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 2017  dicembre 04 Lunedì calendario

In Italia

Il Presidente della Repubblica è Sergio Mattarella
Il Presidente del Senato è Pietro Grasso
Il Presidente della Camera è Laura Boldrini
Il Presidente del Consiglio è Paolo Gentiloni
Il Ministro dell’ Interno è Marco Minniti
Il Ministro degli Affari Esteri è Angelino Alfano
Il Ministro della Giustizia è Andrea Orlando
Il Ministro dell’ Economia e delle Finanze è Pier Carlo Padoan
Il Ministro di Istruzione, università e ricerca è Valeria Fedeli
Il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali è Giuliano Poletti
Il Ministro della Difesa è Roberta Pinotti
Il Ministro dello Sviluppo economico è Carlo Calenda
Il Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali è Maurizio Martina
Il Ministro di Infrastrutture e trasporti è Graziano Delrio
Il Ministro della Salute è Beatrice Lorenzin
Il Ministro di Beni e attività culturali e turismo è Dario Franceschini
Il Ministro dell’ Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare è Gian Luca Galletti
Il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione è Marianna Madia (senza portafoglio)
Il Ministro dei Rapporti con il Parlamento è Anna Finocchiaro (senza portafoglio)
Il Ministro dello Sport è Luca Lotti (senza portafoglio)
Il Ministro della Coesione territoriale e Mezzogiorno è Claudio De Vincenti (senza portafoglio)
Il Governatore della Banca d’Italia è Ignazio Visco
Il Presidente di Fca è John Elkann
L’ Amministratore delegato di Fca è Sergio Marchionne

Nel mondo

Il Papa è Francesco I
Il Presidente degli Stati Uniti d’America è Donald Trump
Il Presidente del Federal Reserve System è Janet Yellen
Il Presidente della BCE è Mario Draghi
Il Presidente della Federazione russa è Vladimir Putin
Il Presidente del Governo della Federazione russa è Dmitrij Medvedev
Il Presidente della Repubblica Popolare Cinese è Xi Jinping
La Regina del Regno Unito è Elisabetta II
Il Premier del Regno Unito è Theresa May
La Cancelliera Federale di Germania è Angela Merkel
Il Presidente della Repubblica francese è Emmanuel Macron
Il Primo Ministro della Repubblica francese è Édouard Philippe
Il Re di Spagna è Felipe VI di Borbone
Il Presidente del Governo di Spagna è Mariano Rajoy Brey
Il Presidente dell’ Egitto è Abd al-Fattah al-Sisi
Il Primo Ministro di Israele è Benjamin Netanyahu
Il Presidente della Repubblica Turca è Recep Tayyip Erdogan
Il Presidente della Repubblica Indiana è Ram Nath Kovind
Il Primo Ministro della Repubblica Indiana è Damodardas Narendra Modi
La Guida Suprema dell’ Iran è Ali Khamenei
Il Presidente dell’ Iran è Hassan Rohani

De Benedetti, Scalfari, Grasso e la sinistra alla ricerca di se stessa

Un anno fa Renzi perdeva il referendum e niente rappresenta meglio le difficoltà in cui da allora è entrata la sinistra dell’intervista che Carlo De Benedetti ha rilasciato ieri ad Aldo Cazzullo.  

Perché?
Si comincia con una clamorosa sconfessione dell’uomo che ha fondato il giornale della sinistra e con decine di editoriali ha tentato di orientarla in un senso allo stesso tempo solidaristico e liberale: Eugenio Scalfari. Scalfari, una sera a DiMartedì
, richiesto di dire come si sarebbe comportato se si fosse trovato a dover scegliere tra Di Maio e Berlusconi, rispose che piuttosto che un grillino a Palazzo Chigi, allora meglio perfino Berlusconi. Gli pareva con questo d’aver espresso soprattutto il proprio disprezzo per i grillini, ma il mondo ha interpretato il paradosso come una sorta di riapertura al Cav, tanto che Michele Serra ha subito scritto, proprio su Repubblica che lui, invece, tra Di Maio e Berlusconi sceglierebbe Di Maio («la terza opzione tra i due è la cicuta, ma non so dove si compera») e a queste sono seguìte altre meraviglie e altri sopraccigli alzati, sicché Scalfari è dovuto tornare sull’argomento, spiegando che Berlusconi non lo voterebbe mai, eccetera eccetera. Senonché ieri Carlo De Benedetti, editore di Repubblica, mostra di non avergliela perdonata: «Scalfari è stato talmente un grande nell’inventare Repubblica e uno stile di giornale che farebbe meglio a preservare il suo passato». Sta dicendo che ha avuto un lapsus?
«Penso l’abbia fatto per vanità, per riconquistare la scena. Ma è stato un pugno nello stomaco per gran parte dei lettori di Repubblica, me compreso. Berlusconi è un condannato in via definitiva per evasione fiscale e corruzione della giustizia. Se non fosse per l’età, sarebbe un endorsement sorprendente per uno come Scalfari che ha predicato, sia pure in modo politicamente assai cangiante, la morale». C’è stata una frattura personale tra lei e il fondatore?
«Penso che la risposta di Scalfari abbia gravemente nuociuto al giornale».  

Accidenti. E perché questa conversazione imbarazzante rappresenterebbe le difficoltà attuali della sinistra?
De Benedetti non esclude di votare scheda bianca. Alla domanda «Renzi l’ha delusa?» risponde: «Renzi ha deluso non solo me, ma tantissimi italiani. È stato un elemento di novità e freschezza, e ha fatto bene il primo ministro. Ma ha sbagliato sul referendum, e soprattutto ha sbagliato dopo a non trarne le conseguenze. Avrebbe dovuto prendersi due o tre anni di pausa. Andare in America, studiare, imparare, conoscere il mondo. Magari l’avrebbero richiamato a furor di popolo. Invece ha avuto l’ansia di chi si dimette ma non vede l’ora di ricominciare». Quando Cazzullo chiede: «L’avventura di D’Alema?», De Benedetti risponde con una sola parola: «Ridicola».  

Quindi l’elettore di sinistra, oggi, è in realtà un signore o una signora che nell’urna metteranno una scheda bianca.
La confusione regna sovrana. Due pagine prima Andrea Camilleri, lo scrittore che ha inventato il commissario Montalbano, confessa che non saprebbe per chi votare. E il suo interlocutore è proprio Massimo D’Alema.  

Pure, ieri a Roma, all’Atlantic Live, sembrerebbe esserci stata una riunificazione a sinistra. Mdp, Si e Possibile hanno eletto Pietro Grasso loro candidato premier e si presenteranno alle elezioni con una lista unica.
L’impressione è che li tenga uniti soprattutto il sentimento anti-Renzi. E che alcuni di loro siano fuggiti dal Pd solo perché sicuri che Renzi non li avrebbe ricandidati.  

È possibile che non si debba mai dare il minimo credito a nessuno?
Ha ragione. In realtà Grasso, acclamato dalla platea anche con una standing ovation, ha pronunciato un bel discorso: «Qui ci sono persone che credono nelle proprie idee. È una bellissima immagine che dà forza e energia. Quando ho lasciato il gruppo del Pd mi hanno offerto seggi sicuri, mi hanno detto di fermarmi un giro, di fare la riserva della Repubblica. Mi dispiace questi calcoli non fanno per me. Serve un’alternativa all’indifferenza e alla rabbia inconcludente dei movimenti di protesta, alle favole bellissime che abbiamo sentito raccontare per decenni. Tocca a noi offrire una nuova casa a chi non si sente rappresentato. Una nuova proposta per il paese. Io ci sono. Fare politica è un onore, non una vergogna. C’è in gioco il futuro dell’Italia e questa è la nostra sfida: battersi perché tutti, nessuno escluso siano liberi e uguali, liberi e uguali». “Liberi e uguali” è appunto il nome del nuovo raggruppamento, il quale sottintende che al momento non siamo né liberi né uguali. Civati, il leader di Possibile, ha concluso: «Renzi, Berlusconi, Di Maio: uno la caricatura dell’altro».      

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DARIO CRESTO-DINA, LA REPUBBLICA 27/6/2017 –
ROMA Nella sua casa di via Monserrato, davanti a un bicchiere di tè freddo Carlo De Benedetti ripercorre un film lungo quasi quarant’anni. Metà della sua vita. La famiglia, i figli; un’azienda editoriale e, soprattutto, un giornale, una passione. Confessa un tic della mente: «Quando devo riferirmi al Gruppo Espresso, mi viene sempre di dire invece Repubblica, perché questo è un giornale che riesce a trasmetterti il proprio carattere, mi è entrato nel sangue come una piacevole ossessione».
Non è un giorno come un altro per lui, ammette di essere emozionato ma leggero. Non vuole parlare del passato, meglio l’oggi e il futuro, non ha voglia di ripetere una storia già raccontata molte altre volte. «Non ho rimpianti né rimorsi. Abbiamo fatto un cammino straordinario, da un sottotetto di via Po con le focaccine al prosciutto di Caracciolo a una società quotata in Borsa: giornali nazionali e locali, radio, internet, un gruppo d’informazione integrato. Posso aver fatto qualche errore, ma nessuno che abbia messo a rischio l’azienda. Sono stati errori di coraggio compiuti nel tentativo di fare qualcosa in più che ci sono venuti utili in tempi successivi, errori che inserisco nella categoria di quelli che mi sono piaciuti».
Ingegnere, se la fine è importante in tutte le cose perché questa decisione adesso e in questo modo?
«Ho sempre pensato che bisogna organizzare la propria successione imprenditoriale e familiare finché si è in vita e si ragiona con lucidità. Ho visto troppe catastrofi accadere dopo la morte di fondatori che non hanno saputo o voluto preparare questo passaggio. Così ho cominciato a spogliarmi delle cariche che detenevo nelle società da me create a partire dal 2009 ad eccezione della presidenza del Gruppo Espresso. Colpa dell’amore che avevo e ho per questo mestiere. Inseguivo un sogno: l’accordo con la Stampa, una fusione industriale che creasse la principale azienda editoriale italiana. Ce l’abbiamo fatta, siamo primi, solidi e profittevoli, più forti di un anno fa e attrezzati ad affrontare i cambiamenti che ci attendono. Ho concluso il mio cammino imprenditoriale, ho preso una decisione e sono soddisfatto di averlo fatto».
Il futuro è terra incognita, i giornali perdono copie, stiamo attraversando un mare in tempesta e nessuno di noi sa che cosa troverà sull’altra sponda. Portare il fuoco sarà difficile, non crede?
«Non sono mai tranquillo, se un imprenditore lo fosse sarebbe un incosciente, ma sono fiducioso, questo sì. Assieme a John Elkann e Carlo Perrone abbiamo creato un gruppo la cui tradizione familiare, mi creda, ne rafforza la stabilità. E per quanto ci riguarda più da vicino la scelta di dare continuità all’impegno della mia famiglia è un motivo di grande orgoglio personale e un segnale importante per tutti coloro che lavorano nel gruppo. Oggi comincia un nuovo capitolo, più istituzionale e meno artigianale. La crisi non è di Repubblica né solo italiana, è una sofferenza che coinvolge l’intero sistema dell’editoria mondiale. Dovremo combatterla tutti assieme, è la ragione per cui ho proposto di convocare gli Stati generali dell’editoria d’informazione, iniziativa che mi piacerebbe diventasse europea».
Quali sono le prime raccomandazioni che ha trasmesso a suo figlio Marco nel passargli il testimone della presidenza?
«Gli ho detto semplicemente: credici. Gli ultimi anni non sono stati facili, siamo stati costretti a una ristrutturazione che ha ridotto di un terzo i dipendenti, ma siamo l’unica impresa editoriale italiana che non ha mai perso in un solo trimestre. Ho aggiunto: hai accanto tuo fratello Rodolfo, presidente della Cir, che ti appoggerà. Avrai al tuo fianco un’ad come Monica Mondardini che ha fatto un lavoro ammirevole. Mondardini è una delle colonne su cui si fonda la nostra eccellenza aziendale e ha avuto un ruolo fondamentale nell’operazione industriale con l’Itedi. Vede, in tutto questo mio lungo tempo mi sono sforzato, a volte riuscendoci altre volte forse no, di obbedire alla regola di un filtro magico tra due mestieri che può fare soltanto bene a un giornale: la fantasia e l’ispirazione dell’editore e il rigore nella gestione dell’amministratore delegato. Mi auguro che Marco sappia interpretare al meglio il suo ruolo».
L’impegno della famiglia De Benedetti è dunque garantito anche per il futuro del nuovo gruppo Gedi?
«Il futuro dipenderà dalla volontà dei miei figli, una volontà che proprio dalle decisioni di queste ore appare chiara. Non vedo come potrebbe essere diversamente. Il controllo azionario di Gedi è saldamente in mano alla Cir. La sua posizione finanziaria è liquidissima, più che di realizzare ha il problema d’investire».
Perché è toccato a Marco?
«Marco ha un carattere molto simile al mio. Voleva questo ruolo. Me lo ha detto dal primo momento in cui ho aperto il dialogo con i miei figli sulla successione. Rivelando una determinazione che mi ha sorpreso. Farà benissimo, ha già dimostrato di essere eccellente attraverso un percorso di lavoro indipendente, è un padre attento e un uomo che ama anche divertirsi».
Entra in un mondo speciale, quello di Repubblica. Dovrà studiare?
«Gli ho mostrato i video e le fotografie delle folle che hanno partecipato alla festa del giornale a Bologna. Un affetto straordinario. Comprare Repubblica è una scelta quotidiana, non un’abitudine, il suo patrimonio non sono i clienti ma la gente che si riconosce nelle idee del giornale, nei suoi contenuti culturali e formativi. Marco è consapevole che la materia prima dell’industria di cui è diventato presidente non è il petrolio o l’acciaio, ma il pensiero. A questo dovrà guardare, a questo dovrà rispondere».
Quando morì, lei riconobbe soprattutto un merito a Caracciolo, quello di avere fondato un gruppo che ha contribuito alla maturazione del Paese, un esempio raro di libertà, un posto perbene che permette a chi ci lavora di dispiegare la propria intelligenza. È ancora così?
«Senza dubbio, Repubblica è un giornale che sa trasmettere il proprio Dna. Grazie a Scalfari, Caracciolo e Ezio Mauro l’Italia, per me, è diventata un Paese migliore. E non importa se qualcuno la pensa diversamente. Spero di aver dato pure io un modesto contributo, ho la coscienza di aver lavorato in quella direzione».
Parlando del futuro dei giornali, lei ha detto che non possiamo pensare di stare sul mercato producendo informazioni buone quanto basta. Dobbiamo concentrarci sull’informazione che fa la differenza. Pensa anche lei, come sosteneva Joseph Pulitzer, che ogni numero di giornale rappresenta una battaglia, una battaglia per l’eccellenza alla quale servono accuratezza e scrupolosità?
«Credo che il mondo sia diventato troppo piccolo per i giornali che si limitano alle notizie, la qualità dell’informazione e dei commenti sarà fondamentale. Un giornale per sopravvivere deve orientare i suoi lettori, affascinarli con le idee e indicare una strada, lasciando loro piena libertà nello sceglierla o nel rifiutarla. Deve “vendere” fiducia. I giornali, infine, restano un pilastro della democrazia e per questa ragione la democrazia dovrebbe essere principalmente interessata alla loro sopravvivenza. Un obiettivo che dovrebbe valere anche per Google, Facebook, Apple e gli altri Over-The-Top che dai giornali attingono l’acqua della loro sorgente. Senza pagarla…».
Che cos’è oggi il mestiere dell’editore?
«Preservare la tradizione e non avere timore del futuro. Non è una sciocchezza o una non risposta. Arrivare prima degli altri, pensare ai giovani e ai loro nuovi linguaggi, contribuire con la propria voce al dibattito e alla crescita democratica del Paese. Una volta i giornali erano in bianco e nero, poi si sono accorti che il mondo era a colori. Bastava guardare. Credo che domani non sarà molto diverso».
Nella sua presidenza ha conosciuto tre direttori di Repubblica. Può farmi una sintesi del rapporto avuto con loro?
«Eugenio Scalfari è stato un artista unico, non può essere paragonato a nessun altro. Ha inventato un modo tutto suo di fare un quotidiano, lo ha settimanalizzato ed è stato copiato da tutti. Ezio Mauro un misto di passione e dedizione. Un grandissimo direttore che per vent’anni ha lavorato ogni giorno come se fosse il primo giorno. Quando ha lasciato la direzione gli ho domandato che cosa avrebbe voluto fare e lui mi ha risposto semplicemente: voglio fare solo il giornalista. Mario Calabresi ha raccolto con intelligenza un’eredità tremendamente difficile e ha dalla sua parte il vantaggio della gioventù. Può diventare non solo un grande direttore di Repubblica, ma anche essere il riferimento della sua comunità».  

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SILVIA TRUZZI, IL FATTO QUOTIDIANO 23/6/2017 –
Enfin, a succedere a Carlo De Benedetti alla presidenza di Gedi – la società nata dalla fusione di Repubblica-Espresso e Stampa-Secolo XIX – sarà il figlio Marco: la decisione ha trovato d’accordo anche i fratelli Edoardo e Rodolfo. Ieri in Borsa il titolo della società non ha praticamente avuto oscillazioni: circostanza singolare, vista l’entità di una notizia non smentita. Il mercato, secondo gli osservatori, aveva già digerito un cambio negli assetti di potere del gruppo.
La società sarà guidata da Monica Mondardini, amministratore delegato di Cir e il cambio al vertice sarà ufficializzato oggi, durante il consiglio di amministrazione, dopo settimane in cui le voci di un addio dell’Ingegnere si sono fatte sempre più insistenti: come abbiamo raccontato ieri, si era ipotizzato l’arrivo di Ezio Mauro, per vent’anni direttore di Repubblica, apprezzato dalla famiglia e dalla redazione, per la quale continua a essere un punto di riferimento anche dopo l’arrivo di Mario Calabresi. Per garantire continuità al processo di fusione però doveva esserci un De Benedetti. Dunque, tutto resta in famiglia. Ma, appunto, quale famiglia?
La domanda è meno maliziosa di quanto a prima vista non appaia, visto che a breve si perfezionerà il matrimonio tra i due gruppi: allora si scopriranno le carte e si capirà quali sono i rapporti reali. Quando la fusione fu annunciata, la mappa dell’azionariato vedeva la Cir al 43%, Exor al 5% circa, la famiglia Perrone (Il Secolo XIX) al 5% (altri azionisti Fca all’11% circa e il restante 36% costituito da flottante). I numeri continueranno a essere questi? Oppure la famiglia Agnelli, in tempi anche piuttosto rapidi, conterà di più, come molti sospettano? Vero che le azioni si pesano, dunque può darsi che gli Agnelli avranno più d’una voce in capitolo anche con una partecipazione residuale. Però, però: non è un segreto che in questi mesi le preoccupazioni di Carlo De Benedetti per la sua Repubblica siano aumentate.
Il giornale soffre un calo di copie che va oltre il fisiologico, anche a causa di un panorama politico in cui è difficile orientarsi e far da bussola ai lettori. Prima di Repubblica, è la sinistra a essere in crisi esistenziale, tra la difficoltà di governare, scelte sbagliate (vedi il referendum), fratture. La linea politica, che era tracciata con decisione da Mauro, oggi è molto più sbiadita: forse per questo – oltre che per la stabilità dei conti – si è parlato di un avvicendamento alla guida del quotidiano di largo Fochetti. Molti nomi sono girati: da Massimo Giannini, editorialista di punta del giornale, a Carlo Verdelli, ex direttore editoriale delle news Rai, fino (addirittura) a Maurizio Molinari, direttore della Stampa succeduto proprio a Calabresi.
Che però era ed è l’architrave del matrimonio tra le due famiglie: John Elkann lo stima molto, senza di lui l’operazione potrebbe saltare. Il suo nome non è in discussione e il recente acquisto di Sergio Rizzo, firma storica del Corriere della Sera che diventerà vicedirettore di Repubblica, confermerebbe il rafforzamento della direzione di Mario Calabresi.
Un ciclo si chiude e l’addio dell’Ingegnere simbolicamente significa parecchio: è lui in persona ad aver incarnato per decenni la figura dell’editore, appassionato di politica e d’informazione, è sempre stato lui a gestire le faccende di Repubblica. Ora – da ultimo mercoledì durante la chiusura dei festeggiamenti per i 150 anni della Stampa – si afferma con insistenza che il futuro dell’editoria (dei libri come dei giornali) passa per le fusioni. “Nel rispetto delle singole individualità”, è la frase che ricorre sempre, come a esorcizzare lo spauracchio dell’omologazione. Dove contano i numeri e i pareggi nei bilanci: ma questo è un mestiere dove conta moltissimo anche la qualità delle persone, la capacità di intercettare i cambiamenti, mettersi in connessione sentimentale con i lettori. Vedremo se la nuova, Terza, Repubblica saprà farlo.   
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