditi da metalli preziosi.
Il legume maggiormente consumato in Italia, nel 1961, era la fava seguita dal fagiolo; oggi (2015) il legume maggiormente consumato è il fagiolo, in gran parte grazie alle importazioni, seguito dalla fava. Il legume maggiormente esportato, nel 1961 era il fagiolo, nel 2015 è stato il cece (elaborazione Confagricoltura su dati Istat).
La produzione complessiva di legumi nel mondo è stata, nel 2014, poco superiore ai 77,6 milioni di tonnellate: quasi il doppio rispetto al 1961.
In Italia la produzione di legumi nello stesso periodo è diminuita quasi dell’80%; nell’UE è cresciuta del 3,3% (ibidem).
Dal 1961 ad oggi, in Italia il consumo pro capite all’anno di legumi si è più che dimezzato passando da quasi 13 kg a poco più di 6 kg (ibidem).
La biologa Patrizia Zuliani, specialista in scienza dell’Alimentazione dello Studio Abr, ha dedica un’analisi alla riscoperta dei legumi, prodotto «di eccellente valore nutrizionale», sostituti ideali di prodotti proteici animali. Contengono, infatti, sostanze fondamentali per il nostro organismo come «l’amido, la vitamina E e le vitamine del gruppo B. I legumi sono inoltre ricchi di minerali come potassio, fosforo, calcio e ferro. Le proteine di cui sono ricchi i legumi apportano una discreta quantità di amminoacidi essenziali, soprattutto la lisina, che associati agli amminoacidi solforati, quali cisteina e metionina, presenti in buone dosi nei cereali, ma carenti nei legumi, determina un pool di amminoacidi degno di proteine complete paragonabili a quelle di origine animale. Nel passato questo abbinamento veniva definito “la carne dei poveri”. Saggiamente».
Una porzione di legumi al giorno aiuterebbe a tenere sotto controllo il colesterolo LDL, quello “cattivo”. Sono le conclusioni cui è giunto uno studio canadese (nel quale sono state analizzate 26 precedenti ricerche), pubblicato sul Canadian Medical Association Journal: si è visto che circa 130 grammi di legumi ogni giorno ridurrebbero del 5 per cento il colesterolo LDL e questo si tradurrebbe in un calo del 5-6 per cento del rischio cardiovascolare complessivo.
Secondo recenti ricerche, un consumo assiduo di legumi contribuisce ad abbassare colesterolo e trigliceridi nel sangue, tenendo alla larga le malattie cardiovascolari. Basterebbero 20 grammi al giorno di legumi per allungare l’aspettativa di vita del 7-8%.
Una ricerca degli studiosi dell’Università degli Studi di Milano, coordinati dal professor Marcello Duranti, ha dimostrato che il lupino può abbassare la glicemia. Duranti: «Sono le proteine del lupino a possedere le caratteristiche più importanti. Una di queste, infatti, la gamma-conglutina, riduce lo zucchero nel sangue se assunta anche in dosi di pochi grammi al giorno, anche 5 lupini». Tali proprietà rendono il legume un componente ottimo nella dieta dei diabetici.
Mangiare ogni giorno una porzione di fagioli, piselli, ceci o lenticchie potrebbe aiutare a perdere un po’ di peso. Lo suggerisce uno studio canadese pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition, secondo cui mangiare 130 grammi di legumi farebbe perdere 0,34 chili (340 grammi) al dì. Il lavoro, del St. Michael’s Hospital di Toronto, è basato su una precedente analisi del Centro Nutrizione clinica dello stesso ospedale, secondo cui chi si nutre spesso di legumi si sente più sazio di chi segue una dieta controllata (addirittura del 31%) e ha anche il vantaggio di tenere sotto controllo il colesterolo “cattivo”. Con i legumi, inoltre, non si riprendono i chili persi. I ricercatori hanno analizzato i risultati di 21 sperimentazioni cliniche, per un totale di 940 partecipanti adulti, maschi e femmine. Tutti hanno perso peso mangiando una porzione al giorno di legumi (in media appunto 340 grammi al dì), senza che facessero particolari sforzi per privarsi di altri alimenti.
Un pizzico di bicarbonato nell’acqua di cottura dei legumi serve a impedire che il calcio contenuto nell’acqua si stratifichi sulla buccia, rendendo i legumi più duri.
La biologa Patrizia Zuliani, specialista in scienza dell’Alimentazione dello Studio Abr: «I legumi possono provocare inconvenienti come flatulenza e meteorismo, in parte riducibili eliminando la buccia con il passa legumi, o utilizzandoli decorticati. Per contrastare la fermentazione intestinale può essere utile speziare il piatto con erbe tipo rosmarino, timo, finocchio e salvia».
Il ”Prim-bean”, fagiolo silenzioso, un incrocio creato dal biologo britannico Colin Leakey, dell’Università di Cambridge. Il fagiolo modificato non ha i noti inconvenienti ”gassosi” dei normali fagioli. Leakey lavora al problema dal 1961 ed è anche l’inventore del ”Flatometro”, un apparecchio che misura i gas intestinali emessi dopo un pasto. Per quanto riguarda i fagioli ha scoperto che responsabili della formazione di gas non sono gli zuccheri del legume come si credeva, ma bensì gli enzimi della buccia che bloccano l’assorbimento del gas nel sangue.
I fagioli, coltivati già 7.000 anni fa in Perù e Messico, furono portati in Europa dai Conquistadores. Erano considerati così preziosi che trovarono posto nella dote di Caterina de’ Medici quando andò in sposa a Enrico II re di Francia.
I fagioli dall’occhio, prima dell’arrivo dei fagioli dall’America, erano importanti nella dieta medievale. Venivano serviti come antipasti o contorni nei pranzi ricchi, erano un piatto unico nelle diete dei poveri. Venivano anche usati per inspessire intingoli e anche trasformati in creme.
Ricercatori dell’Università di Torino e del Max Planck Institute di Jena hanno scoperto che una varietà di fagioli, il Phaseolus lunatus, sa reagire agli attacchi degli aggressori. Quando un bruco vorace si posa sulla pianta, emette un profumo di lavanda che attira le vespe. Queste accorrono e depongono le uova nel bruco, che alla fine esplode.
«Quando era agli inizi della carriera, un ignoto disegnatore di strisce a Kansas City, mio padre (Walt Disney, ndr) aveva l’abitudine di consumare i pasti in un ristorantino di greci sotto l’ufficio. A un certo punto non aveva più neanche i soldi per pagare il conto e si limitava a mangiare fagioli in scatola. Quando lo raccontai a Pete Martin, autore di una biografia su Walt Disney, volle avere da lui un commento sulla durezza di quel periodo, e la risposta fu: ”Ma a me i fagioli piacevano!”» (Diane Disney Miller).
"Cosa ordina?"
"Cosa offre?"
"Chili con fagioli"
"Cos’altro?"
"Chili senza fagioli"
(Sam proprietario dell’unico saloon della città, interpretato da Walter Sand, e il forestiero McCreedy, interpretato da Spencer Tracy, in Giorno maledetto di John Sturges).
Giulietta Masina era una bravissima cuoca, cucinava le polpette e la pasta e fagioli, alla romana, con i borlotti rossi.
Lucio Dalla, che da piccolo andava dietro a Pupi Avati e si faceva offrire pasta e fagioli e cipolle perché in tasca non aveva un soldo.
Capitare a fagiolo, cadere a fagiolo. Espressione usata per dire che qualcuno o qualcosa è esattamente ciò che ci vuole in quel luogo e in quel momento. L’origine di questa espressione non è chiara e si perde nella notte dei tempi (ibidem)
«Dentro un fagiolo c’è il mondo» (Renato Brunetta).
Espediente suggerito da Grazia in tempo di guerra: «Non gettate via l’acqua in cui tenete una notte a bagno i fagioli secchi, i ceci, le lenticchie prima di farli cuocere; ma quando l’indomani togliete i vostri legumi da quell’acqua per cuocerli tenete l’acqua residua che li ha ammolliti e usatela per la vostra biancheria. Basterà che la facciate bollire e la versiate a poco a poco sulla biancheria lavata e insaponata; ne otterrete una ottima liscivia, che renderà la vostra biancheria pulitissima. Vi suggeriamo di usare l’acqua entro la giornata stessa in cui avete tolto i legumi: ciò per essere certi di ottenere un risultato eccellente» (Grazia, 10 Dicembre 1942).
Tra le ricette pubblicate in tempo di guerra da Annabella, quella a base di bucce di piselli: «Si possono godere anche queste e bisogna prepararle levando ad esse i fili e l’interno legnoso. Mettete quindi a cuocere con un po’ del condimento che avete. Lasciate consumare l’acqua perché completino la cottura nel grasso, anche se è poco, e aggiungete all’ultimo momento un po’ di aceto. Questo piatto si può servire tanto caldo che freddo» (Annabella, 18 Maggio 1943).
Nell’estate nel 1918, in Germnia, surrogati dappertutto. Fra gli altri, cacao fatto di piselli tostati e segale con aggiunta di aromi artificiali.
Paolo Verri, 45enne di Belgioioso (Pavia), è entrato nel Guinnes World Record come il divoratore di piselli più veloce del mondo: 86 in un minuto, prendendoli uno a uno con uno stuzzicadenti (con una media di 1,43 al secondo). Il precedente record, di una donna irlandese, era di 60 in un minuto.
I piselli selvatici, minuscoli parenti del legume che conosciamo oggi, crescevano un po’ ovunque nel Medioevo. I frati erano riusciti a selezionare varietà abbastanza simili al pisello attuale. Nei banchetti rinascimentali erano considerati un piatto eccelso e venivano chiamati "delizia delle dame".
Lettera di Madame de Maintenon, datata 10 maggio 1696: «Il capitolo dei piselli dura ancora: l’impazienza di mangiarne, il piacere di averne mangiati, la gioia di poterne mangiare ancora sono i tre punti che i nostri principi trattano da quattro giorni. Ci sono dame che dopo avere cenato col re, e bene, si fanno preparare a casa dei piselli per mangiarli prima di andare a dormire, a rischio di indigestione. È una moda, un furore».
«È stupefacente», scriveva nel 1698 un biografo di Colbert, «vedere personaggi così dediti al piacere da acquistare i piselli verdi per somme enormi».
I piselli che tanto piacevano alla corte di Francia erano raccolti verdissimi, prima della maturazione: «Più sono giovani, più sono eccellenti», diceva Nicolas de Bonnefons, maestro di sala a servizio del re.
A Monticello, all’inizio del XIX secolo, Thomas Jefferson coltivava 23 diversi tipi di piselli.
Piatto preferito di Helmut Schmidt: zuppa di piselli e speck.
Mousse fredda di piselli con caviale osetra, servita a una festa organizzata da Nicole Kidman durante il Festival di Cannes 2013.
Anna Oxa fa colazione con pasta o riso, lenticchie, ceci e verdure.
«Abbiamo giudicato che il pisello si deve lodare e biasimare: con la buccia è gonfiativo, e anche nocivo, tolta la buccia, i piselli sono anche molto buoni. La fava nutrisce il corpo, con la corteccia stringe il ventre, dissecca la flemma, grava lo stomaco e nuoce alla vista. Guardati dal mangiare fave: produce la podagra, purifica, costipa, appesantisce la testa, e gonfia. Il brodo dei legumi, specie dei ceci è buono, la sostanza è cattiva; il brodo dei legumi scioglie mentre la sostanza stringe: se entrambi si dànno prima, sembra che siano lassativi. Giova il brodo dei ceci di color rosso; tutti gli altri legumi siano accuratamente evitati). "Regimen Sanitatis flos medicinae salerni", traduzione e note di Andrea Sino, Libreria Antiquaria W. Casari - Testaferrata, Salerno 1979)
Il "ta’miyya", ovvero l’hamburger arabo vegetariano, spesso chiamato "felafel". Di origine egiziana, ha come ingrediente base le fave ("ful"), fondamentali per la cucina egiziana in piatti come il "ful midamis", sorta di minestra con l’aggiunta di riso corto e lenticchie. Per fare un felafel, una volta impastate le fave (frantumate e mischiate con prezzemolo, aglio, cipolle, coriandolo, aneto, peperoncino e menta) se ne fa una polpetta, la si ricopre di semi di sesamo e si fa dorare il tutto in olio bollente. Questo piatto, con piccole varianti, è diffuso in tutta l’area araba: in Medio Oriente, ad esempio si usa solo il prezzemolo con l’aggiunta di un po’ di pasta di ceci.
Per pulire la pelle le antiche romane usavano fra l’altro il lomentum, composto a base di farina di fave.
Metodo per ingrossare i seni delle ragazze scarse: strofinarli con fave secche, quindi gettare la ragazza in un pozzo e pronunciare la formula: ”O fave, possa il loro petto gonfiarsi come voi” (ricetta degli harem marocchini).
Secondo Aristotele le fave non vanno mangiate e neppure toccate «perché sono simili al sesso». Attraverso il loro gambo privo di nodi, inoltre, passerebbero le anime dei morti.
Porfirio sostiene che, sotterrando una fava dentro un vaso, si vedrà spuntare dopo novanta giorni o la testa di un bambino oppure un sesso di femmina.
A causa del fiore (bianco con macchie nere) che ricorda l’aspetto di un teschio, le fave sono sempre state al centro dei riti legati alla morte. Nella Roma papalina furono chiamati "fave" i biscotti croccanti a base di farina, zucchero e mandorle tritate, dalla forma simile a quella delle ossa dei morti (tradizionalmente utilizzate per incantesimi e fatture).
L’unica carica eletta nella democrazia ateniese era lo stratega o magistrato militare. Le altre dignità erano rimesse al caso (tó autómaton), con una specie di testa o croce, ma al posto della moneta si usava una fava.
Secondo Galeno «i ceci provocano il coito e generano molto sperma per cui alcuni li danno da mangiare agli stalloni».
I ceci, molto apprezzati dagli antichi romani che li mangiavano tostati durante le rappresentazioni.
La "cicerchiata" era un dolce confezionato anticamente con ceci cotti e poi fritti. Più tardi i ceci vennero sostituiti con la pasta fritta. Rappresentava l’abbondanza e nei banchetti rinascimentali veniva confezionato in misure strabilianti: la forma tradizionale era il cerchio, ma veniva presentato anche in forma di montagnola alta come un uomo.
L’hindi possiede almeno dodici parole per designare i piatti di lenticchie.
Il filosofo Aristippo era desideroso di entrare nelle grazie del tiranno di Siracusa, Dioniso. Si racconta che una volta, vedendo Diogene intento prepararsi un piatto di lenticchie, gli abbia detto: «Se tu adulassi Dioniso, non saresti costretto a mangiar lenticchie». Al che l’altro: «Se tu sapessi mangiare lenticchie non saresti costretto ad adulare Dioniso».
«Oggi per trovare un paragone accettabile col sistema di corruzione italiano bisogna risalire alla Bibbia: Esaù che vende il potere per un piatto di lenticchie. Però da allora i prezzi sono lievitati» (Luca Goldoni).