Alessandro Merli, Il Sole-24 Ore 4/11/2009;, 4 novembre 2009
L’INDIA SPINGE L’ORO AI MASSIMI - Nuovo record per la quotazione dell’oro, dopo l’annuncio che la banca centrale dell’India ha acquistato metà del quantitativo di oltre 400 tonnellate messo in vendita due mesi fa dal Fondo monetario
L’INDIA SPINGE L’ORO AI MASSIMI - Nuovo record per la quotazione dell’oro, dopo l’annuncio che la banca centrale dell’India ha acquistato metà del quantitativo di oltre 400 tonnellate messo in vendita due mesi fa dal Fondo monetario. Ieri sera il prezzo a New York era salito per la prima volta sopra quota 1,80 dollari l’oncia, chiudendo a 1.084,3. Dall’inizio dell’anno, l’oro ha guadagnato attorno al 23 per cento. L’operazione, chiaramente diretta a diversificare le riserve ufficiali del paese asiatico, è un evidente dimostrazione, secondo fonti dei mercati valutari, dell’intenzione di molte banche centrali di ridurre la propria esposizione verso il dollaro e potrebbe alla lunga avere anche un effetto ribassista sulla moneta Usa. L’annuncio, arrivato in nottata, è stato una doppia sorpresa per i mercati: per l’identità dell’acquirente, l’India e non la Cina, come ci si aspettava, e per l’ammontare dell’operazione, 200 tonnellate per un controvalore di circa 6,7 miliardi di dollari. La vendita è stata condotta fra il 19 e il 30 ottobre a prezzi di mercato, una media attorno a 1,045 dollari. Si tratta del più grosso acquisto di oro negli ultimi decenni da parte di una banca centrale ed è equivalente all’8% circa della produzione mondiale annua. La banca centrale indiana ha laconicamente affermato di aver compiuto un’operazione di «gestione delle riserve », ma la decisione è stata vista anzitutto come un tentativo di ridurre la quota in dollari (l’operazione è stata pagata in valuta, non in diritti speciali di prelievo, la moneta-paniere dell’Fmi), aumentando quella dell’oro, che è passata dal 3,6% circa al 6% delle riserve totali. Alle autorità di New Delhi viene anche attribuita la volontà di contare di più all’interno del Fondo monetario e l’acquisto di metà dell’oro messo in vendita dall’istituzione di Washington può far ottenere al paese un nuovo standing, insieme all’aumento delle quote in discussione per i maggiori paesi emergenti. Il Fondo aveva deliberato la vendita di 403 tonnellate, un ottavo circa delle sue riserve auree, a settembre, per finanziare le proprie attività e in particolare i prestiti a tasso zero ai paesi più poveri, per consentire loro di far fronte alla crisi globale. «Questa transazione è un passo importante - ha detto il direttore dell’Fmi, Dominique Strauss-Kahn - verso gli obiettivi che ci eravamo prefissati con la vendita». Tre le ragioni principali del rialzo della quotazione, pari al 3% circa nella seduta di ieri. Anzi tutto, l’operazione ha rimosso quasi del tutto la spada di Damocle della vendita sul mercato dell’oro del Fondo. Si ritiene infatti che, dopo l’operazione con l’India, altre banche centrali si faranno avanti per l’acquisto dell’altra metà. La Cina è tuttora considerata l’acquirente più probabile, anche perché, nonostante i massicci acquisti degli ultimi anni, la quota dell’oro nelle sue riserve resta molto bassa. La Russia e altri paesi asiatici sono ritenuti possibili candidati. Una fonte del Fondo monetario non ha voluto confermare ulteriori contatti, ma l’aspettativa è che a questo punto tutta la quota in vendita venga collocata fuori mercato. L’Fmi è impegnato a cedere il proprio oro, in prima battuta, ad acquirenti ufficiali e le fonti hanno precisato ieri di essere ancora in questa fase. La seconda ragione del rialzo, legata alla prima, è che la transazione mostra un allargamento dei potenziali investitori in oro alle banche centrali, soprattutto dei paesi emergenti, dopo che negli anni passati gli istituti monetari europei erano state venditrici. In terzo luogo, gli operatori ritengono che l’operazione abbia messo una sorta di pavimento alla quotazione, mostrando che le istituzioni ufficiali ritengono che l’oro sia destinato a salire ancora da questi livelli. Un effetto, questo, destinato ad avere ripercussioni negative sull’industria del settore, che vede un aumento dei suoi costi di produzione.