Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  novembre 04 Mercoledì calendario

Le miserie del signor Travetti

4 aprile 1863 Prima de "Le miserie del signor Travetti", al teatro Alfieri di Torino, inaugurazione della stagione di primavera. Gli impiegati dello Stato organizzarono una manifestazione per rovinare lo spettacolo e al terzo atto il caos in platea era tale che sarebbe stato forse il caso di chiudere. Ma il signor Giovanni Toselli, comico e protagonista della commedia, volle arrivare fino in fondo e alla fine ebbe ragione. La sera dopo (5 aprile) le contestazioni furono sporadiche e alla terza, il 6 aprile, il pubblicò decretò un successo trionfale, al punto che poi il lavoro fu portato a Roma, Milano, Napoli, Firenze. Bersezio: «Il successo di Roma (dove fu egregiamente rappresentato prima dal cav. Calloud colla sua compagnia, poscia dal cav. Alamanno Morelli) riuscì tale che, trovandosi allora in quella città il direttore del principale teatro di commedia di Berlino, e assistito alla recita di tal commedia, egli volle farla tradurre e rappresentare al suo teatro; alla qual cosa, avendo io volonterosamente acconsentito, il povero Travetti, cambiato il nome per intedescarsi in Bartelsman, fu nella capitale della Prussia accolto il più festosamente che si potesse desiderare; così bene, che di là passò sulle scene di Vienna, di Monaco e di parecchie altre città della Germania». Ancora Bersezio: «Questa commedia fu scritta primamente in vernacolo piemontese nel 1863; ed era fatta per flagellare un difetto maggiore che altrove nella città di Torino: quello di voler cercare un pane scarso, pagato a prezzo dell’indipendenza, e certe volte della dignità personale, dagl’impieghi governativi, invece che di guadagnarselo più nobilmente ed anco più facilmente maggiore dal libero lavoro del commercio e dell’industria». Altri punti notevoli della commedia. La signora Travetti, al primo atto scena VIII, spiegando le ragioni della poca carriera del marito: «La ragione è che quel buon uomo non ha mai avuto la più piccola raccomandazione». E subito dopo, riferendosi al capo del marito (il Capo-sezione): «Quel cattivo! In fin dei conti poi che cos’è lui? Un corto di cervello che si è fatto strada a forza di piacenterie [...] L’hanno fatto avanzare perché è cugino della cognata del Segretario generale... Il signor Paolo, aspirante alla mano della figlia di Travetti, ha difficoltà ad essere accettato perché collabora con lo zio fornaio e non ha lo status di impiegato. «Il suo signor padre m’ha fatto intendere che se io fossi impiegato, m’avrebbe accordato la felicità d’essere suo genero, ed ho fatto il possibile per ottenere un posto. A forza di domande e di raccomandare posso finalmente entrare in un ufficio come aspirante alla qualità di volontario (rip: aspirante alla qualità di volontario), e comincio da oggi» (atto I scena XIII). Il lavoro nell’ufficio pubblico nelle parole dell’impiegato Rusca: «Far le mummie tutto l’anno per quei miserabili duemila franchi» (Atto II, scena I). Capo-sezione a Travetti, preannunciando l’arrivo di un nuovo impiegato: « un giovane che m’è stato raccomandato, e lei gli avrà dei riguardi» (Atto II, scena V). Capo-sezione, in odio a Travetti: «C’è un posto vacante in Sicilia; ci si potrebbe mandare il signor Travetti» (Atto II, scena X). «Al giorno d’oggi, corpo d’una tramoggia! tutti vogliono mangiar il pane dello Stato come se lo Stato avesse da empir le ganasce a tutti. Non puoi tu badare al nostro commercio? Ti pare egli che la professione di tuo padre non sia abbastanza nobile per te?» (Giacchetta, Atto II, scena XVIII). Scena della moglie che si pavoneggia col vitino di vespa (Travetti: «Mi pare in complesso che ci hai troppo rosso»), Atto III, scene II-III. 5 marenghi = 100 franchi (pag. 110) «Taci, tambellone» (pag. 113) Atto IV, scena II. Travetti: «Non le sembra a lei che un impiegato del Governo s’abbassi dando la propria figlia ad un fornaio?... particolarmente per la famiglia di mia moglie ch’io dico questo... Lei la conosce. una famiglia che appartiene alla magistratura, sa?». Commendatore: «Andiamo, via. Tutti questi sono pregiudizi indegni di lei. Non s’abbassa l’uomo che operando male, e chi è ben educato, qualunque professione eserciti, purché onorevole, è uguale a qualunque siasi. Noi altri borghesi ci lagniamo spesso della nobiltà perché ci tratta con orgoglio e ci prova ch’ella si tiene dappiù di noi; e poi abbiamo i medesimi torti verso quelli che sono o sembrano al di sotto di noi!... Quanto alla famiglia di sua moglie, la non ci deve entrare per niente nel matrimonio della sua figliola». DA LE PROSPERITA’ DEL SIGNOR TRAVETTI (1868) «Ci fanno pagare sette franchi la bottiglia certa porcheria» (Atto I, scena IV) Incidente tra carrozze in 163 La giubilazione come pensione 167, 195 L’impiegato Montoni mandato in Sardegna per punizione 167 «Egli invece s’avvoltolò di subito, e con una voluttà che rivela il suo carattere, nel fango della più bassa stampa che vive di pettegolezzi, di diffamazioni e di scandali: e il suo giornalaccio, entrando nell’interno della vita privata, nelle sacre soglie della famiglia, esercita un infame ricatto» (Atto I, scena X: a proposito del giornale Il Curioso) Via dei Fornelletti n. 85 «Noi nobili andiamo in malora e questi borghesucci di bottegai si arricchiscono delle nostre spoglie» (Atto I, scena XVI). L’omnibus (184) «Non che io mi compiaccia di queste lordure... Oibò... Trovo che la libertà della stampa è, come si direbbe, una vera porcheria, ma quando si dice male di gente come quella, mi ci diverto». SPEZIALE - Ha fatto fare una strada e costruire un ponte di cui si era sempre stati senza. CAVALIERE - Perché spendendo per queste opere qualche cosa gli viene in tasca (Atto II, scena IV). «A dir vero questi [i sequestri del giornali] giovano più che non nocciano. Si lasciano sequestrare due paia di dozzine e le altre copie si vendono di soppiatto più care (Montoni, Atto II, scena XIII). GIACCHETTA - Oggi si vuole spendere tutti più di quello che si deve. Privati, Comuni, Provincie, Stato, tutti fanno a gara a scialacquare. CONTE - Eh, che spendendo largamente si sviluppa la pubblica prosperità. GIACCHETTA - Mandando in malora tutti. CONTE - Sono massime da bottegaio.

Monsù Travet, uscito dalla penna di Vittorio Bersezio negli anni 60 dell’Ottocento, costituisce certamente un modello analogico delle culture burocratiche italiane, utilissimo per comprendere i comportamenti e gli atteggiamenti degli impiegati dalla metà del XIX secolo in avanti. Il lavoro del commediografo nasce dalla volontà di deridere la dilagante "impiegomania" della società piemontese. Il suo signor Travet è una vittima dei superiori, dei colleghi; a casa è la vittima della moglie. La sua soggezione verso i potenti, i superiori, è il risultato naturale di una concezione eminentemente gerarchica della società che lo porta da un lato a ribadire, in maniera non per questo necessariamente servile, i propri superiori; dall’altro lo conduce, altrettanto naturalmente, a pretendere da quelli che ritiene più in basso di lui nella gerarchia sociale quell’ossequio che è dovuto ad un impiegato regio. È in considerazione di queste convinzioni che rifiuta di dare la figlia in isposa a un giovane che ha il solo torto di essere figlio di un fornaio. «Il suo sentimento della gerarchia si converte - come notava Benedetto Croce - nel ridicolo della distinzione nobiliare, di quella nobiltà burocratica che è insignita della papalina di seta e dalle doppie maniche di percallo» [Piero Melograni (a cura di) La famiglia italiana dall’Ottocento a oggi Laterza 1988]