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 2016  giugno 12 Domenica calendario

Tourist Trophy, la corsa più pericolosa e folle del mondo. Quattro morti in sei giorni

Una partita a scacchi con la morte. Solo che il cavaliere non la gioca seduto in riva al mare, come Max von Sydow ne Il settimo sigillo, ma a oltre 200 km/h di media in sella a una moto sul circuito dello Snaefell, Isola di Mann. Perché più che una sfida contro se stessi o contro i propri limiti, è un vero e proprio duello con la dama nera il Tourist Trophy: ultracentenaria gara motociclistica che anche quest’anno, giunta alla conclusione, ha pagato il suo consueto tributo di sangue. “Se cadi muori, ma l’attrazione è irresistibile”, raccontò qualche anno fa Giacomo Agostini, il campione italiano che su quel circuito ha corso e vinto ben dieci volte.
Allora la gara era però obbligatoria, faceva parte del Motomondiale, fino al 1976 quando fu tolta per la troppa pericolosità. Si tratta di un circuito stradale di una sessantina di chilometri, da ripetersi per più giri a seconda della categoria, completamente aperto e privo di barriere, da percorrere a tutta velocità tra case, muretti, alberi, pali della luce, salite e discese, precipizi e scogliere.
Il tutto nelle pessime condizioni climatiche dell’Isola di Mann, escrescenza di terra tra l’Inghilterra e l’Irlanda che ricorda da vicino le spettrali atmosfere del film di Bergman. Basta un improvviso acquazzone, una pozza d’acqua lasciata in ricordo dalla pioggia, o anche una folata di vento, e la moto perde aderenza disarcionando il cavaliere. Quest’anno la Superbike è stata vinta da Michael Dunlop, nipote di Joey, mito assoluto dell’Isola e detentore del record di 26 vittorie al Tourist Trophy, morto quindici anni fa in una gara in Estonia.
In Superstock, vinta da Ian Hutchinson, è invece morto pochi giorni fa Paul Shoesmith, caduto in prova sul rettilineo di Sulby: uno dei punti più veloci, dove si superano i 300 km/h. Mentre nella categoria Senior è deceduto Andrew Soar, uscendo di strada nella discesa del Keppel Gate, e nel Sidecar prima Dwight Beare e poi Ian Bell, alla guida di una moto che aveva come passeggero il figlio Carl. Quattro morti in sei giorni. In tutto, in questa corsa pazzesca giunta alla sua 97ma edizione, i piloti scomparsi sono 250. Quest’anno gli italiani in corsa erano tre, il veterano Stefano Bonetti, Marco Pagani e l’esordiente Alex Polita.
Per loro alla fine tutto bene, sono tornati a casa sani e salvi. Non ce l’ha fatta invece nel 1972 Gilberto Parlotti, volato giù da un burrone per la strada bagnata: è in quell’occasione che Agostini e altri piloti cominciano a chiedere che il circuito fosse tolto dal Motomondiale. “A differenza delle gare in pista, qui è più importante sapere dove rallentare che non dove accelerare – disse Agostini nell’anniversario della morte di Parlotti –. Il consiglio più importante che darei a chi vuole andare a correre il Tourist Trophy è di imparare bene la pista, non si può arrivare a 100 se una curva va fatta a 80. Meglio ancora, però, sarebbe non andarci del tutto”.
A vedere questi piloti impennare in rettilineo e derapare in curva tra i muri delle case, piegarsi fino a sfiorare i cordoli che non sono la gomma dei circuiti ma il cemento dei marciapiedi, sfrecciare tra gli alberi e prendere traiettorie imperscrutabili a pochi centimetri da uno strapiombo o una scogliera, l’altro film che viene in mente è Il Cacciatore, le lunghe e strazianti scene della roulette russa: la pista come il tamburo di una pistola, ogni curva come la camera di scoppio dove può esserci o non esserci il proiettile, non lo sai fino a che non l’hai superata.
Gioco pericoloso e allo stesso tempo magnetico. Loris Capirossi, che qui ha fatto una passerella dimostrativa con la Suzuki nel 2010, ha definito la pista “incredibile e ineguagliabile”. Mentre Valentino Rossi, che qui ha fatto un giro di prova nel 2009 con la Yamaha in compagnia dello stesso Agostini, disse: “Capisco perché la gente ama questa gara, è davvero impressionante, un percorso fantastico. Ma è troppo pericoloso. A volte, i piloti sono pazzi. Se si commette un errore, forse è l’ultimo errore”. Come alla roulette russa, o in una partita a scacchi con la morte.