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 2012  luglio 30 Lunedì calendario

Anno IX – Quattrocentotrentacinquesima settimana Dal 23 al 30 luglio 2012Viviamo sotto un cielo di incertezze

Anno IX – Quattrocentotrentacinquesima settimana
Dal 23 al 30 luglio 2012

Viviamo sotto un cielo di incertezze. Incertezze finanziarie, incertezze economiche, incertezze politiche. In questa sola settimana si riversano sui mercati titoli dei paesi Ue per un valore di 15 miliardi. Sono Stati pieni di debiti fin sopra la testa che chiedono soldi per saldare i vecchi debiti con nuovi debiti. L’Italia ha fatto la sua parte lunedì scorso per 5,5 miliardi (Btp a 5 e 10 anni). Ogni cittadino europeo minimamente cosciente deve chiedersi: per quanto a lungo si potrà continuare così? Da noi la congiuntura politica favorisce dissoluzioni, riallineamenti, formazioni di nuovi partiti. Ce ne vorrebbe almeno uno che inalberasse lo slogan: «Dobbiamo restituire i soldi».

Draghi Le borse sono andate giù a precipizio fino a metà settimana. Martedì 24 luglio lo spread italiano era a 536, quello spagnolo a 638. 536 era il livello che lo spread aveva raggiunto al momento della caduta di Berlusconi (però con i Bund tedeschi più alti: infatti all’epoca pagavamo un punto percentuale di interesse in più). Per la Spagna 638 era un record mai raggiunto prima. Poi giovedì ha preso la parola Mario Draghi. In un discorso alla Global Investment Conference di Londra ha detto: «Negli ultimi mesi l’area euro ha mostrato progressi straordinari. L’Eurozona è molto più solida di quanto si pensa. A cominciare dai livelli aggregati di deficit e di debito pubblico che sono molto più bassi di quelli statunitensi. Inoltre la coesione sociale all’interno dell’area euro è più forte che in qualsiasi altra parte del mondo. Quindi, noi siamo pronti a fare tutto quello che serve per l’euro. E, credetemi, sarà sufficiente. Non è possibile immaginare la possibilità che un paese esca dall’Eurozon. Se i premi di rischio sul debito sovrano impediscono la trasmissione della politica monetaria, rientrano nel quadro del nostro mandato» (quest’ultima frase può risultare incomprensibile ai più, ma la spieghiamo nelle righe successive). Dopo questo discorso, in soli due giorni, gli spread italiani e spagnoli hanno recuperato 80 punti, le borse sono risalite di quasi il 9 per cento.

Mercati Decrittiamo i tre momenti di questo discorso fondamentale. Primo, la Banca Centrale Europea non ha intenzione di far ammazzare l’euro da chicchessia, quindi se sarà necessario ricominceremo a comprare i titoli dei paesi sotto attacco («siamo pronti a fare tutto quello che serve per l’euro», la Bce non compra titoli italiani o spagnoli da venti settimane). Secondo, faremo in modo che neanche la Grecia esca dall’euro (ad Atene veniva di fatto concesso quasi in contemporanea di spalmare i tagli da 11,5 miliardi in due anni, per la scadenza da 3,2 miliardi del 20 agosto si vedrà). Terzo (frase incomprensibile ai più), la Bce non permetterà che i tassi d’interesse stabiliti a Francoforte, che è titolare unico di questo diritto, siano artificiosamente alterati da terzi. Cioè: poiché la Bce ha stabilito che si paghi un tasso d’interesse sul denaro dello 0,75 per cento, la stessa Bce si adopererà perché i tassi di interesse successivi siano coerenti con questo primo. È un sofisma, perché poi da sempre i mercati, quanto a tassi, agiscono liberamente e il prime rate non è certo l’unico tasso esistente e ammesso. Ma quelle due righe offrono a Draghi la soluzione giuridica per comprare Bonos e Btp, se serve, oppure per inondare di altra liquidità le banche o anche per acquistare i bond delle aziende private in modo che queste acquistino poi i bond degli stati. I rigoristi nordici sono furibondi e giovedì 2 agosto deve riunirsi il board della Bce dove si annuncia battaglia da parte dei rapprersentanti della Bundesbnk, degli olandesi, dei finlandesi (Monti va a trovare i finlandesi questa settimana per tentare di placarli). Intanto però Hollande e Merkel hanno rilasciato una forte dichiarazione d’appoggio a Draghi, segno che anche la Germania s’è ormai spaccata sul tema dell’atteggiamento da tenere verso i paesi scialacquatori e questo nonostante sui siti tedeschi si moltiplichino gli insulti dei navigatori verso greci, spagnoli e italiani.

Spagna Il vero problema è la Spagna. Sabato s’era diffusa la voce che per soccorrerla ci vorranno 300 miliardi. È stata subito smentita, ma nelle segrete stanze s’è ammesso che l’ordine di grandezza dell’intervento sarà più o meno quello (come minimo). Due problemi. I trecento miliardi aggraveranno in qualche modo le finanze di tutti gli altri, Italia compresa. Non sarà un peso che ci trascinerà nel baratro? E da questo baratro è proprio tanto distante Berlino? Moody’s ha sentenziato che le finanze tedesche hanno un outlook negativo, cioè hanno operato un primo declassamento del loro stato finanziario (prima l’outlook era “stabile”). Secondo problema: nulla si potrà fare se non sarà la Spagna stessa, formalmente, a chiedere aiuto. Si segnala in queste ore la disperazione di Rajoy, il primo ministro che, dopo anni e anni, ha battuto Zapatero, ha conquistato la maggioranza assoluta e che alla fine, se chiederà l’aiuto europeo, dovrà dimettersi. Nessun governo di paesi che si sono fatti aiutare dalla Troika è rimasto in piedi. È facile capire perché: ottenere un prestito significa consegnarsi agli ispettori di Bce, Ue e Fmi, cioè abdicare alla propria autonomia. Ecco perché la Spagna non si decide.

Soluzione La soluzione più probabile sembra questa. Esiste il fondo Esm, una specie di gigantesco salvadanaio che ha in cassa 500 mliardi di euro. Cinquecento miliardi, nella congiuntura attuale, sono tuttavia ben poca cosa. Allora: si potrebbe concedere al Fondo Esm la licenza bancaria, cioè farlo diventare una banca. In quanto banca, Esm potrebbe chiedere soldi in prestito alla Bce. Questi soldi prestati dalla Bce verrebbero poi girati, per esempio, agli spagnoli, e più tardi, ipoteticamente, all’Italia. La Bce ha munizioni per due miliardi di miliardi di euro, cioè 2 seguito da 18 zeri. Questo significa inflazione? Molti dicono di no (basta il flottante esistente), molti dicono di sì (sarà sufficiente un minimo di ritorno della domanda). I rigoristi della Bundesbank si opporranno con tutte le loro forze. D’altra parte, se dopo la dichiarazione di guerra di Draghi non accadesse niente, l’ondata di vendite potrebbe essere apocalittica.

Italia In tutto questo, i politici italiani vivono un momento di incertezze quali mai prima. Queste incertezze vanno fatte risalire a un’incertezza prima, e di fatto indecidibile: quella di Berlusconi. Berlusconi persegue infatti obiettivi contradditori. Non vuole che si voti a ottobre perché il risultato sarebbe evidentemente catastrofico. Non vuole che si voti con questa legge elettorale, perché il porcellum, col suo sistema di premi alla coalizione vincitrice, darebbe allo schieramento di Bersani una maggioranza schiacciante e consegnerebbe la palma di oppositore più forte (e più forte anche mediaticamente) a Grillo. Quindi, cambiare la legge elettorale è, per Berlusconi, indispensabile, ma Napolitano e Monti hanno già fatto capire che, una volta messo da parte il porcellum, si andrà a votare subito, cioè il 18 novembre, dato che non ha senso restare appesi per dieci mesi all’incertezza politica attuale. Quindi: cambiare la legge elettorale è indispensabile, ma se si cambia la legge elettorale si va a votare subito. È inutile dar conto delle minacce e degli insulti che i due schieramenti hanno ricominciato a scambiarsi, fenomeno che incoraggia il desiderio sempre più grande di farla finita con la legislatura attuale. C’è un punto ulteriore di complicazione e di incertezza: l’idea che, in modi tutti da definire, alla prossima competizione concorra una lista Monti. È uno spauracchio sia per Berlusconi che per Bersani: a Berlusconi toglierebbe l’insegna di schieramento che si oppone alla vittoria dei “comunisti”. A Bersani sbarrerebbe per l’ennesima volta l’ingresso a Palazzo Chigi.

Ilva Giovedì 26 luglio la magistratura, forte di un incidente probatorio dello scorso 30 marzo (in pratica, una sentenza) ha disposto il sequestro di sei impianti dell’Ilva di Taranto, cioè di fatto la chiusura della più grande acciaieria d’Europa (si estende per un’area pari a tre volte la città). Lo stipendio di dodicimila operai è a rischio, ma come si fa a tenere in piedi un mostro che avvelena i cittadini? Il patron della fabbrica, il vecchio Emilio Riva, agli arresti domiciliari con altri sette, dice di aver speso più di un miliardo per le bonifiche («non sono un assassino di bambini»), gli operai sono in strada e organizzano posti di blocco, i partiti fremono, i sindacati non ci stanno. Evidentemente, la fiducia nelle sentenze del tribunale, che ha espresso un giudizio gravissimo, non è così completa, non è così totale.