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 2012  luglio 30 Lunedì calendario

APPUNTI PER VANITY


LA STAMPA - (SULLA CRISI INTERNAZIONALE) SANDRA RICCIO

Quella che si apre oggi sarà una settimana decisiva nella partita che si sta giocando per il salvataggio dell’euro. Cinque giorni fitti fitti di incontri e appuntamenti ai massimi livelli con l’Italia che avrà un ruolo di primo piano. La girandola di consultazioni e dichiarazioni è già partita nelle ultime ore, a testimonianza della tensione del momento in presenza di una situazione ormai sull’orlo del precipizio e allo stallo seguito al vertice di fine giugno.
Già sabato si è svolto un importante colloquio telefonico tra Italia e Germania. Il risultato è che Mario Monti e la cancelliera tedesco Angela Merkel hanno inviato un messaggio rassicurante all’Europa: «Faremo tutto quanto è necessario per proteggere la zona euro» hanno detto. In più la Merkel ha invitato a Berlino, nella seconda metà di agosto, il presidente Monti, il quale ha accolto l’invito «con gratitudine». Di fatto le parole dei due leader ricalcano quelle di giovedì del numero uno della Bce, Mario Draghi, riprese il giorno dopo da un comunicato congiunto Merkel-Hollande. «Prenderemo tutte le misure necessarie a proteggere l’euro zona», ripetono i leader europei. Oggi con l’apertura delle Borse si capirà se, come è accaduto la settimana scorsa, anche questa rinnovata determinazione avrà un effetto positivo sui mercati tanto più che i prossimi giorni saranno scanditi da importanti aste, a cominciare da quella di oggi dell’Italia sui Btp a 5 e 10 anni (fino a 5,5 miliardi). Complessivamente in settimana sui mercati si riverseranno titoli dei Paesi Ue per un valore tra i 13,5 e i 15 miliardi.
Tanti i passi in agenda: martedì Monti volerà a Parigi per una colazione di lavoro con il presidente francese, Francois Hollande. Mercoledì invece sarà a Helsinki per convincere la Finlandia della necessità di pensare a un’integrazione europea più solidale. Missione non facile dal momento che è il Paese che ha cercato di bloccare lo scudo anti-spread deciso al Consiglio europeo di fine giugno. Infine giovedì 2 agosto Monti andrà a Madrid su invito del presidente del Consiglio spagnolo, Mariano Rajoy. E proprio giovedì sarà la giornata clou della settimana con l’atteso incontro del direttivo della Bce. Dopo le forti parole di «svolta» di Draghi, gli operatori si aspettano che l’Eurotower decida azioni «non convenzionali». Tra l’altro la riunione del 2 di agosto sarà preceduta, il giorno prima, da un altro atteso incontro, quello della Fed americana che potrebbe muovere sui tassi d’interesse Usa. Ora dopo i recenti ulteriori segnali di forte rallentamento delle economie sviluppate aumentano le attese degli operatori per imminenti azioni congiunte delle banche centrali come, in parte, già avvenuto a inizio luglio.
Nel frattempo oggi il presidente della Bce Mario Draghi incontrerà il segretario al Tesoro Usa Tim Geithner con il compito di tentare una sorta di mediazione e smussare le resistenze tedesche. La sua missione inizierà con un prima tappa dal titolare delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble. Per il faccia a faccia, Geithner si recherà direttamente nell’isola tedesca di Sylt, nel Mare del Nord, dove il tedesco sta trascorrendo le sue ferie. Successivamente volerà a Francoforte da Mario Draghi.
Le parole del numero uno della Bce sono servite sicuramente a compattare il fronte salva-euro ma la Bundesbank continua a smarcarsi. Sabato la banca centrale tedesca ha ribadito il proprio no alla possibile ripresa del programma di acquisti della Bce, su cui le dichiarazioni di Draghi hanno alimentato le aspettative. Prima della riunione della Bce forse già oggi, Draghi dovrebbe incontrare il collega della Buba, Jens Weidmann, per discutere i possibili interventi. Un assist glielo ha offerto ieri Jean Claude Juncker. Il presidente dell’Eurogruppo ha spinto l’acceleratore sul processo di salvataggio rimproverando Berlino: «Non c’è tempo da perdere, se si vuole salvare l’euro» ha detto. «Perchè Berlino si permette il lusso di mischiare la propria politica interna ai temi europei? Perchè tratta l’Eurozona come una filiale?» ha chiesto. Le parole di Juncker sembrano volte a infondere ottimismo. Se è davvero così, lo diranno oggi i mercati.

LA STAMPA - (SULLA CRISI INTERNAZIONALE) TONIA MASTROBUONI
L’ ennesima settimana cruciale per il futuro dell’Eurozona comincia oggi e si conclude giovedì, con la riunione del consiglio direttivo della Bce, caricato ormai di aspettative gigantesche e, dunque, pericolose. Soprattutto perché per accontentarle, nei giorni che ci separano dal 2 agosto, sarà cruciale che la Spagna chini il capo e chieda formalmente aiuti. Non solo per le banche, come ha fatto finora, ma anche per sé, caricandosi dunque l’“onta” di un monitoraggio ufficiale da parte della trojka in cambio del piano di risanamento, oppure, nel caso di una versione “light”, di un intervento dell’Efsf sui bond in cambio di periodici controlli europei come da accordi di fine giugno. Dovrà accettare le famigerate e odiate condizionalità, insomma.
Fonti vicine all’esecutivo di Madrid parlano di una richiesta che «arriverà quasi sicuramente» e di un premier «ormai allo stremo» che starebbe cercando di dribblare il destino certo che è toccato a tutti i governi che hanno chiesto ufficialmente aiuti all’Europa: quello di cadere. Un’ipotesi concreta che circola tra i popolari è che Mariano Rajoy chieda il salvataggio e proceda poi a un rimpasto pesante, soprattutto dei ministri economici. Mentre l’ipotesipiù indigesta per il premier parla di un governo tecnico in arrivo, sorretto da una grande coalizione, una soluzione “alla Monti”.
Il fatto è che senza la richiesta ufficiale di aiuti - la Germania lo ha fatto capire chiaramente in questo fine settimana -, non ci saranno acquisti dei suoi titoli di Stato scricchiolanti né da parte del fondo salva-Stati Efsf, né da parte della Bce. Un monito, questo, che lega pesantemente le mani al suo presidente. E che rischia di far svanire quell’aiuto-ponte agostano che consentirebbe alla Spagna - e all’Italia ormai pericolosamente nella scia di Madrid - di arrivare vive al 12 settembre, quando la corte costituzionale tedesca sbloccherà o affosserà il nuovo fondo salva-Stati Esm.
Era stato Draghi, giovedì scorso a prefigurare attraverso parole inequivocabili la necessità di riprendere gli acquisti dei titoli di Stato interrotti venti settimane fa. Quando ha fatto quelle dichiarazioni, una vera e propria fuga in avanti che non a caso ha suscitato l’immediata reazione della Bundesbank, sembra evidente che dovesse già avere l’appoggio politico di Berlino. Non a caso, esplicitato come un sol uomo da lì a poche ore sia dalla cancelliera sia dal ministro delle Finanze, e in aperto contrasto con il numero uno della banca centrale tedesca Weidmann. Il dubbio è se quell’appoggio avesse a che fare con l’incontro avvenuto in quei giorni tra il ministro delle Finanze spagnolo e quello tedesco e l’eventuale promessa, tenuta per ora coperta, di Madrid di chiedere aiuti.
Senza l’endorsement del governo tedesco, Draghi ha margini ridottissimi per contrastare l’opposizione interna della Bundesbank. Un anno fa, quando il suo predecessore Trichet cominciò a comprare titoli italiani e spagnoli contro il parere della banca centrale tedesca, la famosa lettera ai governi sulle riforme era già partita e l’impegno era già arrivato, da Roma e Madrid.
Quest’anno la crisi è arrivata a un punto tale che l’onere dei salvataggi sta raggiungendo una soglia di allarme. E Merkel lo ha ripetuto recentemente più volte: le capacità della Germania non sono infinite. L’appoggio di Berlino, quindi, è sempre più fondamentale per evitare il peggio. E se non arriva la richiesta di aiuti della Spagna, questo il sillogismo della settimana, sarà quasi impossibile per Draghi ripetere la forzatura anti-tedesca di Trichet e riprendere gli acquisti dei titoli iberici e italiani. D’altra parte, è certa che dopo le parole di Draghi, se la Bce deluderà le aspettative degli investitori, che si attendono ormai come minimo la ripresa degli acquisti dei bond, la reazione sulle Borse potrebbe essere apocalittica.

LA STAMPA - (SUI CONTRASTI POLITICI IN ITALIA) F. SCHIA.
Il punto di rottura è pericolosamente vicino. Sulla legge elettorale, insiste il Pdl nell’annuncio di un testo, domani in Senato, che contenga premio di maggioranza al partito e preferenze, due caratteristiche di cui non vuole nemmeno sentir parlare il Pd, che punta tutto su collegi uninominali e premio di maggioranza alla coalizione. Ribadiscono i democratici che una forzatura non l’accetteranno, e le possibili conseguenze le ha già evocate chiaramente il segretario Bersani: «Rottura irrimediabile».
In mezzo, il leader centrista Casini tenta una mediazione: perché no il premio di maggioranza al partito, «non ci trovo niente di lesivo» confida in un’intervista a «Repubblica», ma allo stesso tempo rassicura Bersani, può stare certo che non lo lascerà solo. «Condivisione», resta la parola d’ordine dell’Udc: ma alla vigilia della presentazione in Senato della proposta dei berlusconiani, appare difficile trovare sulla riforma del sistema di voto quell’intesa tante volte annunciata e mai agguantata. I contatti tra i partiti restano, c’è anche chi ipotizza un incontro chiarificatore tra leader in settimana: al momento però non è in programma, e la distanza resta grande.
«Così vogliamo dire che i lavori cominciano. Nessuno tema o speri che rimanga il Porcellum», garantisce l’ex ministro Ignazio La Russa, annunciando il testo che verrà portato domani dai berlusconiani a Palazzo Madama. «Vogliamo combattere il rischio che qualcuno convinca la pubblica opinione che si tratta soltanto di una manfrina per non cambiare la legge elettorale», aggiunge. E respinge l’accusa del Pd di fare il doppio gioco, di «coltivare» una seconda maggioranza con il Carroccio, usando la legge elettorale come strumento per recuperare l’antico alleato. «Ci accusano di doppio gioco perché sulle riforme colloquiamo non solo con loro ma anche con la Lega. Sbaglio o quando noi eravamo maggioranza di governo e loro opposizione gridavano che su riforme e legge elettorale bisognava assolutamente ascoltare la loro voce?», chiede retoricamente. «Il Pdl se è in buona fede e vuole trovare una soluzione, riparta con una bozza condivisa con le forze politiche che sostengono il governo Monti. Altrimenti è evidente il gioco allo sfascio e l’utilizzo strumentale della Lega», insiste però il deputato Francesco Boccia.
«Il gioco a rimpiattino che i partiti della maggioranza inesistente stanno facendo sulla legge elettorale dimostra che la politica e la realtà del Paese sono ormai universi che nemmeno più comunicano tra loro», attacca entrambi i protagonisti della trattativa il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, denunciando la presenza di una logica «dell’interesse di partito e dell’ipocrisia bugiarda», quando non va peggio: «La legge elettorale è anche una merce di scambio». E sull’argomento interviene dal suo blog anche Beppe Grillo, per accusare Pd, Pdl e Udc di voler «cambiare le carte in tavola» come «vecchi bari colti sul fatto» e dare la sua lettura: «L’obiettivo non è migliorare il Porcellum che fu da loro voluto e applicato nelle elezioni del 2006 e del 2008», no, l’obiettivo «è far quadrare i conti senza l’oste, senza il Movimento 5 stelle». Mentre la legge elettorale «dovrebbe essere materia di referendum» perché «il conflitto di interessi è palese: chi viene eletto decide come farsi eleggere. Sono come i ladri di Pisa che litigavano di giorno e la notte andavano a rubare insieme». Anche il radicale Staderini ha un’idea per superare l’impasse: presentare in tv in prima serata le varie proposte di legge elettorale. Chissà che audience.