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 2016  giugno 12 Domenica calendario

Data in sposa a dodici anni per saldare un debito. La vita d’inferno di una bambina fatta di maltrattamenti e abusi sessuali. Lei è originaria del Bangladsh ma il fatto è successo a Ravenna

Data in sposa a 12 anni per sanare un debito che padre e matrigna avevano contratto con quello che diventerà il marito-orco. E anche se alla fine dell’incubo, di una infanzia rubata e violata, di una vita segnata per sempre, gli «assassini morali» sono stati condannati, non c’è molto di cui essere soddisfatti. Una condanna a tre anni a padre e matrigna per maltrattamenti in famiglia e a otto anni al marito-orco per abusi sessuali fanno accapponare la pelle. Dove è successo? A Ravenna. Italia. Non in una zona rirale del Bangladesh. Vittima una bambina che chiameremo Maria, originaria, appunto, del Bangladesh, che già a partire da sei anni inizia a fare i conti con un mondo, quello familiare, che ha abolito l’infanzia. È il padre ad «iniziarla» ai maltrattamenti. E la sua nuova compagna, che nel frattempo è diventata la matrigna-padrona della piccola, non muove un dito. Anzi. Padre e matrigna sono commercianti. Ad un certo punto decidono di acquistare della merce per la loro bancarella dal valore di circa 30mila euro da un connazionale. Ma quel debito non riescono a saldarlo. Ed ecco l’idea «geniale» della matrigna: per saldarlo propone di dare la figliastra, nemmeno adolescente, in sposa al loro creditore che al tempo abitava a Forlì. E così fanno. Nel 2006 i due, lei 12 anni, lui 28, vengono dichiarati marito e moglie a Ravenna con una cerimonia religiosa ovviamente né trascritta né riconosciuta in Italia dove, per fortuna, certe pratiche sono ancora fuori legge. È il 2006. Finito un incubo, ne inizia un altro per la piccola Maria. Il «marito» la fa sua già la prima notte di nozze. Imbevuto di alcol, continua ad abusarne per anni. Lei è in trappola. Del resto chi potrebbe aiutarla? E così va avanti. Si tiene tutto dentro. Sopporta con una forza che non si sa da dove le arrivi. Il matrimonio, ovvero la schiavizzazione («Lui mi diceva sempre che i miei genitori mi avevano venduta per soldi, che avevano un debito con lui da 30 mila euro»), prosegue: la coppia vive per due anni a Vicenza, poi si sposta in Bangladesh, dai genitori di lui, poi fa ritorno in Italia. Lei del marito non ne vuole sapere più. Oltre ad abusare di lei, la umilia continuamente, la minaccia, la costringe ad essere la sua serva (un giorno, racconterà Maria, le chiede di pulire con la bocca i bisogni che lui aveva appena fatto per terra). Torna dal padre e dalla matrigna e chiede aiuto. E loro che fanno? Le profilano un altro matrimonio. «C’era un uomo che veniva a casa nostra a chiedere dei soldi. Ma io non era d’accordo a sposarlo», dirà in aula Maria, come riferisce Il resto del Carlino. E ancora: «Si arrabbiò anche mio fratello con la matrigna: le disse che non doveva fare due volte lo stesso sbaglio». Meglio sparire. Per un po’ vivrà in un casolare. È qui che sarà trovata dai servizi sociali di Faenza ed è in loro che la ragazza trova uno spiraglio di speranza e la forza di denunciare tutto alla polizia nel 2011. La ragazzina, violata nell’infanzia e nei sogni («Ero piccola, avevo 12 anni: volevo andare via di casa, volevo avere una vita mia») si sfoga, racconta i dettagli della sua vita d’inferno e la giustizia si muove. Venerdì scorso la sentenza del collegio penale di Ravenna presieduto dal giudice Corrado Schiaretti, che ha accolto le richieste del pm Daniele Barberini: tre anni alla coppia – i due hanno 47 anni – che oggi vive a Rovigo; otto anni all’«ex» marito che nel frattempo si è trasferito in una città del nord. La madre biologica di Maria, che vive in Bangladesh, dirà che sua figlia si sarebbe sposata che aveva 15 anni. Ma nulla cambierebbe ad una vicenda che ci riporta indietro di secoli o ci avvicina ai Paesi del terzo mondo. Quella della ragazzina originaria del Bangladesh non differisce molto dalla storia (vera) di Nojoud, la bimba data in sposa a 9 anni, che a 10 ha chiesto il divorzio, che ha raccontato la sua vita in un libro diventato il film «La sposa bambina» grazie alla prima regista donna yemenita Khadija al Salami. E non differisce dalle storie di una bambina su tre che, nei paesi in via di sviluppo, e per lo più di religione islamica, vengono date in spose nell’età in cui, in genere, bisognerebbe pensare ad altro. Anche se in povertà. riproduzione riservata UNA PIAGA DEL BANGLADESH Secondo i dati dell’Unicef, il Bangladesh è il Paese al mondo con il più alto tasso di matrimoni contratti da bambine al di sotto dei 15 anni, mentre il 2% di queste spose arriva all’altare addirittura prima degli 11anni. Un fenomeno diffuso principalmente nelle zone rurali più povere, dove le famiglie non hanno mezzi per mandare a scuola le figlie e vedono nel matrimonio non solo un modo per sopravvivere. LEGGE AGGIRATA In realtà già dal 1929 il governo del Bangladesh vieta i matrimoni precoci, e dal 1980 l’età minima per sposarsi è stata fissata a 18 anni per le donne e 21 per gli uomini. Ma la realtà è molto diversa: il 65% delle donne diventa moglie prima della maggiore età. A rendere inutile la legge è l’alto tasso di corruzione degli amministratori locali, che per qualche dollaro chiudono un occhio sull’età della sposa, arrivando in alcuni casi anche a redigere cetificati di nascita falsi.