
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Siamo di nuovo nei guai per il crocefisso in classe: a Strasburgo la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che lo dobbiamo togliere dalle pareti perché viola «il diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni». Maria Stella Gelmini, ministro della Pubblica Istruzione, ha annunciato il ricorso del governo. Ci vorranno più o meno 9 mesi per decidere se si può esporre il crocefisso oppure no. Se in ultima istanza ci venisse imposta la rimozione della croce dovremmo provvedere.
• Come è possibile che Strasburgo ci dica come dobbiamo arredare le nostre aule scolastiche?
Abbiamo aderito alla Convenzione europea dei diritti umani e abbiamo con ciò ammesso che esiste un tribunale abilitato a stabilire che cosa lede questi diritti umani. Il tribunale è formato da sette giudici, uno dei quali è italiano, si chiama Vladimiro Zagrebelsky ed è fratello di Gustavo Zagrebelsky, a suo tempo (2004) presidente della nostra Corte costituzionale. Gli altri sei giudici sono: una belga (la presidente Françoise Tulkens), un portoghese (Ireneu Cabral Barreto), una lituana (Danute Jociene), un serbo (Dragoljub Popovic), un ungherese (Andras Sajò), una turca (Isil Karakas). Il ragionamento di questi giuristi è il seguente: «La presenza del crocefisso, che è impossibile non notare nelle aule, potrebbe essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso. Avvertirebbero così di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione. Tutto questo potrebbe essere incoraggiante per gli studenti religiosi, ma fastidioso per i ragazzi che praticano altre religioni, in particolare se appartengono a minoranze religiose o sono atei. Inoltre la Corte non è in grado di comprendere come l’esposizione, nelle classi delle scuole statali, di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo, possa servire al pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una società democratica così come è stata concepita dalla Convenzione europea dei diritti umani, un pluralismo che è riconosciuto dalla Corte costituzionale italiana». Il ragionamento è fastidioso, ma fila, a parte la faccenda del «pluralismo educativo» che nel caso specifico fa a pugni con il Concordato e della croce come simbolo del cattolicesimo. La croce è simbolo della cristianità intera e non solo della Chiesa di Roma.
• Perché questi sette si sono messi a ragionare sui crocefissi delle nostre scuole?
Per via del ricorso di una madre di Abano Terme (Padova), Soile Lautsi Albertin (è una cittadina italiana di origine finlandese), che nel 2002 aveva chiesto al preside del locale istituto Vittorino da Feltre di togliere i crocefissi perché a suo dire offensivi per la sensibilità dei figli. Vi fu una lunga sequenza di corsi e ricorsi, con passaggi al Tar e alla Corte costituzionale, che diedero quasi sempre torto alla signora. Alla fine, Soile si rivolse alla corte europea che adesso le ha dato ragione. Lo Stato italiano è stato condannato anche a rifondere danni morali per 5 mila euro.
• Non c’è il Concordato che ci obbliga a tenere la croce in aula?
No, su questo punto il Concordato tace.
• E allora perché teniamo i crocefissi? La religione cattolica, o magari il cristianesimo, è religione di Stato?
No, in Italia non c’è una religione di Stato. «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani» (articolo 7). «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge» (articolo 8). Il solo fatto che la Costituzione citi la Chiesa cattolica e non citi le altre religioni dà alla Chiesa una posizione preminente. Sarebbe una discussione lunga. Del resto sarebbe anche difficile negare la connessione profonda tra la storia nostra e quella della Chiesa. Che è quello che rende fastidioso l’intervento di Strasburgo. Lo dico da non credente, ma che su queste faccende vorrebbe non essere eterodiretto.
• Reazioni?
Inutile citare quelle dei politici, prevedibilissime (destra contro, sinistra a favore persino nella figura del valdese Ferrero, segretario di Rifondazione). Le prime pronunce delle gerarchie cattoliche sono molto prudenti. Il Vaticano ha fatto sapere che prima di dire qualcosa di ufficiale avrebbe voluto leggere le motivazioni, ma infine padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, al Tg1 ha riferito dello «stupore e del rammarico» con cui è stata accolta la sentenza, definita «sbagliata e miope». La Cei ha parlato di «visione parziale e ideologica». Vittorio Messori, in un’intervista alla web tv del Corriere, ha detto che la sentenza lo amareggia, ma non lo scandalizza. «Gesù Cristo è abbastanza forte per non doversi preoccupare dei burocrati dell’Europa». [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 4/11/2009]
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