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 2016  giugno 12 Domenica calendario

Alla voce sinistra

Non sono molto pratico di cosa sia di preciso la sinistra, non avendone mai fatto parte se non per disperazione. Ma, da profano, resto colpito da due recenti scene di questa sinistra all’italiana, passata direttamente dal Quarto Stato di Pellizza da Volpedo ai Cinque Cerchi di Cordero di Montezemolo. La prima sono i dati del voto a Roma, dove il Pd – democratico e di sinistra – perde dappertutto in città e nelle periferie, andate ai 5Stelle (partito notoriamente di destra, tant’è che i giornaloni ci spiegano le sue affinità elettive con la Lega, la Le Pen e Casa Pound), con due sole eccezioni: i quartieri Centro e Parioli, i più ricchi e benestanti. Torna in mente un leggendario titolo di Repubblica dopo il trionfo di Renzi alle Europee 2014: “Parioli, il quartiere più rosso”. Ma soprattutto le frustate di Leo Longanesi: “Le rivoluzioni cominciano in piazza e finiscono a tavola”. E di Ennio Flaiano: “Comunista io? Mi spiace, non me lo posso permettere”.
Per nulla allarmato dal tracollo suo e del suo partito nelle zone più popolari (ma anche più popolose) della Capitale, Roberto Giachetti punta tutte le chance di rimonta sul terrore che dovrebbe attanagliare i cittadini romani all’idea che Virginia Raggi faccia perdere alla città la storica occasione delle Olimpiadi del 2024. Come se esistesse un solo romano sano di mente che, mentre fa lo slalom fra le buche e le montagne di rifiuti sparse per le strade, scansando le pantegane di dimensioni ormai giurassiche, sogna a occhi aperti i Giochi olimpici, con annesse colate di cemento e voragini di bilancio. Bobo Giachetti, anzi Giochetti, è impegnatissimo nella rincorsa dei voti “di sinistra”, dunque ha pensato bene di attirarli battendosi come un sol uomo con i compagni Luca di Montezemolo, Giovanni Malagò e Francesco Gaetano Caltagirone, notoriamente popolarissimi tra i disoccupati e i diseredati, tutti ansiosi di gareggiare in una nuova disciplina olimpica dopo il salto in alto, il salto in lungo e il salto con l’asta: il salto del pasto.
L’altra scena madre della sinistra 2.0 è un passaggio del faccia a faccia su Sky tra Piero Fassino e Chiara Appendino. A un certo punto la Appendino, esponente di quell’orrendo movimento di destra che – a leggere i giornaloni – è ormai un tutt’uno con la Lega, pronuncia una parola brutta, diciamo pure una parolaccia, di quelle che non si dovrebbero mai usare tra galantuomini, a tradimento: “Povertà”. Già, nella Torino del miracolo olimpico del 2006, seconda città più indebitata d’Europa, ci sono molti poveri. Troppi.
Incuranti delle cronache di regime che dipingono Torino come la capitale del buongoverno e del regno di Saturno grazie alla “sinistra” che la governa da 15 anni prima con Chiamparino (ora presidente della Regione e prima banchiere della Compagnia di San Paolo) e poi con Fassino, i quartieri popolari un tempo appannaggio della sinistra hanno premiato i 5Stelle, anziché il Pd. Che, negli anni, s’è trasformato non solo in un gigantesco comitato d’affari, appoggiato da Fiat, collegio costruttori, Banca e Compagnia di San Paolo, Compagnia delle Opere e ultimamente pure dall’ex governatore forzista Ghigo e dall’ex ministro berlusconiano Vietti, ma anche nel partito dei ricchi e delle grandi opere inutili (tipo Tav). L’altra sera, su Sky, la Appendino ha ricordato che finora il solo portavoce di Fassino è costato ai contribuenti un milione di euro. Poi ha citato un dato che in città tutti conoscono: la Caritas diocesana calcola che, su un’area metropolitana di 1,5 milioni di abitanti, 200 mila sono poveri e di questi 90 mila versano in condizioni “gravi”. Nel perimetro più ristretto del Comune, sono 100 mila i torinesi sotto la soglia di povertà.
Apriti cielo. Manco la rivale avesse parlato di scie chimiche, Fassino ha perso le staffe (cosa che gli accade normalmente) e liquidato i dati Caritas come “errati”. Cioè: il candidato Pd, anche lui all’inseguimento dei voti di sinistra andati al primo turno un po’ all’ex sindacalista Airaudo un po’ direttamente ai 5Stelle, ha fatto quel che normalmente farebbe un candidato di destra: ha minimizzato la povertà. Un autogol plateale, che la sua avversaria ha incassato, finendo il confronto con un grado di affidabilità del 66% contro il 34 del sindaco uscente (secondo il voto dei telespettatori sul web).
Volendo, sempre alla voce sinistra”, si potrebbe aggiungere un collage delle dichiarazioni del candidato pidino a Milano, Beppe Sala, che si scorda di avere una villa accanto a St. Moritz perché dài, può capitare, chi non ha una villa a St. Moritz e se la dimentica? O un’antologia dei suoi giuramenti di trasparenza, mentre ancora nasconde i veri conti di Expo, con centinaia di appalti senza gara. Si attendono ad horas il video-appello congiunto di Caltagirone, Montezemolo e Malagò in cima a una ruspa che gridano “Votate Giachetti sennò siamo rovinati” e quello di Fassino affacciato al balcone della Reggia di Venaria che recita il suo nuovo slogan “Se non hanno pane, mangino brioche”. A meno che Piero lo Smilzo non voglia ripetere la celebre profezia del luglio 2009, quando Beppe Grillo si candidò alle primarie per la segreteria Pd: “Se Grillo vuol far politica, fondi un partito e vediamo quanti voti prende. E perché non lo fa?”. Oppure la seconda profezia del maggio scorso quando, esasperato dalle critiche della Appendino al suo bilancio colabrodo, il sindaco ci ricascò: “Senta, lei si segga su questa sedia e vediamo se sarà capace di fare quello che auspica: decideranno gli elettori”. Ora non c’è il due senza il tre. E comunque il miglior portafortuna di Fassino è sempre Fassino.