la Repubblica, 4 dicembre 2017
Lo scempio infinito delle coste. Il Paese dove il mare non si vede più
Che anno, quel 1985. A febbraio il parlamento aveva approvato il primo condono edilizio, con il Pci che insisteva per distinguere l’abusivismo speculativo da quello “di necessità” (sigh!). E sei mesi dopo, forse presagendo le tragiche conseguenze di quella sanatoria, avevano votato la legge Galasso. Quella legge era stata fatta nel tentativo di salvare il salvabile. Il nostro paesaggio era stato già abbondantemente massacrato nei quarant’anni precedenti, e si pensò di mettere un freno soprattutto allo stupro delle coste. La legge prevedeva piani regionali con la possibilità di vietare le costruzioni entro i 300 metri dal mare. Nel tentativo, magari, di dare un messaggio: se adesso si condona, d’ora in poi basta con gli scempi. Peccato che quel messaggio non sia mai giunto a destinazione.
La prova? È in un rapporto realizzato da Legambiente con Castalia, curato da Edoardo Zanchini e Michele Manigrasso, da cui sono tratte le foto di questa pagina. E mai titolo, “Vista mare”, fu più azzeccato.
Dal 1988 al 2012 sono stati cementificati altri 302 chilometri di costa. Il record assoluto è in Sicilia, dove sono stati ingoiati 65 chilometri.
Anche nel Lazio, però, non si è scherzato: 41 chilometri cementificati, ben più dei 29 della Campania. Alla faccia dei famosi piani paesaggistici. Se si mettono in relazione i numeri con il tempo trascorso dal 1988 al 2012 si arriva alla conclusione che nonostante la legge Galasso l’edilizia ha invaso i litorali a un ritmo di 13 chilometri l’anno, 48 metri al giorno. Con il risultato che oggi il 51 per cento dei nostri 6.477,4 chilometri di coste è ormai urbanizzato. Il totale fa 3.290 chilometri. E qui ci sono nomi e cognomi. In Calabria, per esempio, il 65 per cento della fascia costiera è urbanizzata, con la collaborazione di un abusivismo che ha poche corrispondenze nel resto d’Italia. Il rapporto di Legambiente parla di 523 chilometri su un totale di 798, con 205 chilometri occupati da centri urbani densi. Ancora più che in Sicilia, dove i chilometri di costa cementificati sono 662, ma rappresentano il 61 per cento del totale. Mentre in Liguria si sfiora il 64 per cento, e nel Lazio si arriva al 63, contro il 62 delle Marche, il 58 dell’Emilia-Romagna, il 56 della Puglia. Clamoroso è il contributo offerto alla cementificazione dalle costruzioni che si stendono lungo il litorale, fuori da quei centri urbani densi, e prevalentemente frutto dell’abusivismo. Il rapporto lo calcola in 1.659 chilometri, pari al 26 per cento dell’intero sviluppo costiero del Paese.
Sterminate distese di costruzioni senza soluzione di continuità. Serpenti di cemento che occupano 229 chilometri della costa sarda, 244 della pugliese, 261 della calabrese e ben 350 della siciliana. Con casi come quello del tratto compreso fra Nizza di Sicilia e Sant’Alessio Siculo in provincia di Messina, «assimilabile a una città continua di 12,7 chilometri: paragonabile, per configurazione, alla fascia adriatica che va da Rimini a Termoli».