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 2012  luglio 30 Lunedì calendario

IL FORTINO BUNDESBANK CHE DUELLA CON L’EUROPA


«SIAMO arroganti perché siamo bravi ». Così spiegarono a David Marsh, firma del
Financial Times
che in “The Bank that rules Europe” scrisse la loro migliore storia.
POI un’amara ironia confidenziale di Helmut Kohl, padre della riunificazione e dell’Euro, la disse lunga. A Bonn ancora capitale Kohl, deciso a far entrare l’Italia di Prodi nell’euro, aveva ricevuto l’allora presidente del Consiglio. La tappa successiva di Prodi fu Francoforte, Kohl gli disse: «
Lieber Romano, viel Spass da
», caro Romano buon divertimento là da loro. Piccoli aneddoti sul superpotere monetario made in Germany che, appoggiato da media popolari e conservatori e da politici euroscettici d’ogni colore, ha lanciato l’ultima offensiva. Non esita contro nessuno, attacca Mario Draghi e noi Stati Piigs sudeuropei, ma non ha paura di Angela Merkel o di Wolfgang Schaeuble. Si sente scaricata da Angie e da quell’ultimo grande europeo suo ministro delle Finanze, ma non si arrende. Benvenuti a Wilhelm-Epstein-Strasse civico 14, cap 60431, Francoforte, Stato dell’Assia, Repubblica federale di Germania. Benvenuti nel nido dei falchi, santuario del rigore, la sede centrale della Deutsche Bundesbank. La vollero i vincitori angloamericani dopo la disfatta nazista del 1945 per vaccinare la Germania dal rischio inflazione stile
Weimar e quindi da ogni nuovo Hitler. Il nido dei falchi salvò la democrazia tedesca (ma solo insieme a Piano Marshall, ombrello militare angloamericano, condono delle riparazioni di guerra), però secondo alcuni suoi critici oggi minaccia di affossare l’Europa.
«Non esiste crescita finanziata da nuovi debiti, la Bce non può sostenere Stati deboli acquistando i loro titoli sovrani» Jens Weidmann, il giovanissimo ex consigliere di Angela Merkel divenuto l’ultimo presidente dei “Templari di Buba”, lo ripete quasi ogni giorno. Non gl’importa di essere in rotta di collissione con la cancelliera, con Draghi e Monti, con Hollande e Barroso. Fedeltà totale a principi e doveri istituzionali, anche contro tutti.
Ohne
Ruecksicht auf Verluste,
senza preoccuparsi delle perdite, come gridarono combattendo gli ufficiali prussiani e poi del Kaiser in secoli di guerre tra europei.
Gli alleati non mancano, cominciando dalla stampa conservatrice, con
Bild
in testa. Quando si aprì la corsa alla successione di Jean-Claude Trichet alla Bce, il quotidiano più letto d’Europa sparò il mostro (e il presunto salvatore) in prima pagina: «Questo italiano, sprecone come il suo paese, non deve passare, questo tedesco, un vero Bundesbanker, deve salvarci ». Gli andò male: con i suoi no alle pur lente ed esitanti scelte pro-euro governative, Weber si mise contro Merkel, Schaeuble, i big global player
esportatori tedeschi. Gettò la spugna. Poco importa, Weidmann designato da ‘Angie’ al suo posto, da docile consigliere affrontò entusiasta la metamorfosi in capo dei Templari.
Fanno il loro dovere, da quando nacquero come Bank deutscher Laender nel 1948, cioè un anno prima della Bundesrepublik. Primato della Buba sulle istituzioni democratiche, insomma. Primato difeso da una legge costitutiva (mutuata nello statuto Bce) che impone di difendere la stabilità dei prezzi, non congiuntura e occupazione come Fed o Bank of England. Protetti dallo scudo di 3401,8 tonnellate di riserve auree, più miliardi di riserve in valuta. Roba da far sognare Goldfinger risuscitandolo contro Jam e s
Bond. Riserve custodite quasi tutte a Fort Knox negli Usa, o nei forzieri imprendibili della Bank of England, non si sa mai in Europa continentale con tanti spreconi inaffidabili. Un altro dettaglio difende il primato del breznevismo monetario di Wilhelm-Epstein-Strasse: il presidente Bundesbank è l’unico funzionario pubblico meglio pagato del cancelliere. Spesso l’unico più stimato del cancelliere dal tedesco medio, in decenni di sondaggi. «Il mondo è cambiato, loro non l’hanno capito, non hanno digerito la perdita di ruolo incassata con la nascita della Bce, e reagiscono dogmatici » ci ha detto giorni fa Karl Lamers,
già uomo-chiave della Europapolitik di Kohl. Il rigore di decenni ha fatto una Germania forte e competitiva, ma oggi, non solo domani, è già un altro giorno. Sorridendo amaro Lamers ricordava sfide tremende. Quando con la riunificazione il suo cancelliere, Schaeuble e lui stesso decisero alte spese pubbliche per risollevare e salvare da fame e miseria la Germania Est schiacciata da mezzo secolo di colonialismo russo. «Bene, allora alzeremo i tassi», risposero Karl Otto Poehl, Helmut Schlesinger, Hans Tietmeyer, in sequenza presidenti di Buba. Gettarono così l’Europa, Germania compresa, in anni di recessione. Kohl, ricordano i suoi ancora oggi, sgomenti, spedì in corsa in elicottero blindato da Bonn a Francoforte il suo ministro delle Finanze Theo Waigel. Waigel pregò di impegnare le riserve auree in nome del diritto dei tedeschi al lavoro e a un’unità nazionale dignitosa. Tietmeyer quasi lo cacciò via a pedate. Bene così, loro sì che difendono i nostri portafogli, risparmi,
pensioni e conti in banca dai
Pleite-Griechen
o da ogni
Pleite-Suedlaender
(greci bancarottieri, sudeuropei bancarottieri), tuona a raffica la Bild. E anche se Bmw e Vw, Daimler e Siemens o sindacati chiedono più aperture, temono per l’economia, avanti ancora. La fede dei Templari di Buba è sempre stata incrollabile. Anche quando furono accusati, Weber al comando, di aiutare l’Iran deciso a distruggere Israele ad aggirare le sanzioni. Siamo arroganti perché siamo bravi.