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Sul Mein Kampf di Hitler allegato al Giornale. Polemiche
Alessandro Sallusti per il Giornale Matteo Renzi ha definito «squallida» l’iniziativa de Il Giornale di allegare, all’interno di una collana storica, una edizione commentata del Mein Kampf, atto fondativo di quella tragedia che fu il nazismo. Evidentemente il presidente del Consiglio in vita ha letto tanti fumetti - e questo lo si capisce -, ma pochi libri. Certamente non ha letto Se questo è un uomo di Primo Levi, nel quale, a proposito dell’Olocausto, si legge: «Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre». Trovo poi preoccupante che Renzi non sappia una cosa nota a tutti, cioè che il Mein Kampf lo si può acquistare già da tempo in molte librerie, quelle della Feltrinelli comprese, e con un clic su Amazon. I negazionisti rimuovono la storia scomoda, gli uomini liberi la affrontano, la studiano, la giudicano con la severità che merita.
Potremmo ricordare a Renzi che squallido è non pagare i debiti che lo Stato ha con le imprese o illudere i pensionati che presto avranno 80 euro in più. Ma mischieremmo il sacro con il profano. Non possiamo però tacere, a proposito di storia, su quanto sia stato squallido, oltre che pericoloso, ricevere a Roma pochi mesi fa con tutti gli onori (e oscuramento delle statue marmoree dei Musei Capitolini per non offenderlo) Hassan Rouhani, presidente dell’Iran, cioè di un Paese che nega il diritto all’esistenza di Israele e che sul popolo ebraico getterebbe volentieri una bomba atomica per arrivare alla soluzione finale alla pari di Hitler. Alla stupidità di Renzi preferisco la coerenza di Stefano Fassina, uno degli ultimi comunisti ancora in circolazione. Dice Fassina: voglio vedere se Il Giornale avrà il coraggio di pubblicare i diari di Anna Frank. Per noi non si tratta di coraggio, questo giornale è dalla parte di Anna nella storia e anche oggi, ma accetto volentieri il suggerimento e, compatibilmente con i problemi di diritti d’autore, farò il possibile perché ciò accada. Dal Mein Kampf al Diario di Anna Frank, dal male assoluto al sogno di libertà. Ma se mi permettono Renzi e Fassina, punterei alla trilogia. Un’ultima uscita con un libro che rivendichi il diritto di Israele a esistere senza essere quotidianamente minacciato e ferito dal terrorismo palestinese e dall’ostile e complice indifferenza di buona parte della sinistra occidentale. Perché altrimenti tutta questa levata di scudi è soltanto l’ennesima presa per i fondelli.
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Michele Serra per la Repubblica Il libretto di Hitler allegato al “Giornale”, più che un effetto politico, produce un effetto di stravagante efferatezza merceologica, come se Sallusti, per proseguire la serie, intendesse fornire ai suoi lettori un gatto a nove code, un sex-toy per sadomaso, un biglietto omaggio per una di quelle mostre itineranti sulla tortura nelle quali le famigliole inorridiscono di fronte a letti di chiodi e tenaglie arroventate. Poi vanno a mangiare un gelato. Per quanto si sia sforzato lui, e si sforzino i suoi tardivi concessionari milanesi, Hitler non è mai davvero riuscito a diventare oggetto di un vero e proprio “dibattito storico”, anche perché non c’è granché da dibattere, a proposito del promotore del più grande genocidio della storia umana. Nonostante pullulino, a fascicoli e nelle notti televisive, “I carri armati di Hitler”, “Le donne di Hitler”, “I gerarchi di Hitler”, “Le montagne di Hitler” e presto inevitabilmente “I wurstel di Hitler” in omaggio alla moda culinaria imperante, l’impressione è che l’approfondimento storico c’entri pochino. C’entra una sorta di morbosa attrazione per uno dei grandi Mostri dell’umanità, con inevitabile apparentamento con le grandi star dell’horror, come Dracula e Freddy Krueger, dei quali Hitler non aveva, però, le sfumature psicologiche. Ma non vorremmo avere dato una nuova idea al direttore del “Giornale”.
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Wlodek Goldkorn per la Repubblica
Quando Umberto Eco decise di lavorare a un romanzo che uscì nel 2010 con il titolo “Il cimitero di Praga” e che ha al centro della trama le origini dei “Protocolli dei savi di Sion”, il grande semiologo e scrittore voleva raccontare quanto l’antisemitismo fosse alla radice di tutte le teorie complottiste della storia e di tutti i razzismi, passati, presenti e futuri del mondo moderno. O se vogliamo, l’antisemitismo è l’idioma comune di tutti gli xenofobi, omofobi, islamofobi, sostenitori della supremazia della razza bianca (che per altro non esiste) del nostro universo. Ed è così, non perché gli ebrei sono dotati di qualche caratteristica particolare, ma perché è facile e spesso redditizio, dal punto di vista politico, ma anche volgarmente economico, trovare un capro espiatorio e un oggetto di aggressione e di odio: basta una narrazione, anche bislacca, con cui convincere le persone che le loro disgrazie sono colpa di poteri occulti. Era questo, il messaggio politico e letterario (e le due cose vanno insieme) di quel romanzo di Eco.
Fuori dalla metafora. Quando in un Paese, l’Italia, un quotidiano decide di diffondere “Mein Kampf”, non nelle università come oggetto di studio, ma nelle edicole, come un gadget, un totem, e certamente non per essere letto, dato che il testo di Adolf Hitler è fra le prose più noiose e peggio scritte della storia dell’umanità, ecco, quando un libro così viene diffuso, è necessario chiedersi: che cosa sta succedendo alla società, alla collettività degli italiani? E perché oggi?
Intanto, cosa è “Mein Kampf”? Non è un’opera che pur con tesi inaccettabili propone un’analisi più o meno razionale del mondo. “Mein Kampf” è prima di tutto l’autobiografia di Hitler, in parte scritta dal pugno del futuro Führer, in parte dettata ai suoi fedeli, in prigione, negli anni Venti. E non c’è “Mein Kampf”, senza “I protocolli”. Gli ebrei sono, secondo Hitler, colpevoli di tutto; della diffusione del comunismo come delle speculazioni capitalistiche in Borsa; del propagarsi della sifilide come della sconfitta dei tedeschi nella Grande Guerra. La teoria della cospirazione ebraica universale, che tanto incuriosiva Eco (in quanto manifestazione della stupidità e in questo il nostro intellettuale era debitore di Hannah Arendt e del suo “La banalità del Male”), è l’essenza di quel testo. Un testo, per altro, che ha venduto nella Germania nazista 11 milioni di copie e che fruttò circa 15 milioni di Reichsmark, una cifra enorme per allora, di diritti d’autore.
Nel 1945, a Monaco, la matrice di piombo di quel libro venne data alle fiamme da un soldato americano. Un gesto simbolico, che tuttavia pone una domanda: ma è lecito bruciare un libro? E che qualcuno oggi declina chiedendosi: ma è davvero così grave pubblicare quel testo? Sottinteso: siamo liberali, niente censura. Ecco, “Mein Kampf” non è un libro, anche se sembra esserlo, perché è stato scritto per dar vita a un programma politico il cui scopo era la distruzione di tutti i libri e di tutto il sapere. La Shoah, conseguenza logica del “Mein Kampf” questo significa: la catastrofe dell’episteme dell’Occidente.
Hanno protestato le comunità ebraiche e l’ambasciata d’Israele; anche se dopo la Shoah difficilmente ci potrà essere un’altra Shoah; oggi i razzisti mirano ad altri capri espiatori. Ha protestato Matteo Renzi; ed è stata un’ulteriore prova che il presidente del Consiglio è deciso a opporsi al linguaggio razzista e xenofobo. Ma la notizia più bella è questa: il giorno in cui nelle edicole d’Italia veniva diffuso “Mein Kampf”, nelle piazze di Roma, 700 mila persone gay rivendicavano con gioia e orgoglio il loro diritto al desiderio. Il razzismo è morte; il desiderio è vita.