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 2017  dicembre 04 Lunedì calendario

Siria. Un Paese diviso in cinque aree dove può rinascere il terrorismo

Un Paese frammentato, diviso in cinque regioni sempre più distanti fra di loro, una della quali possibile incubatrice di un nuovo Stato islamico, forse ancora più pericoloso di quello, moribondo, del califfo Abu Bakr al-Baghdadi. È la Siria che potrebbe uscire dal dopoguerra senza un accordo di pace condiviso e priva della copertura militare russa. Uno scenario che Mosca e Washington cercano di evitare ma che è favorito dalla rigidità dei due grandi duellanti in questi sei anni di conflitto: il campo sciita dell’Iran e quello sunnita dell’Arabia Saudita.
Ieri, 3 dicembre, potrebbe diventare la data della fine della guerra all’Isis come Stato terrorista radicato su un territorio. I guerriglieri curdi hanno annunciato la liberazione della provincia di Deir Ez-Zour a Est dell’Eufrate. Le forze speciali siriane «Tigri» hanno invece «ripulito» gli ultimi villaggi in mano agli islamisti sulla sponda occidentale del fiume. L’operazione, hanno sottolineato i curdi, è avvenuta con «l’appoggio aereo sia dei russi che degli americani». Il patto fra Vladimir Putin e Donald Trump ha retto, e neppure le proteste della Turchia sono riuscite a scardinarlo. Ne è nata una regione nel Nord-Est controllata dai curdi e sotto influenza americana.
Per coinvolgere nel riassetto i turchi, Putin ha offerto al presidente Recep Tayyip Erdogan la sua zona di influenza a Nord-Ovest: parti delle province di Aleppo e di Idlib, e forse il cantone curdo di Afrin. Sarebbe la seconda «regione». La terza, di gran lunga più importante, è la «Siria utile», sotto controllo governativo: la zona costiera e l’asse che da Aleppo tocca Hama, Homs e Damasco. Un’altra zona di influenza, la quarta, serve invece a rassicurare Israele. Mosca ha convinto il presidente Bashar al-Assad a offrire una fascia smilitarizzata profonda 40 chilometri lungo il Golan e la frontiera con la Giordania. Anche questa sarebbe sotto tutela degli Usa, che hanno una base ad Al-Tanf.
La quinta area è il vasto spazio a Est di Damasco che i siriani chiamano Al-Badiya, ma che gli analisti occidentali hanno battezzato «Sunnistan». È una terra semidesertica a popolamento beduino, con tribù molto conservatrici, che l’Isis ha utilizzato come sua base profonda. È stata riconquistata a prezzo di sacrifici enormi. Fonti siriane sottolineano come le forze speciali Tigri abbiamo avuto «400 morti e 870 feriti gravi» nella campagna fra agosto e novembre. L’Isis ha opposto una «resistenza feroce a Ovest dell’Eufrate, molto meno contro i curdi». E la strada fra Palmira e Deir ez-Zour, soprattutto nella zona di Al-Sukhna, «non è ancora sicura».
Il «Sunnistan» è ingovernabile e potrebbe fare da incubatrice a un nuovo Isis. In fondo Al-Baghdadi ha imparato dagli errori del suo predecessore Abu Musab Al-Zarqawi e ha costruito qualcosa di più letale, capace di reggere per quattro anni agli assalti di mezzo mondo. Un successore ancora più scaltro non è da escludere. Anche perché il pericolo dell’estremismo sunnita è alimentato dal muro con muro fra governo e opposizione. A Ginevra, la scorsa settimana, si è ripetuto il copione degli ultimi tre anni. I gruppi appoggiati dall’Arabia Saudita hanno posto come precondizione l’uscita di scena di Assad, la delegazione di Damasco ha sbattuto la porta.
Il regime può controllare le grandi città a Ovest perché ha stretto da decenni un’alleanza con la borghesia sunnita, laica come le minoranze cristiana e sciita. Ma senza il sostegno russo rischia di dissanguarsi nell’Est. Resta il sostegno dell’Iran. Le milizie sciite ostentano sicurezza. Fonti vicine ai comandi di Hezbollah, ribadiscono che la «guerra è vinta» e il governo è «anche riuscito a portare dalle sua parte grandi tribù sunnite, come quella degli Shaitat». Tanto che è stato programmato «il ritiro di metà dei combattenti a inizio 2018». Altri osservatori hanno notato come sempre più milizie vengano sostituite da contractors russi, provenienti da aree islamiche dell’ex Urss e inquadrati nelle compagnie Wagner e Moran. Sono forse la carta segreta di Putin per disimpegnarsi dalla Siria senza sacrificare Assad.