
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Settembre è relativamente lontano, pure le pagine dei giornali sono piene della scadenza relativa ai giorni 16-17, e hanno l’aria di giudicarla piuttosto terrificante…
• Che scadenza?
La seconda rata dell’Imu. Rata a saldo, cioè con cui si chiude la partita, per le seconde case. Secondo acconto per le prime case, per chi vuole prendersi tutto il tempo concesso e farla finita a dicembre. Ma l’attenzione generale, condita da una certa ansia, è riservata a questa seconda rata e in particolar modo alla seconda rata che incombe sui proprietari che la casa l’hanno data in affitto.
• Di che stangata stiamo parlando?
I conti non si possono fare a spanne, perché si tratta di milioni di casi particolari, ma diciamo che i proprietari di case che hanno stipultato con i loro inquilini un contratto libero devono aspettarsi di pagare almeno un migliaio di euro. Stiamo immaginando un appartamento di un’ottantina di metri quadri, piazzato in una zona semiperiferica di Roma, Napoli o Perugia. I conti li ha fatti il “Corriere della Sera”.
• Sentiamo.
Prima di addentrarci nei calcoli (ci limiteremo a riferire le valutazioni del Corriere) voglio ricordare che l’importo di questa seconda rata dipende dai comuni, i quali hanno la facoltà di applicare un’addizionale alla percentuale decisa dallo Stato. Provi un po’ a immaginare chi mette le addizionali più alte: naturalmente le amministrazioni che stanno maggiormente nei guai, cioè che amministrano peggio i nostri soldi. Voglio ricordarle quel passaggio della nostra conversazione di ieri in cui dicevamo che l’insoddisfazione per il servizio sanitario dei clienti nelle otto regioni in deficit perenne (una sola a nord, il Piemonte) è inversamente proporzionale alla quantità di denari spesi. Dove le Regioni spendono poco, i clienti sono anche più soddisfatti. Stessa cosa per le addizionali sulla casa: saranno i comuni più dissestati, cioè peggio amministrati, a pretendere dai loro cittadini le aliquote più vessatorie. Senza voler entrare nel merito della legge, che magari in futuro sarà ampiamente migliorabile (è servita però per raccattare quasi 21 miliardi e mezzo e far contenta l’Europa), teniamo bene a mente questo punto.
• Insomma come viene fuori che i padroni di casa saranno stangati?
Dunque, per la seconda rata a Napoli, Roma e Perugia si applicherà un’aliquota del 10,6 per mille, considerando un immobile di categoria A2, cinque vani, zona semiperiferica, viene fuori una seconda rata di circa 900 euro, il 79% in più di quello che si è pagato al primo giro, per un totale di 1.403 euro. Questo indipendentemente dal canone, perché la tassa si calcola sul valore catastale rivalutato. Dipende tutto da quel 10,6 per mille. A Milano, dove amministrano meglio (nonostante quello che pensa la magistratura), verrà applicata un’aliquota inferiore al 7,6 per mille dell’imposta base: appena il 6,5. Questo significa che, in un’ipotesi simile a quella precedente, la seconda rata sarà più bassa, 399 euro. C’è da mettersi le mani nei capelli, infine, se si paragona l’importo finale di questa Imu con la vecchia Ici che Berlusconi volle togliere per far felici i suoi elettori e mantenere una promessa fatta durante la campagna: nel caso di Roma-Napoli-Perugia, a fronte di un Imu complessiva, per il caso considerato più sopra, di 1403 euro, si sarebbe corrisposta un Ici di 190 euro. L’imposta sulla casa è cioè aumentata di sette volte e mezza. Nel caso di Milano (e di Trieste e di Torino), a fronte di un Imu di 949 euro si sarebbe pagata un Ici di 184. Nel cambio ci abbiamo rimesso, e molto.
• Che effetto avrà la cosa sul mercato degli affitti?
Di sicuro aumenterà il nero. Per il resto, l’introduzione da parte di Tremonti della cedolare secca, cioè un 21% da pagare sull’affitto incassato senza far confluire quel reddito nell’Irpef, aveva incoraggiato i proprietari ad affittare i propri immobili. In modo molto schematico, bisognerebbe dire che una tassa così alta sull’appartamento dato in locazione dovrebbe indurre i padroni di casa a chiedere un adeguamento agli inquilini al momento della scadenza del contratto. Ma altre fonti segnalano che il numero degli appartamenti per i quali è stato esposto il cartello “Affittasi” è in costante aumento. Il numero di italiani disposti a comprar casa è sceso nettamente, sia per la crisi sia per il braccino corto delle banche che non vogliono concedere mutui. Risultato: i padroni di casa, non riuscendo a vendere, guadagnano tempo dando l’appartamento in affitto e quindi l’offerta è aumentata. L’alternativa sarebbe di tenere la casa vuota, non darla a nessuno in attesa di tempi migliori. Ma non è una gran scelta, se ci pensa: pur di non pagare le tasse si rinuncia a quel minimo di reddito che un affitto può garantire (se l’inquilino è puntuale).
[Giorgio Dell’Arti, 30 luglio 2012]